MILANO, 25 APRILE 2015 CONVEGNO “ANTIFASCISMO E ANTICAPITALISMO”  (interventi).

MILANO, 25 APRILE 2015 CONVEGNO “ANTIFASCISMO E ANTICAPITALISMO” (interventi).

 INTERVENTO DEL COMPAGNO VICTOR LUCAS DEL PCPE-PARTITO COMUNISTA DEI POPOLI DI SPAGNA

Cari compagni del Partito Comunista in Italia

Cari compagni di tutte le delegazioni presenti

In primo luogo vorrei ringraziare il vostro Partito per l’invito a questo avvenimento.

La commemorazione della Liberazione dell’Italia dalle forze nazi-fasciste nel 1945 è un momento importante che siamo orgogliosi di condividere con voi.

Pensiamo che sia stato un bene che, approfittando di questa data importante, il Partito Comunista in Italia abbia organizzato questo avvenimento per parlare di un problema di grande importanza per il Movimento comunista e operaio internazionale. Il fascismo, i suoi aspetti e le forme di lotta che si devono adottare contro lo stesso fascismo sono fondamentali nelle lotte dei comunisti oggi.

L’esperienza storica della classe operaia, di ognuno dei paesi rappresentati qui oggi dai loro Partiti comunisti, ci permette di affrontare questo tema dalla pratica, partendo dalla realtà della lotta di classe.

Nel caso spagnolo, l’esperienza della guerra contro il fascismo tra il 1936 e il 1939, quella che abbiamo chiamata la nostra Guerra Nazionale Rivoluzionaria, così come gli accadimenti che si verificarono sia nel periodo anteriore sia posteriore alla medesima guerra, ci permettono di trarre una serie di importanti lezioni che cerchiamo di applicare alle nostre analisi e alla nostra pratica politica attuale.

In Spagna, il sollevamento fascista del luglio 1936, e la successiva guerra, sono stati il frutto non solo del contesto internazionale, ma anche dello sviluppo della lotta di classe nel paese a partire dal 1931, quando fu proclamata la III° Repubblica Spagnola. Questa Repubblica, borghese, che per due anni fu governata da elementi reazionari e che represse molto duramente la rivoluzione operaia del 1934, a partire dal febbraio 1936 vide lo sviluppo delle forze operaie e popolari, grazie alla applicazione, da parte del Partito Comunista, della tattica dei Fronti Popolari dell’Internazionale Comunista.

Il timore, da parte delle classi dominanti, dell’avanzata delle forze socialiste e comuniste, diede il via al golpe fascista del 18 luglio e, dopo il suo fallimento, all’inizio della Guerra Nazionale Rivoluzionaria, che ebbe rilevanza internazionale a seguito dell’aiuto dei fascisti tedeschi e italiani ai golpisti e della presenza eroica delle Brigate Internazionali che il  Movimento Comunista Internazionale organizzò per difendere e appoggiare il popolo spagnolo.

Dopo la vittoria fascista, seguirono quasi quarant’anni di dittatura dichiarata e violenta grazie alla quale la sottomissione della classe operaia permise una accumulazione capitalista relativamente pacifica, che fu determinante per lo sviluppo del capitalismo spagnolo e il suo passaggio definitivo da un’economia agricola a una industriale, omologabile agli altri vicini Paesi capitalisti.

La Spagna operaia e popolare, che aveva permesso la vittoria delle Forze del Fronte Popolare, in ultima istanza, del Partito Comunista, era un pericolo per le classi dominanti dell’epoca, non solo della Spagna.

L’esperienza ci mostra che il fascismo fu incoraggiato e promosso dalle classi dirigenti per contenere l’avanzata delle forze operaie e popolari, alla stessa maniera di come il nazismo tedesco e il fascismo italiano sorsero come risposta all’avanzata della lotta di classe a livello internazionale, grazie all’esistenza dell’Unione Sovietica e all’avanzata delle distinte sezioni del Komintern.

Il ricorso al fascismo è sempre una possibilità in mano alla borghesi e ai capitalisti che, in determinati momenti, non hanno problemi a tirar fuori il nazionalismo e la Xenofobia estrema, o l’anticomunismo più selvaggio, con l’obiettivo di mantenere la loro situazione di privilegio nel sistema di sfruttamento capitalista.

Il fascismo non è un fenomeno indipendente della reazione propria della fase imperialista del capitalismo, ma è una sua espressione più violenta e più cruda, applicabile quando le altre forme della dittatura borghese sono insufficienti a contenere un forte movimento operaio, cosciente dei suoi interessi come classe e della sua missione storica come becchino del capitalismo.

Per questo è importante che i partiti Comunisti e operai evitino certi errori e siano coscienti che la borghesia, mentre esiste come classe dominante, sempre ricorrerà a questi mezzi a sua disposizione e si servirà delle organizzazioni che non necessariamente devono esibire svastiche o chiamarsi direttamente “fasciste”.

Gli esempi del Fronte Nazionale in Francia o di Alba Dorata in Grecia sono paradigmatici e esprimono apertamente gli interessi concreti dei settori capitalisti.

Il loro scopo è mettere i settori operai e popolari direttamente sotto gli interessi della borghesia e sono un prodotto delle difficoltà che hanno i tradizionali partiti borghesi a legittimare il potere dei monopoli, ma l’obiettivo finale è lo stesso.

Pertanto, i Partiti Comunisti e Operai  devono necessariamente legare la lotta contro il fascismo alla lotta contro il capitalismo. L’uno o l’altro non sono fenomeni separati, ma il fascismo nasce quando i capitalisti ne hanno bisogno, come ben segnalava nei suoi scritti il compagno Dimitrov.

Termino, segnalando nuovamente che avvenimenti di questo tipo ci appaiono necessari per continuare ad approfondire questi temi e che il Partito Comunista dei Popoli di Spagna è molto interessato ai contributi di tutti gli altri Partiti Comunisti e Operai.

Viva la lotta antifascista!

Viva il 70° Anniversario della Liberazione!

INTERVENTO DEL COMPAGNO  KOSTAS PATERAS DEL KKE-PARTITO COMUNISTA DI GRECIA.

A nome del CC del KKE ringraziamo il Partito Comunista per l’invito a partecipare all’iniziativa di oggi.

Rendiamo omaggio al grandissimo movimento della resistenza antifascista del popolo italiano, i partigiani italiani .

Il KKE rende omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita o sono stati feriti nei campi di battaglia e nella resistenza clandestina per distruggere il mostro fascista, mostro creato dal capitalismo; rendiamo omaggio ai partiti comunisti di tutto il mondo che hanno condotto le lotte di liberazione nazionale.

Onoriamo e difendiamo dalla falsificazione l’enorme contributo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). L’Unione Sovietica ha portato il peso maggiore della guerra. Ha reso il contributo decisivo ad un costo enorme.

Il KKE è orgoglioso di essere stato l’ispiratore, l’organizzatore e per aver fornito il maggior numero di militanti alla grande resistenza del nostro popolo, sotto le bandiere dell’EAM.

Ci rivolgiamo alla classe operaia, agli strati popolari poveri e in particolare ai giovani uomini e donne e chiede loro di cercare la verità, i fatti reali e le ragioni che hanno causato le guerre mondiali e locali, l’ascesa e il dominio in alcuni paesi del fascismo e del nazismo.

Il KKE, con senso di responsabilità, difende con vigore la verità storica e mette in evidenza le lezioni della lotta eroica dei popoli e del movimento comunista. Giudica primario il compito di ricercare e applicare sistematicamente nell’elaborazione della sua strategia, le conclusioni della lotta dei movimenti rivoluzionari. Sottolinea coraggiosamente i propri errori e debolezze e quelle del movimento. L’abbellimento della realtà è estranea ai comunisti. C’è un abisso che separa la nostra critica e autocritica dall’offensiva ideologica diffamatoria dei nemici del KKE e del movimento rivoluzionario, come pure dalla teorizzazione e attenzione posta unicamente sugli errori tipica dell’opportunismo. Le nostre motivazioni e gli obiettivi sono diametralmente opposti a questi approcci.

Il fascismo emerge dalle viscere del sistema capitalista e non è semplicemente il risultato di una forma di gestione, ad esempio della politica neo-liberista, come pretendono gli opportunisti e le forze socialdemocratiche europee. Si tratta di una delle forme utilizzate dai monopoli per esercitare il potere. Il fascismo difende la proprietà capitalistica dei mezzi di produzione, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Soprattutto in condizioni di crisi del capitalismo, di povertà, disoccupazione e deterioramento dei partiti borghesi, le classi borghesi utilizzano i partiti nazisti in vari modi per servire i propri interessi. Questi ultimi, con il loro nazionalismo estremo e la presunta “solidarietà”, irretiscono e assimilano le forze popolari, i disoccupati, gli strati piccolo-borghesi in rovina.

Il KKE in modo ben motivato, rivela al popolo che la classe borghese e lo Stato capitalista aboliscono o aggirano la democrazia borghese, il parlamentarismo e la legalità borghese, che avevano stabilito.

Il KKE, nonostante il suo apporto, non era sufficientemente pronto sotto il profilo strategico-politico per porre la questione della conquista del potere della classe operaia come risultato della lotta di resistenza e come premio della lotta popolare. Non fu capace di creare i presupposti per una traiettoria che potesse, almeno in termini di fattore soggettivo, condurre alla vittoria, al potere dei lavoratori.

Separò la lotta contro la guerra e il nazi-fascismo dalla necessità di lottare per il potere dei lavoratori.

Le ragioni più profonde che hanno impedito al KKE di assumere le scelte che avrebbero avanzato la lotta del movimento popolare armato verso la conquista del potere operaio discendono dalle contraddizioni in seno alla sua strategia e quella dell’Internazionale comunista. Si manifestarono problemi di unità ideologica e strategica durante tutto il corso del Cominter in relazione al carattere della rivoluzione, al carattere della guerra imminente dopo l’ascesa al potere del nazismo in Germania e all’atteggiamento verso la socialdemocrazia.

La strategia problematica delle tappe che il partito aveva adottato nel periodo 1941-1944 poggiava sulla risoluzione del 6° Plenum del CC (1934), sulle decisioni del Cominter (7° Congresso) e del 6° Congresso del KKE nel 1935. Questa linea strategica venne espressa alla 2° Conferenza nazionale (1942) e nella dichiarazione programmatica “Governo popolare e socialismo”. Su queste basi sono state fatte scelte politiche sbagliate da parte della leadership del KKE, come ad esempio gli accordi di Libano e di Caserta. Questi accordi avevano anche la funzione di compromesso con le forze borghesi.

In più lo scioglimento del Cominter (maggio 1943), nonostante i problemi riguardo l’unità e indipendentemente dal fatto che potesse continuare ad esistere, ha privato il movimento comunista internazionale sia di un centro e sia della possibilità di elaborare una propria strategia rivoluzionaria in modo coordinato in vista di trasformare la lotta contro la guerra imperialista e l’occupazione straniera in lotta per il potere, come compito unificato di tutti i PC nelle condizioni specifiche dei loro paesi.

Più in generale nell’occidente capitalista, i PC non formarono una strategia per trasformare la guerra imperialista o la lotta di liberazione nazionale in una lotta per la conquista del potere. La strategia del movimento comunista non ha approfittato del fatto che la contraddizione tra capitale e lavoro era contenuta all’interno del carattere antifascista della liberazione nazionale, della lotta armata in una serie di paesi, cosa che avrebbe messo in agenda la questione del potere, il socialismo e la prospettiva comunista come unica soluzione alternativa alla barbarie capitalista.

Le guerre ingiuste emergono dal cuore e dalle vene del sistema capitalista e che non sono causate da maniaci, come spesso sono presentati Hitler e Mussolini. Al contrario, l’Unione Sovietica avendo sradicato lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, ha abolito la ragione per partecipare alla divisione e spartizione del mondo. E’ proprio per questo motivo che degli Stati partecipanti solo l’URSS stava conducendo una guerra giusta.

L’imperialismo oggi sta tentando di cancellare il contributo del movimento comunista, per occultare i risultati del sistema socialista. Tenta di manipolare le giovani generazioni con la propaganda nera al fine di sottometterle ai loro crimini odierni.

I borghesi nascondono che i crimini contro l’umanità non sono stati commessi solo dalle potenze dell’Asse, ma anche dai governi degli stati “democratici” borghesi. Gli Stati Uniti hanno commesso il crimine più efferato e di massa, con il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945), senza che esistessero necessità militari per farlo.

L’Unione europea, giocando un ruolo di primo piano nel montare l’isteria anticomunista, ha istituito il 9 maggio come “Giornata dell’Europa”, abolendo il “Giorno della Vittoria del popolo”! L’UE e gli USA sostengono il tentativo di riabilitare storicamente e giustificare i fascisti nei paesi del Baltico e in Ucraina, che durante la seconda guerra mondiale si allinearono ai nazisti. Li chiamano “militanti per la democrazia”, perché hanno combattuto contro l’Armata Rossa e il potere sovietico.

Inoltre è una vera provocazione il fatto che SYRIZA presenti la sua nomina al governo come un atto che rende giustizia alle lotte dell’ EAM. La verità è che si persegue la politica di difesa della borghesia e del suo potere, il paese rimane nelle organizzazioni e alleanze imperialiste, come la NATO, l’Unione europea e gli Stati Uniti, quando tutti sanno che l’EAM e l’ ELAS hanno combattuto anche con le armi contro l’imperialismo per il diritto del popolo a non vivere in povertà.
Cari compagni, cari amici, lo stato borghese reazionario non può e non vuole affrontare radicalmente il nazismo ma neanche l’alleanza del movimento operaio popolare con forze politiche borghesi. Si può far fronte al nazismo solo con lo sviluppo della lotta di classe, che avrà lo scopo di porre fine al potere dei monopoli del sistema capitalistico.

Settanta anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli insegnamenti da questa provenienti rafforzano la tesi teorica che contro la barbarie capitalista, l’unica alternativa è il socialismo – comunismo. E ‘la liberazione della classe operaia dallo sfruttamento, l’instaurazione di nuove relazioni sociali, la proprietà sociale dei mezzi di produzione, la pianificazione centralizzata, la partecipazione attiva all’organizzazione e direzione della produzione sociale e dei servizi sociali.

La resistenza e la capacità del KKE Partito Comunista di Grecia come PARTITO CHE PUO’ AGIRE SOTTO OGNI CIRCOSTANZA, è condizione per far emergere tutte le virtù della classe operaia come classe liberatrice dallo sfruttamento, dalla crisi e dalla guerra imperialista.

Per tutto ciò, avvicinandosi i suoi 100 anni, il Partito comunista ha messo come obiettivo il rafforzamento della sua capacità a tutti i livelli, in ogni luogo e settore di lavoro, in ogni città e villaggio, per essere all’avanguardia dello sviluppo delle lotte rivendicative senza staccare queste lotte dall’azione per la propaganda e la lotta per il compimento della missione storica della classe operaia , per l’abolizione dei rapporti sociali di sfruttamento.

Per collegare ogni lotta economica e politica con il principale compito politico, la lotta per il potere operaio rivoluzionario. Per respingere l’attacco anticomunista ed essere sempre vigile.

La nostra epoca è l’ epoca di passaggio dal capitalismo al socialismo. Il rapporto di forze negativo non ci scoraggia, perché sappiamo che sarà rovesciato.
Il nostro obiettivo è di rispondere alle esigenze dei nostri tempi, costruire la grande alleanza popolare anticapitalista e antimonopolista che metterà fine alla barbarie del capitalismo, alle guerre, alla crisi, allo sfruttamento, alla povertà, alla disoccupazione ed all’oppressione, per aprire la strada e per soddisfare i sogni e le moderne esigenze del popolo e dei giovani con la vittoria popolare operaia, con la vittoria del socialismo – comunismo.

INTERVENTO DEL COMPAGNO DARIO ORTOLANO DEL PARTITO COMUNISTA

IL RUOLO DELLA CLASSE OPERAIA NELLA RESISTENZA

 All’entrata in guerra dell’Italia non vi è una vera e propria opposizione organizzata al fascismo. Esiste una presenza comunista clandestina che crescerà col progressivo sgretolamento del regime fascista
 

L’Italia che entra in guerra sopporta il peso di una diffusa povertà delle masse popolari, sia cittadine che rurali.

 

Nel giugno 1940 a Torino esistono 10 nuclei comunisti. La polizia fascista ne individua 8 ed arresta 80 militanti. L’ambiente operaio è quello in cui l’incubazione di un’opposizione di massa è più avanzata. A Milano nel 2° semestre del 1940 ben 90 casi di “disfattismo” vedono protagonisti lavoratori dell’Alfa Romeo, della Breda, gente del popolo e donne al mercato. Ciò avviene anche in Emilia, a Firenze e a Livorno.

Ma è la guerra all’Unione Sovietica a vedere, in numerose località italiane, il verificarsi di gesti di protesta e solidarietà con l’URSS, soprattutto nelle fabbriche e nelle zone rosse, con scritte e volantini che cominciano a comparire.

Il 1942 è l’anno di Stalingrado e, nelle fabbriche, cominciano a realizzarsi, sebbene sporadicamente, agitazioni come ad Asti, Torino, Milano e Biella. Le condizioni di lavoro sono sempre più dure e la fame si fa sentire più intensamente, così che soprattutto i giovani operai sono i primi a reagire, come i 30 apprendisti della Microtecnica di Torino, fra cui Dante di Nanni che scioperano nel Marzo del 1942 perché nella busta paga non è stato loro corrisposto il cottimo. E intanto cominciano a leggere i romanzi di Jack London ed opuscoli di Marx. A Milano, davanti ad alcune fabbriche, compaiono volantini firmati “Arditi del Popolo”.

Un riconoscimento inaspettato alla gloriosa resistenza dei popoli sovietici viene, addirittura, da Mussolini che, in un rapporto al Direttorio Nazionale del Partito Fascista, il 20 dicembre del 1942, dice:” Quello che accade in Russia è significativo: almeno la metà dei soldati si batte perché è comunista, si batte contro il fascismo. Questo spiega la resistenza di Stalingrado, la violenza degli attacchi dei russi ed il loro disprezzo della morte.”

Nell’Ottobre 1942 cominciano i primi massicci bombardamenti su Genova, Torino e Milano che mietono un migliaio di vittime. Nel dicembre, lo stesso Mussolini dichiara pubblicamente le cifre dei danni di guerra subiti dall’Italia: 40.000 caduti sui fronti di guerra, 2000 morti sotto i bombardamenti, decine di migliaia di case colpite, 232.000 soldati prigionieri, 37.000 dispersi. I rapporti dei questori affermano che il popolo non crede più a nulla e nessuno e tanto meno “alla vittoria”.

In questo contesto esplodono gli scioperi del Marzo 1943. Alle 10, ogni mattina, nelle città dell’Italia in guerra suonano le sirene. La mattina del 5 Marzo 1943, alla FIAT Mirafiori, la sirena non suona. I Lavoratori di un’officina, incrociano le braccia, gridando sciopero da un reparto all’altro. Lo sciopero è preparato dalla organizzazione comunista e, da Torino, dilaga in altri centri industriali attorno alla parola d’ordine delle 192 ore pagate a tutti e non soltanto ai capifamiglia sfollati, al fine di coinvolgere nella protesta anche i lavoratori meno coscienti politicamente. Dopo molti giorni di intensi e partecipati scioperi, il 2 Aprile Il Governo annuncia la corresponsione di un’indennità di caro vita per i lavoratori dell’industria, del credito, del commercio, delle assicurazioni, sia impiegati che operai. Un grande scacco per il regime ed una prima vittoria operaia e popolare. Questi sono gli elementi decisivi che porteranno al 25 Luglio e all’8 settembre del 1943.

Il nuovo Governo Badoglio si distingue particolarmente per la dura repressione delle manifestazioni operaie e popolari in seguito all’arresto di Mussolini, vissuto dal popolo come fine del regime fascista e della Guerra. Contro tali manifestazioni viene impiegata l’artiglieria provocando, nelle città italiane, decine e decine di morti e centinaia di feriti.
Gli scioperi dal 17 al 20 Agosto dimostrano che la classe operaia ha ripreso una iniziativa di lotta che non si è mai spenta.

Intanto a Roma, Milano, Torino, in Emilia, Toscana e Napoli ed in varie altre città italiane, i Comitati Antifascisti di Fronte Nazionale cominciano ad organizzarsi e ad acquisire una loro fisionomia sempre più autonoma. 
A Vittorio Emanuele III ed a Badoglio, invece, interessa soltanto di assicurare la continuità del loro potere mettendosi al riparo dalla cattura tedesca, passando dalla parte degli alleati,  abbandonando Roma nottetempo.

Roma e le principali città italiane cadono sotto l’occupazione nazifascista delle armate del maresciallo Kesserling e della rinata RSI, dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso, spesso dopo eroici combattimenti, come ad esempio nella difesa di Roma.

Da quando – 25 Ottobre 1943 – Luigi Longo telegrafa a Mosca che nella Italia occupata dai Tedeschi “sta nascendo la guerriglia” alla fine del Gennaio 1944, quando a Genova si conclude una rinnovata ondata di scioperi nelle città del triangolo industriale, passano 3 mesi che imprimono alla Resistenza Italiana i suoi caratteri distintivi: organizzazione di formazione armate partigiane sulle Alpi e L’Appennino ed entrata in campo contro il nazifascismo della classe operaia, con un’azione di massa, che si svilupperà ulteriormente nella primavera 1944.

Il PCI decide, ora, di formare, senza attendere il permesso di nessuno, i distaccamenti (poi Brigate e Divisioni) Garibaldi. Il Comandante Generale è Luigi Longo, il Commissario Politico Generale Pietro Secchia. Di tutti i gruppi sociali, soltanto la classe operaia del Nord dà l’impressione di reagire come gruppo omogeneo che, non solo ha coscienza di sé, ma si muove ed interviene. Se essa reagisce al regime di occupazione nazifascista con la lotta di massa, con le fermate di lavoro, con le rivendicazioni salariali e normative, ciò avviene perché questa strada è già stata imboccata da un anno, con gli scioperi del Marzo 1943.

In che misura, nella combattività operaia, va inserita l’influenza comunista, l’ammirazione che suscitano le vittorie sovietiche e l’azione dei militanti del partito lo si comprende dai rapporti dei dirigenti del partito a tutti i livelli che dimostrano la natura del rapporto dialettico esistente tra la spinta operaia rivendicativa e l’organizzazione dell’azione operaia da parte del PCI, per la lotta generale al nazifascismo.

La classe operaia, nel suo insieme, è il gruppo sociale più ostile al fascismo e lo dimostra cercando di spezzare le forme di oppressione fascista in fabbrica, nutrita dalla diffusa simpatia nelle sue file verso l’Unione Sovietica e Stalin e dalla speranza  di una liberazione che si identifica con i successi sovietici.

Le direttive del Centro del Partito sono chiare: passare dalla rivendicazioni minute all’organizzazione del sabotaggio sino a creare un’atmosfera di guerra che abbia come sbocco l’insurrezione armata della classe operaia per la liberazione del nostro Paese.

Su “La nostra lotta” si scrive: “la fabbrica deve diventare un campo di lotta non meno battagliera del fronte dei patrioti partigiani, sotto la guida dei comitati di agitazione composti dai migliori operai, dai più coraggiosi e tenaci di essi, adatti ad infondere nella massa lo spirito di lotta. Spetta ai comunisti di promuovere la formazione di questi comitati di agitazione clandestina.”

Così, applicando questi principi politici ed organizzativi, si arriva a quell’avvenimento eccezionale rappresentato dallo Sciopero Generale del Marzo 1944 che somiglia ad una battaglia partigiana, ad un episodio di guerriglia. Si tratta di uno sciopero politico generale a cui partecipano dai 500mila al milione di operai (a secondo delle fonti) che blocca, per una settimana, la grande industria italiana, dal 1 all’8 Marzo.
Lo sciopero dimostra che la Resistenza italiana è un movimento in cui la classe operaia si afferma quale forza d’urto fondamentale contro gli occupanti e che sono i comunisti ad esercitare ed a mantenere la direzione effettiva della lotta. I comunisti del nord sottolineano come ciò dimostri che solo una rottura netta e decisa con le forze e gli uomini complici del passato fascista, a partire dal Re e Badoglio, ma non solo, solo un Governo veramente popolare, espressione dei CLN, può assicurare l’unità del popolo italiano nella lotta contro il nazifascismo. Il nodo, appunto, sta nella concezione del CLN.

Non è più tempo di lotte parziali. La classe operaia affamata, esasperata, in guerra, è disponibile solo all’appello finale insurrezionale. Si deve andare ad un nuovo definitivo Sciopero Nazionale che sia la prova generale dell’insurrezione. Questo è l’obiettivo comunista che diventa anche dei Comitati di agitazione e dello stesso CLN. Questa è la posta in gioco. L’insurrezione va preparata bene. 
Con l’inizio di Aprile del 1945 siamo davvero alla vigilia dell’insurrezione e della vittoria. Il 10 Aprile, la direttiva n.16 del Centro del PCI a tutte le organizzazioni, indica la necessità di predisporre e scatenare vere e proprie azioni insurrezionali. Ora il punto decisivo diventa questo: l’insurrezione come fatto di popolo, come spinta di masse, come intervento attivo e coraggioso dei partigiani.
Ha scritto un uomo, Pietro Secchia, che tanta parte ha avuto nella preparazione di questo capolavoro: “L’insurrezione simultanea delle città industriali e dei più importanti centri dell’Italia occupata non ha precedenti nella storia del nostro e di altri paesi. Si può cercare su che si vuole nella storia d’Italia, non si può trovare un movimento di popolo di così grande ampiezza ed importanza.”
E se si segue la cronaca delle giornate insurrezionali, si vede che esse sono l’epilogo naturale di una lunga lotta in cui la classe operaia scrive pagini indimenticabili. Essa è la protagonista della liberazione delle grandi città ed i comunisti ne sono l’avanguardia reale.
I combattimenti che impegnano i partigiani negli ultimi giorni sono, a volte, di grande asprezza e di lunga durata. Lo Sciopero Generale è proclamato dal CLN. L’”Unità” che esce a Milano il 26 Aprile del 1945  con  un articolo significativamente intitolato “ Democrazia Progressiva”  ricorda che la classe operaia è alla testa della lotta con l’autorità che le deriva dal suo passato di sofferenza e di lotta.
L’accoglienza delle popolazioni è entusiastica per i partigiani in tutte le città liberate ed un tripudio accoglie Moscatelli a Milano.
Questo è stato il ruolo di avanguardia reale esercitato dalla classe operaia, alla testa del popolo in lotta contro il nazifascismo.
Dall’esempio degli operai e dei partigiani che scrissero la più nobile pagina della storia italiana, apprendiamo l’insegnamento sulla possibilità, anche nei momenti più bui e terribili della vita di un popolo, di sollevarsi contro gli oppressori e gli sfruttatori.
Oggi, per noi, questo vuol dire riprendere il cammino interrotto e costruire il Partito Comunista in grado di dare vita ad una ampia opposizione popolare contro il capitalismo e l’imperialismo per conquistare la rossa primavera di una società socialista e comunista fondata sull’uguaglianza, la giustizia sociale e la vera libertà.

INTERVENTO DEL COMPAGNO MASSIMO RECCHIONI DEL PARTITO COMUNISTA

Cari compagni, vi ringrazio innanzitutto per il privilegio che mi fate dandomi la possibilita’ di portare il mio saluto in una giornata cosi’ importante per il nostro Paese e il nostro Partito.

E’ il 25 aprile. Anche oggi, ma non da oggi, tutti si appropriano del 25 aprile. Siamo costretti, allora, oggi come altro ogni giorno dell’anno, a fare chiarezza e a rimettere diritta la barra della storia.

Perche’?

Perche’ SONO LORO, 120.000 Partigiani italiani trucidati, i NOSTRI morti, 80.000 dispersi, 50.000 mutilati dalla follia  nazifascista, coloro che meritano il nostro rispetto e il rispetto della Storia;

SONO LORO, le CENTINAIA DI MIGLIAIA di persone innocenti che il nostro Paese ha assassinato in modo barbaro in Africa, in Grecia, nei Paesi Slavi e in Albania, coloro che meritano il pianto, il cordoglio e almeno delle scuse che invece, ad oggi, non sono ancora mai state fatte a nessuno;

SONO LORO, SESSANTA MILIONI DI MORTI in maggioranza sovietici, i NOSTRI morti, sacrificati per colpa di una guerra espansionistica scellerata, a pretendere il dovere della riconoscenza di un mondo ipocrita che ha una Memoria goffa, mutevole e opportunista.

Dopo di questo arrivo’ il 25 aprile, in Italia, e arrivo’ l’8 maggio nel resto d’Europa. La “liberta’”…

Ma la democrazia liberale svesti’ i panni del mostro nazifascista e per tornare a indossare quelli del capitalismo “buono”. Per questo, in Italia e in Europa inizio’ fin da subito, con la complicita’ degli alleati e del Vaticano, la caccia alle streghe. E ci furono altre, numerosissime vittime.

SE L’ITALIA, SCONFITTO IL FASCISMO, FOSSE POTUTO DIVENTARE UN PAESE ANTIFASCISTA, LA NOSTRA STORIA SAREBBE STATA DIVERSA. INVECE NO, E NON POTEVA ANDARE DIVERSAMENTE.

Perche’ il fascismo era nato da un’economia devastata dalla prima guerra mondiale; era nato dopo la vittoria della rivoluzione sovietica in Russia, dopo una forte crescita del movimento operaio e contadino, dopo il biennio rosso e la nascita del Partito Comunista a Livorno nel 1921. Per questo, dopo la seconda guerra mondiale – e chiusa la “parentesi autoritaria” – mentre le classi dominanti restavano in sella mostrando, stavolta, il loro lato “gentile”, la loro cricca di squadristi veniva riciclata e sdoganata.

Cambiava la forma, non certo la sostanza: la democrazia borghese, che il fascismo aveva generato, non poteva quindi non ritrovare nei comunisti gli stessi nemici che aveva avuto il fascismo. La guerra fredda fece il resto, e di quella guerra il nemico strategico era lo stesso di sempre: l’unico progetto politico che quel sistema aveva intenzione di scardinare: il progetto di una societa’ comunista.

E allora?

Allora SONO ancora una volta LORO, le DECINE DI MIGLIAIA che furono perseguiti e perseguitati nel dopoguerra da una giustizia borghese gattopardesca, a gridare ancora oggi vendetta;

SONO LORO, DECINE DI MIGLIAIA DI COMUNISTI E PARTIGIANI cacciati dai loro posti di lavoro nel dopoguerra, i prima ad aver fatto le spese di una ricostruzione di un Paese sul lastrico sottoposto al continuo ricatto degli Stati uniti;

SONO LORO, LE DECINE DI MIGLIAIA DI COMUNISTI greci massacrati dall’Esercito regolare con l’apporto decisivo degli anglo-americani, ad attendere ancora giustizia;

SONO LORO, le CENTINAIA di esuli politici comunisti italiani sfuggiti nel dopoguerra allo Stato democratico, ad essere stati attesi invano da una madre e un padre che sono morti di crepacuore prima che riuscissero a dir loro “addio”.

E poi, da allora ad OGGI:

SIETE VOI, i Nuovi Partigiani:

gli 11 MORTI DI PORTELLA DELLA GINESTRA;

gli operai comunisti reggiani Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, uccisi nel 1960 dal governo Tambroni;

Piero Bruno, Walter Rossi, Giorgiana Masi, Fausto e Iaio, Peppino Impastato, Valerio Verbano, e decine e decine di altri fino a Carlo Giuliani e oltre, l’espressione del dissenso sociale e della ribellione, le vittime della ferocia di un regime che si fa percepire “democratico”. Certo. Ma solo a patto che non gli si dia veramente fastidio!

Dobbiamo dire con chiarezza che fascismo e nazismo – come lo sono, secondo il momento storico contingente, l’imperialismo, le mafie, le strategie della tensione, le leggi speciali – furono figli “degeneri” voluti e foraggiati dal capitalismo; mostri che neanche esso, a un certo punto, riusci’ piu’ a controllare e dovette combattere. Cosi’ come allo stesso modo, negli anni seguenti il capitalismo stesso ha schizofrenicamente generato, salvo poi combatterli, una lista interminabile di amici poi diventati nemici: dall’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia. Chissa’ quanti ancora ne verranno!

Il rimedio allora, dobbiamo sostenerlo con forza, puo’ essere trovato solo alla radice, quindi estirpando il male “alla radice”. La soluzione passa attraverso il rovesciamento di questo sistema socioeconomico che, tra guerre, ingiustizie sociali, disoccupazione, continua a provocare nel mondo morti a milioni.

La soluzione e’ un mondo socialista, dove la parola “Lavoro” sia posta all’inizio del dizionario e la parola “sfruttamento” da esso venga espunta.

Qualsiasi altra lettura “buonista” e decontestualizzata del 25 aprile, allora, come qualsiasi edulcorazione della guerra partigiana, sarebbe non solo incompleta e ipocrita, ma presterebbe il fianco, facendone il gioco, a un’impossibile pacificazione nazionale e a un odioso revisionismo.

I comunisti non hanno NULLA di cui vergognarsi, se non l’aver posto l’eguaglianza sociale e l’abbattimento delle classi alla base del loro progetto politico, se non l’essere stati troppo ingenui e troppo buoni, a tal punto da essere “usati” da un regime che puntava soltanto a riprodurre se stesso.

Ma i comunisti rivendicano anche “in todo”, senza SE e senza MA, il loro ruolo protagonista nella guerra di Liberazione; rivendicano tutto cio’ che, in quella fase, di vera e propria guerra cruenta, compirono TUTTI.

A partire da Luigi Longo, Pietro Secchia, Giovanni Pesce, Sandro Pertini, per arrivare a Cino Moscatelli, Francesco Moranino, Rosario Bentivegna e Carla Capponi, Walter Audisio, Dante Di Nanni, Giancarlo Pajetta e a tutte le altre migliaia di Partigiani e Partigiane. Ogni azione dei Gap, dei Sap, delle Brigate Garibaldi, degli “ultimi” borgatari ribelli.

Quanto sangue, quanto martirio: tutto questo per dare al Paese un futuro migliore che non si e’ mai compiuto.

Dobbiamo constatare che resta ancora, oggi piu’ che mai, di drammatica attualita’ il testo della vecchia e triste canzone “Per i morti di Reggio Emilia”:

“Il solo vero amico che abbiamo al fianco adesso

e’ sempre quello stesso che fu con noi in montagna…

ed il nemico attuale e’ sempre e ancora uguale

a quel che combattemmo sui nostri monti e in Spagna”…

Oggi, in attesa di un nuovo “ALDO DICE 26 PER UNO”, la parola d’ordine che il 25 aprile del 1945 fece scattare l’insurrezione, continuiamo a dire con tutta la voce che abbiamo:

Non sarete dimenticati! Viva il Sol dell’avvenire!

INTERVENTO DEL COMPAGNO RAFFAELE TIMPERI A NOME DEL FRONTE DELLA GIOVENTÙ COMUNISTA.

Oggi, 25 aprile, ricorrono i settant’anni della vittoriosa insurrezione del popolo milanese e lombardo, culmine della più generale insurrezione popolare che liberò il Nord Italia dal nazifascismo. Ricordiamo dunque un evento eccezionale, che nella nostra storia nazionale non ha eguali, ma soprattutto impegniamo tutte le nostre forze a proseguire una lotta iniziata con la Resistenza per la costruzione di un’Italia più giusta, libera e solidale.

In questi giorni diverse celebrazioni istituzionali stanno ricordando questo importante avvenimento. Tutte hanno in comune il tradimento generale con cui la lotta di liberazione nazionale viene ricordata. Non è un fatto nuovo: già negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra il significato di profondo rinnovamento democratico che la resistenza aveva portato con sé, era stato dimenticato, sovvertito, tradito, adattandolo agli stretti schemi del ritorno alla democrazia parlamentare borghese, quella stessa forma di governo che aveva visto nascere il fascismo e che ad esso non aveva opposto alcuna resistenza.

Viene tradita con operazioni di stampo revisionistico che in Italia, come in tutta Europa –  e vale la pena menzionare il recente caso dell’Ucraina e le legislazioni anticomuniste degli stati dell’est, nonché le risoluzioni della UE, che spesso hanno visto la complicità della Sinistra Europea – puntano ad equiparare carnefici e vittime, vinti e vincitori, i responsabili della distruzione e della barbarie provocata dal fascismo e dalla guerra, con coloro che eroicamente ad essa si opposero, spesso a costo della vita e di atroci sofferenze in nome di un’ideale di libertà e di riscatto dalle ingiustizie.

Così oggi dopo anni di criminalizzazione della Resistenza, di processi giudiziari e mediatici, menzogne funzionali a quel processo di equiparazione e revisionismo oggi purtroppo diffuso nella coscienza popolare e specie nelle nuove generazioni, si omette definitivamente il ruolo che il Partito Comunista e la Federazione Giovanile Comunista ebbero nell’organizzazione della lotta di liberazione, nel contributo di sangue che essi versarono per liberare l’Italia. Spetta a noi comunisti, oggi più che mai, ricordare questi fatti ma soprattutto riprendere in mano la bandiera della lotta di liberazione, far riscoprire alle nuove generazioni il valore profondo che questa storia ha anche di fronte alla condizione di oggi, rivendicare con orgoglio, consapevolezza e coscienza il ruolo dei comunisti che oggi si vuole nascondere.

Pietro Secchia, che della gioventù comunista, prima, e del partito comunista poi fu grande dirigente e animatore della lotta di liberazione, ricordava pochi anni dopo la liberazione che il primo modo attraverso il quale si falsifica la storia della resistenza è «la tesi secondo cui essa fu un ‘movimento spontaneo’ al quale parteciparono indistintamente tutte le classi sociali, tutto il popolo» o al contrario «ponendo alla sua testa soltanto alcuni uomini come i protagonisti di tutto». La resistenza non sorse dal nulla, né da un solo moto spontaneo d’orgoglio, rivalsa e senso di giustizia, che pure ci fu e fu a mano a mano sempre più vasto, ma che solo, nulla avrebbe potuto senza organizzazione.

Quando il fascismo esplose come fenomeno in grado di giungere al potere, mostrando successivamente tutto il suo volto reazionario ed antidemocratico, la classe operaia ed anche il suo partito di riferimento giunsero impreparati a cogliere le caratteristiche di un fenomeno che si presentava come nuovo nella storia, che richiese tempo prima di tutto per essere compreso nei suoi caratteri essenziali, premessa imprescindibile per condurre contro di esso una lotta realmente incisiva.

Il movimento operaio veniva da sconfitte e divisioni, da una direzione riformista da una parte e da un massimalismo inconcludente dall’altra, che prestarono il fianco all’organizzazione della reazione, che diedero alla grande borghesia il mezzo per contrattaccare servendosi dei fascisti.

Non fu facile per il Partito Comunista risollevarsi dopo centinaia di arresti tra i propri dirigenti. E non dobbiamo mai dimenticare il ruolo prezioso che l’Unione Sovietica ebbe in questo senso, dando ai comunisti rifugio, assistenza, mezzi per poter proseguire incessantemente l’azione politica in Italia.

Ogni storico onesto, ogni uomo che conosca la storia del nostro Paese non può non ricordare il contributo che i comunisti, negli anni della clandestinità diedero alla ricostruzione di una rete di opposizione al regime fascista nel Paese. Una rete fatta di presenza nelle fabbriche, di collegamenti, di radicamento diretto tra le masse. Dopo essere riusciti a ristabilire all’estero una direzione del Partito, a differenza di molti partiti antifascisti che esaurivano la propria attività in azioni morali, velleitarie e inconcludenti, i comunisti compresero che era necessario rinsaldare i legami con la classe operaia e le masse popolari italiane, ricostituendo un centro interno, in Italia, per l’azione del partito.

Qualsiasi storico onesto, chiunque conosca la nostra storia, deve riconoscere che è qui che sono le radici della Resistenza, con quel processo di analisi e cambiamento della linea politica del partito che conosciamo come “svolta del ‘29”, che facendo tesoro della lezione degli anni bui e degli errori fatti in precedenza, crea le premesse per ricostruire in Italia il partito, e divenire nelle masse unico elemento di un’opposizione certo clandestina, certo nascosta, ma presente e pronta a balzare alla luce quando fosse necessario. La svolta del ’29 che anticipa una serie di riflessioni interne all’Internazionale Comunista è un vanto della storia della gioventù comunista, perché per essa si spesero più di tutti e con maggiore convinzione i giovani dirigenti del PCI ed in particolare Luigi Longo e Pietro Secchia. E’ un monumento che ricorda a tutti noi le responsabilità storiche che ha la gioventù nella costruzione del movimento comunista ed in particolare nella straordinaria capacità dei comunisti di rialzarsi dopo le sconfitte. È la gioventù che prende le redini nel momento essenziale e che impone quella svolta con forza e convinzione.

I lineamenti essenziali di questa decisione che il Partito prende allora possono essere così riassunti: stabilire cellule comuniste clandestine nelle fabbriche, a partire dalle grandi concentrazioni operaie del nord del paese, infiltrare i sindacati fascisti con l’obiettivo di rivolgere contro di essi i lavoratori; trovare elementi di contatto con le masse giovanili, coinvolte nelle attività del regime fascista; rinsaldare i legami delle federazioni, rendere quei circa 2.000 comunisti rimasti nel paese, elementi di avanguardia della lotta contro il fascismo, curandosi allo stesso tempo di prevenirne gli arresti, rendere il loro lavoro per quanto possibile sicuro per non perdere elementi, cosa che accadde di continuo ed in modo inevitabile, ma da cui i comunisti seppero sempre rialzarsi e combattere con più forze.

«Noi non possiamo nasconderci – scrisse Togliatti dando forza alla posizione espressa da Longo e Secchia – che domani, quando si porrà il problema di dirigere dei movimenti di massa, non potremmo lasciare la direzione politica organizzativa di questi solo alle forze di base e pensare che queste lavorino senza che noi, gli attuali membri dirigenti del partito interveniamo a guidarle. Noi dobbiamo essere pronti a dirigere il partito e le masse nel corso del movimento stesso. Non possiamo pensare di rientrare sul cavallo bianco o a vele spiegate.»

A differenza dei partiti antifascisti che fecero del presunto esempio morale l’attività principale, il Partito Comunista mirò sempre alla concretezza nella sua attività a ristabilire e fortificare il contatto con le masse. Tutti i professionisti, specialmente i professori, dovevano giurare fedeltà al fascismo, mantenendo le proprie posizioni e continuando quella lenta ed incessante opera di opposizione, dalla propria posizioni di forza all’interno dei luoghi di lavoro, delle scuole, delle università, dell’apparato statale fascista, per individuare elementi di opposizione e coinvolgerli nell’azione del partito, pronti a scatenare quando ve ne fossero le condizioni, quelle rivendicazioni di classe che sole potevano smascherare agli occhi dei lavoratori la natura oppressiva e antipopolare del fascismo.

Questa azione lenta e incessante non cadde sotto i colpi dell’OVRA, la polizia fascista che pure grazie all’opera di infiltrati riuscì spesso a distruggere interi settori dell’organizzazione. Furono centinaia e centinaia i dirigenti e i quadri comunisti incarcerati e mandati al confino, ma ad essi si sostituivano sempre nuovi dirigenti, nuovi quadri. Le organizzazioni distrutte dall’opera della polizia fascista venivano ricostituite e tornavano ad essere presenti. Questo anche durante gli anni più difficili, in cui il fascismo godeva nelle masse di un indiscusso consenso, e soprattutto aveva dalla sua in modo compatto tutta la grande borghesia industriale del nord e agraria del sud del paese. Le stesse parole usate dalla polizia fascista spiegano il perché di questa capacità del Partito Comunista. Ecco cosa scriveva il capo della polizia fascista nel 1930 in un documento riservato:

« Il partito comunista, ammaestrato dalle dure lezioni ricevute in un passato ormai remoto, nell’anno scorso e nei primi mesi dell’anno corrente, ha perfezionato i sistemi di lotta, giungendo a procedimenti cospirativi che quasi non possono controbattersi con gli ordinari mezzi di polizia. Indubbiamente – bisogna costatare – i metodi di dirigenza intelligenti e abilissimi non avrebbero speranza di grandi successi pratici se non trovassero riscontro nell’audacia, che a volte rasenta la temerarietà dei comunisti e che – strenui difensori dell’idea – affrontano ogni rischio pur di riprodurre il manifestino di propaganda con mezzi di fortuna, distribuire la stampa, raccogliere fondi per il soccorso rosso.» Questo scriveva la polizia fascista.

E’ grazie a questa straordinaria azione di uomini comuni, che non si tirarono indietro di fronte alla prospettiva di anni di carcere, di confino, di requisizioni e problemi di ogni sorta  per se stessi e per le proprie famiglie, in nome di un ideale superiore di libertà e giustizia, che si crearono le basi per la lotta al fascismo. Il contributo degli anni della clandestinità non deve essere dimenticato, perché senza di esso il Partito Comunista non avrebbe potuto esercitare il suo ruolo nella guerra di liberazione e la prova contraria è che quei partiti che non fecero lo stesso, che non affrontarono la stessa palestra di organizzazione e clandestinità si trovarono impreparati quando da questa dura e incessante guerra di posizione, gli eventi della guerra resero necessario il passaggio ad una forma di guerra aperta che unisse gli elementi più avanzati della classe operaia e delle masse popolari, verso la prospettiva insurrezionale.

L’azione dei comunisti in quegli anni si svolse in stretto contatto con il movimento comunista internazionale. Senza l’Internazionale, senza l’URSS il partito avrebbe potuto ben poco. La Guerra Civile Spagnola – anche questa pagina dimenticata nella nostra storia – vide il Partito Comunista partecipare alla costituzione delle brigate internazionali. Qui per la prima volta combatterono le Brigate Garibaldi sotto il comando di valorosi capi politici e militari, come Luigi Longo, Guido Picelli, che in Italia era stato l’animatore dell’esperienza degli Arditi del Popolo. In essa forgiarono le loro capacità comandanti partigiani del calibro di Giovanni Pesce, che poi guiderà i GAP a Torino e Milano, Ilio Barontini, Antonio Roasio, Giuseppe Di Vittorio, tanto per citarne alcuni.

Il fascismo portò l’Italia alla rovina e alla disfatta con la guerra. Una guerra che con l’attacco all’Unione Sovietica rese chiara la sua radice imperialista, ma che attraverso  l’eroica resistenza sovietica, battaglie come Stalingrado, gli assedi di Mosca e Leningrado, innalzò il prestigio dell’URSS e del movimento comunista. Tra pochi giorni ricorrerà anche il 70° anniversario della presa di Berlino e della fine della seconda guerra mondiale. Insieme alle gioventù comuniste di tutta Europa ci siamo impegnati a ricordarne l’importanza e a ricordare il ruolo dei comunisti e dell’URSS proprio oggi, mentre i tentativi di equiparazione sono più forti. Ebbene spesso si parla in Italia del contributo degli Alleati, innegabile e fondamentale sia chiaro. Forse anche per la nostra situazione nazionale, ma certamente per esigenze politiche si dimentica però che l’URSS da sola combatté sul campo, lasciando decine di milioni di morti nel suo popolo, affrontando la Germania nazista sul campo. Quando gli alleati sbarcarono in Italia e poi in Normandia le armate nazifasciste erano già state ricacciate da Stalingrado e l’URSS iniziava la sua marcia verso Berlino.

Il prestigio sovietico diede linfa ulteriore al partito nella sua azione in Italia, fondendosi in un senso comune con la disfatta degli eserciti dell’Italia fascista in Russia. La situazione della guerra e la condizione in cui le masse popolari erano precipitate in Italia consentì le prime operazioni di lotta aperta che coinvolsero le principali città italiane.

Gli scioperi del ’43 meritano nel nostro ricordo un pensiero particolare. Grazie a quella incessante azione clandestina che aveva consentito ai comunisti di mantenere il contatto con le masse, gli scioperi operai suonarono in pieno regime fascista come la campana dell’inizio della lotta. Per la prima volta dopo venti anni gli operai scioperavano paralizzando le città del nord. Fu questa la prima causa della sconfitta di Mussolini, di lì a poco rimpiazzato con Badoglio, da una borghesia che comprese che avrebbe dovuto il prima possibile liberarsi dalla sua compromissione con il fascismo.

Le vicende dell’8 settembre sono note a tutti. È noto che la scarcerazione dei dirigenti comunisti al confino e nelle carceri consentì un’azione più incisiva del partito. Qui si pose un ulteriore problema, quello di quale caratteristica l’azione politica dovesse avere nel quadro di una resistenza del fascismo e dell’occupazione militare tedesca che andava prefigurandosi. Una situazione per la quale l’azione politica si scontrava con un’aperta azione militare della polizia, delle brigate fasciste e dei nazisti.

Anche qui il Partito Comunista seppe compiere scelte decise ed importanti. Su condivisione della linea sovietica espressa da Stalin il PCI sostenne il governo Badoglio, creò le premesse per la più ampia unità delle forze antifasciste, chiedendo di sedere con pari dignità – e di dignità in realtà il PCI ne aveva ben di più, data la sua forza reale che stava diventando forza di massa, mentre altri partiti esistevano solo nei loro leader e sulla carta – chiese pari dignità con tutte le forze politiche, rompendo l’isolamento nazionale ed internazionale dei comunisti. Impose cioè che la situazione di fatto rendesse chiaro il riconoscimento anche sul piano formale. La Svolta di Salerno ha avuto un contributo importante nella liberazione e non va confusa con errori e accomodamenti successivi. La situazione esigeva quello in quel momento e i comunisti fecero la loro parte.

Ma svolta ancora più importante fu la consapevolezza della necessità di contribuire alla liberazione del Paese attraverso la creazione di vere e proprie formazioni militari. La seconda ed importante svolta avvenne così, preparando innanzitutto il partito a questa necessità. Non bisogna dimenticare la tradizione pacifica del movimento operaio, la lezione leninista sull’inconcludenza delle forme terroristiche. Ma tutto questo avveniva in contesti di lotta democratica, che nulla avevano a che vedere con la situazione dell’Italia tenuta in ostaggio dai nazifascisti. Fu una lunga ed importante opera di convincimento e preparazione, per rompere quelle forme di attesismo che in buona fede esistevano anche tra i comunisti. La guerra contro l’URSS e dunque contro il socialismo, la dittatura fascista nella sua forma più criminale, la presenza dei nazisti e l’esposizione di qualsiasi lavoro politico, anche quello della semplice propaganda, alla pena di morte, a torture e privazioni; la consapevolezza che l’avanzata alleata necessitava di un ruolo autonomo delle masse italiane che sole avrebbero potuto garantire una vera rottura con l’ordine precedente e non una semplice restaurazione. Tutto questo spingeva a considerare come storicamente necessaria ed inevitabile l’opzione della lotta armata. Anche qui il PCI fu il primo partito ad operare in tal senso, a sostenere l’iniziativa spesso spontanea di settori sbandati dell’esercito, a prendere con essi collegamenti, inserendo nelle prime formazioni, elementi politici, poi veri e propri commissari, in grado di dare direzione e consapevolezza ai primi elementi di resistenza.

Attraverso il reclutamento degli elementi più attivi, dei giovani, attorno a militari tornati dalle disfatte fasciste, garibaldini di Spagna, compagni che conoscevano l’uso delle armi, si formarono ad opera del PCI le prime formazioni partigiane.

Da subito il Partito comprese che sarebbe stato necessario del tempo, che non tutto si sarebbe potuto organizzare da subito nei dettagli. Come scrisse Luigi Longo, che fu a capo delle formazioni Garibaldi: «Partimmo dal principio che il moto si impara camminando, che la lotta si elabora combattendo.» Il partito si oppose alle idea di costituire un esercito da tirare fuori solo all’ora X, al contrario sostenne con rigore la necessità di condurre una lotta immediata fin da subito, con tutti i mezzi (pochi) che allora erano a disposizione. Fu l’audacia e la spregiudicatezza nell’azione, la capacità di cogliere di sorpresa fascisti e tedeschi, spesso anch’essi provati dalla guerra e fiaccati dalle prospettive di una sconfitta sempre più chiara.

Le formazioni partigiane dovettero trovare le loro armi strappandole dalle mani del nemico, mano a mano che si lottava l’organizzazione si fortificava, nuovi giovani affluivano alla lotta armata, ad essa si accompagnava un sostegno nella popolazione. Ma all’inizio fu la consapevolezza e la forza di pochi a determinare la via e a segnare il passo; la convinzione profonda che animò i comunisti e i più sinceri antifascisti. Quell’idea che Giovanni Pesce in Senza Tregua ricorda con una frase che nei momenti difficili, anche oggi, ogni nostro militante deve tenere a mente. «Il partito sei tu».  E’ a ogni comunista che spetta contribuire con le sue possibilità, capacità, con le sue forze al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione, senza aspettare che il lavoro arrivi bello e pronto da chissà chi.

Non fu opera facile, anche perché fin da subito i settori legati alla borghesia, al Vaticano, alla monarchia, temevano il coinvolgimento delle masse popolari nella lotta di liberazione. L’idea del popolo in armi, della coscienza e del ruolo della classe operaia  e delle masse popolari nella liberazione, l’associazione immediata con la perdita della posizione di direzione e di rendita sotto il profilo politico economico, lasciavano la borghesia attonita, spiazzata e pronta a contrastare con tutte le sue forze quella prospettiva. Dentro lo stesso CLN sono note le divergenze tra le forze popolari, comunisti, socialisti e azionisti e la democrazia cristiana e i partiti liberali, monarchici dall’altra. I comunisti non accettarono mai l’idea di attendere la liberazione da parte degli angloamericani, di consentire che tutto si risolvesse in un ritorno a prima del fascismo, senza dare battaglia. La strategia del Partito fu dunque unica sotto il profilo militare e politico: solo la partecipazione attiva delle masse avrebbe potuto portare alla capitolazione del fascismo; solo il protagonismo della classe operaia, dei contadini, degli studenti avrebbe creato le premesse per costruire una società nuova.

La storia del movimento operaio ricordava questo. Marx ed Engels, proprio commentando le guerre d’indipendenza italiane avevano scritto: «Un popolo che vuole conquistarsi l’indipendenza non deve limitarsi a mezzi di guerra ordinari. L’insurrezione in massa, la guerra rivoluzionaria, la guerriglia dappertutto, sono gli unici mezzi con i quali un piccolo popolo può vincerne uno più grande, con i quali un esercito più debole può far fronte ad un esercito più forte e meglio organizzato. »

Solo la guerriglia partigiana, solo un’azione di resistenza radicata nelle masse avrebbe potuto fiaccare il nemico fascista. E allo stesso tempo, per citare le parole di Luigi Longo: «Siamo tutti d’accordo che quando parliamo di democrazia non intendiamo il ritorno puro e semplice alla vecchia democrazia che ha aperto la strada alla reazione e al fascismo, ma intendiamo la creazione di qualche cosa di nuovo che possa permettere alle forze popolari di non lasciarsi più sorprendere impreparate e disarmate alla reazione.»

Su queste premesse e con questi obiettivi sorse, grazie all’iniziativa dei comunisti prima di tutto, quello straordinario movimento di liberazione che conosciamo con il nome di Resistenza. Si è detto e scritto molto sull’idea di un secondo Risorgimento nazionale. Ciò che è essenziale è che per la prima volta un movimento di massa in Italia porta con sé la direzione politica delle classi popolari e non di settori della borghesia. Le masse popolari italiane che avevano conosciuto la rivoluzione passiva del fascismo, oggi prendevano le redini della storia del proprio paese. La gioventù che pure era nata e vissuta per vent’anni sotto la propaganda fascista, si ribellava e ingrossava le file del movimento di liberazione nazionale, propugnando un’ideale di libertà e giustizia che chiedeva la fine del fascismo.

Se tutto questo poté avvenire fu grazie alla capacità dei comunisti di collegare la lotta armata delle formazioni partigiane con la lotta politica ed economica che si svolgeva in tutti i settori della società. La lotta di liberazione fu questo straordinario insieme di donne e uomini che ciascuno secondo le sue possibilità, le sue capacità, i suoi compiti diede un contributo alla lotta.

Ogni esercito, specie un esercito di guerriglieri, non può nulla senza uno stretto rapporto con la popolazione locale, senza un’organizzazione alle spalle che è fatta di ruoli non direttamente militari ma logistici e organizzativi. La resistenza è stata un grande esempio di questo. Furono i comunisti a suggerire la differenziazione dei ruoli, le modalità di organizzazione. È così che nacquero i GAP nelle città, è così che in tutti i quartieri e nei posti di lavoro le Squadre di azione patriottica garantivano il sostegno e l’appoggio; era il Partito a garantire i legami con le masse contadine. L’azione nelle fabbriche e nelle montagne nella sua evidente differenze rispondeva ad un unico grande scopo.

Oggi non si ricorda mai il contributo che la classe operaia diede per sabotare la produzione delle industrie militari o di tutte quelle industrie che producevano direttamente per tedeschi e fascisti: si dimentica come i sabotaggi impedirono lo smantellamento delle industrie ed il trasferimento in Germania.

Gli operai, i tranvieri, i tecnici, i contadini, proprietari non delle imprese, ma della tecnica e della capacità di svolgere il proprio lavoro, adopravano questa loro conoscenza materiale come strumento di resistenza, e allo stesso tempo dimostravano in concreto, nelle peggiori condizioni, come la classe lavoratrice sia la vera proprietaria dei mezzi di produzione, sia in grado da sola di portare avanti e dirigere la vita economica e sociale del paese. La resistenza è stata anche questo, una dimostrazione chiara di capacità di autogoverno delle masse popolari, sotto la guida dei comunisti e delle forze progressiste che ad essi si unirono per condivisione di un chiaro programma di rinnovamento sociale.

Le comunicazioni dei tedeschi venivano intercettate e passate ai comandi del CLN dai tecnici che lavoravano nelle comunicazioni; gli operai nascondevano i pezzi essenziali delle macchine rendendo così il loro trasferimento inutile; i treni con materiale bellico venivano deviati e fermati prima delle frontiere; le fabbriche di tessuti fornivano le loro divise al Corpo dei volontari della libertà. Ogni rivendicazione economica era utilizzata come mezzo politico contro il fascismo, scioperi, sabotaggi, propaganda tra i giovani nelle scuole, nelle università, reclutamento dei sappisti, dei gappisti, dei partigiani di montagna, scambi, coperture, collegamenti. Tutto questo fu organizzato, dimostrando che i lavoratori possono essere padroni oltre che della tecnica, del proprio destino.

Tutto questo ovviamente ebbe un caro prezzo di vite. Migliaia – spesso di giovanissimi –  caddero sul campo di battaglia, o dopo atroci torture da parte dei fascisti e dei nazisti. Centinaia di stragi furono compiute, migliaia di persone deportate nei campi di concentramento. Nessuna organizzazione avrebbe potuto evitare questo, e i nomi di quei tanti ragazzi, oggi spesso dimenticati, restano nelle nostra memoria ad esempio di cosa significhi professare e credere in un ideale. Noi non dimentichiamo quel sacrificio, ci impegniamo oggi qui solennemente a rinnovare quel giuramento di fedeltà alla nostra storia e a proseguire quella lotta.

L’insurrezione nazionale del 25 aprile fu il momento più alto della storia nazionale del nostro Paese. Eppure nonostante i propositi, il valore e il ruolo nella lotta, alle masse popolari fu strappata questa vittoria, per consegnarla mano a mano nelle mani della stessa borghesia che era stata responsabile dell’ascesa del fascismo, al dominio imperialista, alla presenza di criminali fascisti inseriti negli apparati dello stato con il compito di reprimere le lotte del movimento operaio, ed impedire un avanzamento sulla via di una democrazia dei lavoratori, per costruire un’Italia socialista.

Le nostre organizzazioni, oggi presenti in questa iniziativa hanno insieme e parallelamente svolto importanti attività di analisi per studiare gli errori che si produssero nel dopoguerra, che impedirono una più vasta e radicale azione per fermare le forze della reazione e allo stesso tempo avanzare verso il socialismo. Non è oggi il luogo e il momento di menzionare questa riflessione, perché fortunatamente è ormai parte integrante della nostra analisi politica.

Anche qui possono esserci di aiuto le parole di Longo, di uno scritto del maggio del 1970 pubblicato da l’Unità. «Il problema di oggi – scrisse Longo – non è di ‘celebrare’ la Resistenza, come fatto definitivamente compiuto e da consegnare alla storia. Occorre riprenderne le idee ispiratrici per andare avanti sulla strada aperta dalla Resistenza.»

Ancora oggi la questione della sovranità popolare di fronte al dominio imperialista, la subordinazione economica, politica e sociale della classe operaia e delle masse popolari, i problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la disoccupazione, l’aumento dello sfruttamento sul lavoro, la precarietà per le nuove generazioni, l’attacco all’istruzione, alla sanità, l’attacco alle conquiste che con tutte le contraddizioni la stessa Italia repubblicana aveva conosciuto, sono elementi che devono rafforzare la nostra convinzione nella lotta, la nostro nuova forma di protagonismo delle masse nella direzione dell’abbattimento del capitalismo. La Resistenza dunque non va celebrata, ma la sua lezione, deve accompagnarci nell’azione quotidiana, deve insegnarci che anche nei momenti bui i comunisti hanno saputo rialzarsi e prendere in mano la direzione delle lotte. Difendere la memoria della resistenza, il ruolo dei comunisti in essa, vuol dire lavorare oggi con convinzione e forza per costruire in Italia un forte Partito Comunista per radicarlo tra i lavoratori, i disoccupati, i giovani.

Memori di questa grande responsabilità, rinnoviamo oggi, in questa occasione, quel giuramento di non darci tregua, di lottare con tutta la nostra forza, il nostro entusiasmo, la nostra convinzione per costruire un’Italia libera, realmente democratica, socialista. Fedeli alla nostra storia, avanti fino alla vittoria!

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