RIPRENDIAMOCI LA NOSTRA IDENTITA’!

RIPRENDIAMOCI LA NOSTRA IDENTITA’!

RIPRENDIAMOCI LA NOSTRA IDENTITA’!

Ancora una volta dal KKE (Partito Comunista di Grecia) ci arriva un contributo prezioso sia sul piano degli orientamenti e delle scelte in generale, sia per l’impegno arduo e difficile di chi lotta per la ricostituzione del Partito Comunista in Italia. Ed è su quest’ultimo versante che vorrei intervenire.

Mi riferisco al documento dei compagni greci  “Strategia per la “correzione” o il rovesciamento del sistema?” apparso sul nostro sito alcuni giorni fa, la cui lettura consiglio caldamente a tutte le compagne e i compagni. Nonostante qualche difficoltà di traduzione, è un’esemplare dimostrazione di come i comunisti ragionano, affrontano la realtà ed operano fieramente per trasformarla (anziché accomodarsi sull’esistente accodandosi alle tendenze dominanti).

Non a caso ricorda molte scelte e documenti del nostro Partito, come quando, negli anni ’60 del secolo scorso, criticò i socialisti che aderivano al primo centrosinistra, accusandoli di voler “conservare il capitalismo meglio e più a lungo” anziché battersi per la sua liquidazione con la conquista del potere politico ed economico della classe operaia.

Ci conforta, inoltre, notare che i contenuti e l’ispirazione di quel documento sono  coincidenti con scritti già apparsi in questo sito in passato: in alcune interviste e articoli del compagno Rizzo nonché in testi di altre compagne e compagni, tra cui alcuni del sottoscritto.

Si tratta di proiettare la posizione dei compagni greci (ossia quella autentica dei Partiti Comunisti)  nella sfera dei nostri compiti nazionali. Ciò non sarebbe possibile, tuttavia, senza considerare due importanti differenze che distinguono la nostra situazione dal contesto nel quale agiscono i compagni greci.

In primo luogo si consideri quanto segue.

I comunisti individuano nella struttura del capitalismo, nel suo assetto e nei meccanismi del suo funzionamento l’origine primaria delle grandi questioni che affliggono l’umanità: lo sfruttamento del lavoro operaio e la disoccupazione, la questione femminile, quella agraria ed anche -tipica del nostro paese- la questione meridionale, ecc. Lo stesso vale per  problemi più recenti ancorché angosciosi come il disastro ambientale e climatico, il rapido impoverimento delle masse, le grandi e caotiche migrazioni, i processi di decadimento morale e culturale, ecc.

Di conseguenza i comunisti hanno come scopo concreto della loro politica quotidiana l’eliminazione delle origini primarie di questi gravi problemi, individuata scientificamente nella sostituzione del potere borghese, generato dal capitalismo, con il potere politico ed economico del proletariato da cui  sorgerà una società senza oppressione e sfruttamento e via via sempre più  libera, giusta e prospera.

Una società nella quale le libertà di tutti e di ciascuno scaturiscono dalla “riunificazione” di produttori e mezzi di produzione (oggi i lavoratori non dispongono dei mezzi di produzione i cui proprietari, invece, non lavorano ma sfruttano gli altri) e la democrazia si fonda sul potere dei lavoratori di decidere  cosa produrre e come.

Solo in tal modo la precarietà diventerà un concetto sconosciuto, la disoccupazione scomparirà e  nessuno più avrà bisogno di inginocchiarsi innanzi a qualche potente per supplicare un lavoro, verrà meno ogni presupposto economico per le guerre e saranno le grandi masse a decidere se l’ambiente ed il clima dovranno essere sconvolti o no; una società   caratterizzata dall’ininterrotta elevazione morale e spirituale e dallo sviluppo onnilaterale della personalità umana.

Che questi siano l’identità e gli  ideali comunisti in Grecia si sa, ma in Italia no!

Da noi, in definitiva, sembra riuscito il piano demagnetize ossia il programma da cui è derivata la Gladio. Significa smagnetizzare ossia non distruggere fisicamente il magnete ma privarlo di quelle proprietà che lo distinguono da un qualunque altro pezzo di comune metallo.

In Italia si è voluto far diventare la definizione “comunista” un appellativo puramente decorativo, generico:   un partito può definirsi comunista nello stesso modo in cui un altro potrebbe definirsi “europeo” o “riformista”. Così che, come non si può desumere indirizzi e scopi dal nome di forze politiche  che si chiamino Italia dei Valori o Forza Italia, altrettanto dovrebbe capitare ad una che si chiami comunista.

Se un raggruppamento politico che si definisce cattolico proponesse le più ampie facilitazioni per consentire il ricorso all’aborto, tutti noterebbero la contraddizione: ma cosa dovrebbe fare una compagine comunista, oggi, perché accada lo stesso?

Il baraccone susseguito allo scioglimento del PCI ha completamente svuotato il sostantivo “comunista” di contenuto e significati, di premesse e finalità. Dall’inizio degli anni ‘90 ha prevalso quella sinistra che si è limitata –al contrario del KKE e dei Partiti Comunisti di molti altri paesi (come il Portogallo)- ad inseguire gli effetti dei gravi squilibri e delle acute contraddizioni dell’imperialismo, proponendo esclusivamente rattoppi e rimedi superficiali, contrabbandando come innovative soluzioni concrete quelli che erano, invece, illusori e sgangherati espedienti che fallivano e venivano rimpiazzati uno dopo l’altro. Si potrebbe ricordare, per esempio, la cosiddetta “politica attiva del lavoro” dei governi dell’Ulivo o le tanto strombazzate “trentacinque ore” di Bertinotti.

In tal modo -anziché individuare le cause effettive dei mali della società, dello sfruttamento, dell’ingiustizia e dell’oppressione di classe- ci si è ridotti a lamentare un capitalismo cattivo, per cui i motivi di malcontento derivano da una gestione incapace e dalla disonestà di singoli e vagheggiando, come contrappunto, un utopistico capitalismo buono, grazie ad una efficienza di gestione e a dirigenti capaci e di sani principi morali.

Se le cose vanno male dipenderebbe da un capitalismo male amministrato mentre questa sinistra ha fantasticato programmi che avrebbero migliorato le condizioni di tutti in quanto capaci di far rendere meglio il capitale e viceversa. Dalla lotta contro il capitalismo si è passati alla lotta (si fa per dire) all’interno del capitalismo, divenendo spesso pedine degli scontri tra le varie frazioni della borghesia imperialista.

Siamo così arrivati ad una sinistra interclassista, per la quale la classe operaia (la sua causa, il suo compito storico) è solo uno dei frammenti -al pari dei gay, dei rom, delle donne borghesi non sufficientemente rappresentate nel Parlamento e nei consigli di amministrazione dei grandi monopoli, di chi reclama la depenalizzazione dell’uso della cannabis, degli animalisti, ecc. ecc- di una caotica nebulosa di minoranze protestatarie le quali, in definitiva, reclamano un capitalismo migliore dell’attuale, uno stato borghese più sensibile alle loro distinte esigenze pur rimanendo minoranze che non si pongono il problema della direzione dello stato stesso.

Non è casuale, quindi, che molti proletari e giovani in buona fede credono, erroneamente, che  tanti siano comunisti. Fino a tre-quattro anni fa, per esempio, molti ritenevano che dal Presidente della Repubblica fino all’ultimo Sindaco o Presidente di Circoscrizione diessino fossero tutti comunisti. Napolitano, Prodi, Veltroni, Di Pietro, D’Alema, Epifani, tutti comunisti… perfino Bertinotti! Un simile equivoco, in Grecia, non sarebbe possibile grazie al KKE.

In secondo luogo,

i proletari che vogliono sovvertire l’imperialismo (ossia il dominio dei grandi monopoli finanziari internazionali) e battersi per il potere politico ed economico dei lavoratori, prima di tutto fanno una cosa molto precisa: danno vita al Partito Comunista. I comunisti sono tali in quanto militanti del Partito Comunista (in situazioni eccezionali in quanto militanti di un’organizzazione comunista sorta per dare vita al Partito).

E’ opinione di chi scrive che quanto sopra, in Grecia, sia quasi ovvio ma in Italia –al momento- sembra una chimera.

E’ così che la smagnetizzazione è completata: né lotta autentica e concreta contro il capitalismo, né Partito Comunista. Anche perché i due termini sono inseparabili.

Una volta avevamo il PCI, ovvero l’avanguardia politica organizzata della classe operaia; negli ultimi tempi, invece, c’è stata –dopo un lungo, profondo e complesso processo di trasformazione-  la rappresentanza (più o meno presunta o abusiva) della sinistra o del movimento operaio.

Questo processo, nell’ultimo quarto di secolo, ha visto la capitolazione totale e duratura sul piano ideologico, in seguito la piena disfatta a livello politico ed infine l’arroccamento della sinistra sul terreno meramente economico sia pur dopo arretramenti e concessioni anche in questo ambito. Ecco i fattori del disastro materiale ed organizzativo del movimento operaio e della sinistra.

Quest’ultima, rintanata –in condizioni sempre più difficili e di crescente vulnerabilità- nell’angusto spazio delle rivendicazioni puramente economiche, dove l’ha costretta volutamente l’attacco avversario, si illude di cambiare la situazione continuando sempre più freneticamente a sprofondare nell’economicismo. Un po’ come se una barchetta, posta in uno stagno squallido e ristretto, si illudesse di raggiungere il mare aperto e veleggiare verso rotte esaltanti, solo perché si muove sempre più velocemente e continuamente da una riva all’altra del piccolo specchio d’acqua.

Giova ripeterlo: la sinistra risponde alla sua crisi, provocata dall’economicismo, con un tasso ancor maggiore di economicismo. Si è arrivati a questo punto per l’abbandono dei terreni ideologico e politico e si continua ad allontanarsi sempre di più da essi.

Per questo capita che aprano bocca dei comunisti e parli direttamente l’ideologia borghese. Prendiamo il caso, ora tanto in voga, dell’espressione “opzione comunista”. Opzione significa preferire (soggettivamente) tra due possibilità più o meno equivalenti.

Come ci ricordano bene i compagni del KKE, il comunismo è una necessità storica, la quale scaturisce dalle oggettive caratteristiche dell’imperialismo, che sta distruggendo le forze produttive e minaccia sempre più la vita stessa dell’umanità con la guerra e la devastazione dell’ambiente. Questo va detto alle grandi masse popolari: che imperialismo e comunismo non sono una “opzione” come l’acqua liscia o gassata.

Spesso il compagno Rizzo ha lucidamente spiegato come nella deformazione e nella manipolazione delle singole parole si veda il riflesso di un interesse di classe e di un’intera vicenda politica. Per questo l’uso di certi vocaboli indica chiaramente la volontà di non lottare contro il capitalismo ed impedire la rinascita del PCI.

Prima di tutto ciò si ravvisa in chi riduce i propri obiettivi alla rappresentanza (dei lavoratori, delle “lotte”, ecc) anziché alla ricostituzione dell’avanguardia politica organizzata di classe (il Partito Comunista) la quale poi  deciderà se e come esprimere propri rappresentanti nelle istituzioni e in altri campi della società.

Anche l’espressione “sinistra anticapitalista” è agli antipodi delle concezioni e dell’ispirazione dei compagni greci, come i vaghi ed imprecisati “ceti popolari” cui si allude spesso.

Figuriamoci cosa penserebbero della formula “unità dei comunisti” (una vera trappola per compagni in buona fede agitata da autentici imbroglioni che vogliono in tal modo impedire la ricostituzione del PCI) i compagni greci, i quali si oppongono fermamente addirittura alla “unità delle sinistre” quando viene impiegata in modo confusionario e deviante. Infine, anche il ricorso a termini come “poteri forti”, “territorio”, “soggetto politico” testimoniano dell’abbandono dei propri campi ideologico e politico da parte della sinistra.

Il documento del KKE e quanto fin qui accennato, necessiterebbero un dibattito approfondito e non sbrigativo. Una discussione meditata e franca che vuole essere favorita anche da qualche contenuto un po’ spigoloso di queste note.

E’ necessario un dibattito aperto, senza paura di analisi impietose o di contrasti, se necessari e propedeutici alla chiarezza e al cambiamento. Ciò che deve temere  la sinistra italiana  oggi, più di ogni altra cosa, sono il silenzio e la rassegnazione.

Condividi !

Shares

2 Replies to “RIPRENDIAMOCI LA NOSTRA IDENTITA’!

  • propostaindecente

    By propostaindecente

    Reply

    Bello il pezzo sull’ “opzione”. A chiacchieroni delle “opzioni”, proponiamo veramente di valutare un’opzione: iscrivetevi tutti al PD!!!

  • robespierre

    By robespierre

    Reply

    ottimo articolo!! mi viene da dire: finalmente qualcuno che ha le “palle” di dire le cose come stanno e di svelare i veri obiettivi di alcune che sembrano solo parole ma che minano dal di dentro la vera identità comunista.
    rappresentanza, opzione, sinistra anticapitalista etc..: linguaggio anticomunista che accompagna una pratica anticomunista anche nei fatti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *