Sull’esito del referendum costituzionale e le dimissioni di Renzi.

Sull’esito del referendum costituzionale e le dimissioni di Renzi.

L’esito del referendum ha segnato una pesante sconfitta per il governo Renzi, per il sistema di potere che in questi anni ha interpretato in modo più conseguente e risoluto gli interessi del grande capitale e applicato le politiche antipopolari richieste dalla UE. E’ un segnale importante che il popolo italiano abbia rifiutato il ricatto messo in atto dai media, dalle istituzioni europee, dalle cancellerie internazionali, dagli industriali che hanno ammonito su possibili esiti disastrosi di questa consultazione in caso di vittoria del no. Con una elevata partecipazione popolare, anche in considerazione di una questione tanto tecnica, complessa, e certamente mal spiegata in questi mesi di campagna referendaria, la classe operaia e le masse popolari hanno respinto il tentativo di riforma della Costituzione e la politica del governo.

Dai dati delle sezioni appare evidente una netta vittoria del No, con le sole eccezioni della provincia autonoma di Bolzano da una parte, dove pesa l’indicazione delle forze locali, e dall’altra di Emilia Romagna e Toscana, dove permane un’adesione fideistica nella continuità in cui il vecchio tessuto di radicamento del PCI è stato inglobato nel sistema di potere clientelare del Partito Democratico. Ma anche in questo caso, come era stato nelle recenti amministrative è il voto di classe a pesare contro il PD e il suo sistema di potere. Dove maggiore è l’impatto della crisi, più elevata la disoccupazione, maggiore il peso delle politiche antipopolari, dei tagli sociali, come nel Sud Italia e nelle periferie delle grandi metropoli, più ampia e consistente risulta la vittoria del No. Una presa di posizione che non si limita certamente al quesito referendario, ma che manifesta tutta l’insofferenza contro un sistema di potere asservito agli interessi del capitale, verso le politiche antipopolari volute dalla UE che hanno consentito il salvataggio dei profitti della finanza e delle grandi imprese sulle spalle dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani.

Il Partito Comunista saluta il risultato del referendum come un segnale largamente positivo. Ringrazia le migliaia di militanti e simpatizzanti del Partito impegnati in queste settimane nella propaganda referendaria per il no. Tuttavia siamo ben coscienti che la strada che abbiamo davanti è tutta in salita. L’esito del referendum di per sé non cambia l’assetto politico istituzionale del Paese. Vige oggi in Italia una Costituzione che ha in sé le modifiche peggiorative del pareggio di bilancio e del titolo V introdotto con la modifica costituzionale del 2001, che questo referendum non ha cancellato. Siamo in una condizione in cui i rapporti di forza continuano ad essere assolutamente sfavorevoli per la classe operaia e le masse popolari. Anche le norme più progressive inserite nella costituzione del ’48 ed oggi ancora in vigore non hanno impedito negli anni lo schiacciamento dei diritti dei lavoratori, una diffusa ineguaglianza economica e sociale, la partecipazione dell’Italia a guerre, e così via. Tutto ciò chiama i comunisti ad un lavoro più serrato ed incisivo.

Abbiamo imparato dalla storia recente che la caduta di un governo non determina automaticamente l’inversione delle politiche antipopolari. Non prepara, in queste condizioni di arretratezza, l’arrivo di un governo legato agli interessi della classe lavoratrice.  Lo abbiamo visto con Berlusconi, poi con Monti, Letta e poi con Renzi: quale sia la forma, attraverso elezioni o mediante nomina di un governo tecnico, non muta l’insieme dei rapporti di forza, non muta l’indirizzo antipopolare delle politiche dei governi, non cambia la subalternità delle scelte degli esecutivi agli interessi di Confindustria, della finanza, della permanenza nel sistema di alleanze imperialiste dalla UE alla Nato. Ogni governo ha segnato inasprimento delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori, compressioni salariali, riduzione dei diritti, privatizzazioni e tagli dei fondi alla sanità, all’istruzione al settore sociale.

Gli scenari del referendum determinano un rafforzamento immediato di forze politiche che non rappresentano alcun cambiamento reale per i lavoratori. Né il Movimento Cinque Stelle, né le forze populistiche e reazionarie che si addensano intorno alla Lega e a Fdi rappresentano un’opzione favorevole agli interessi popolari. Mai come in questo momento per i comunisti è necessario serrare le fila, incrementare il lavoro politico, il radicamento di classe, rafforzando le lotte e l’organizzazione. Il Partito Democratico guidato da Renzi, resta in ogni caso il partito di maggioranza relativa. Una posizione che non si è indebolita, ma che è risultata irrigidita da questo referendum.  La borsa in calo, il valore dell’Euro, lo spred in salita sono pronti a continuare  quella condizione di terrorismo sociale già vista in queste settimane, per spingere il consenso nuovamente sul vecchio asse di governo. Il voto di protesta individua al contrario forze che non rappresentano alcuna rottura reale con il sistema capitalistico. La condizione attuale dei rapporti di forza in Italia ci dice chiaramente, senza coltivare alcuna illusione, che i lavoratori, i pensionati, i disoccupati saranno chiamati ancora una volta a scegliere tra opzioni che non rappresentano i loro interessi.

Compito di noi comunisti è aprire in questo scenario spazi di manovra per un’azione di rottura con il sistema di potere del capitale e le sue alleanze internazionali, unica opzione in grado di rappresentare effettivamente gli interessi delle grandi masse popolari. E’ un processo che non si realizza in un giorno, che parte da una condizione di assoluta arretratezza, ma è l’unico percorso in grado di garantire alla rabbia popolare la giusta direzione e guida nel processo di liberazione dall’oppressione capitalistica. Serriamo le fila, prepariamoci agli scenari del futuro, rafforziamo le lotte sociali ed il ruolo del Partito, lottiamo per invertire i rapporti di forza oggi sfavorevoli, per dare all’Italia la possibilità di un’uscita da questa crisi che rifiuti la falsa alternativa tra vecchie e nuove forze reazionarie legate agli interessi del capitale.

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