PROFUMO DI GUAI

PROFUMO DI GUAI

CSP-PARTITO COMUNISTA CHIAMA ALLA MOBILITAZIONE TUTTI I LAVORATORI DELL’UNIVERSITÀ, GLI STUDENTI E LE LORO FAMIGLIE PER DIFENDERE IL VALORE DEL TITOLO LEGALE E IL RUOLO DELL’UNIVERSITÀ PUBBLICA E STATALE ITALIANA.  (di Alberto Lombardo, responsabile Università)

 

Il Governo impostoci dalle banche europee, capitanato dal Rettore della Bocconi, Mario Monti,

lancia l’attacco finale al ruolo dell’università pubblica e statale, per trasformarla definitivamente da

strumento di promozione sociale e culturale per dare a tutti i giovani (teoricamente) le stesse

possibilità di promozione sociale, a strumento per la selezione di classe preventiva.

L’attacco viene da lontano.

Già la riforma Berlinguer aveva dato la prima zappata alla pianta, rompendo l’unità culturale

dell’Università, introducendo la cosiddetta “autonomia” universitaria. In realtà tale autonomia ha

solo aperto il varco per creare differenze tra i vari atenei, sia dal punto di vista finanziario, che

culturale, ha creato ulteriori concrezioni di potere locale, ha messo sotto ricatto gli atenei rispetto al

finanziamento centrale e ha creato la parcellizzazione dei corsi di studio rendendo meno trasparente

e meno facile la mobilità territoriale.

I lunghi anni del governo Berlusconi di riduzioni costanti del finanziamento centrale, basato su

criteri di valutazione discutibilissimi e sempre ‘premiali’ e mai ‘compensativi’, hanno portato

sull’orlo del collasso economico la maggior parte degli atenei più grandi e soprattutto quelli del

Centro-Sud. Che significa premiali? Che il finanziamento è maggiore o minore in base alle tue

capacità di rispondere a requisiti fissati dall’alto. È come dire: fisso le regole del gioco a metà gara,

ma non guardo quanto ‘migliori’ la tua posizione, ma solo dove sei arrivato. Questo criterio

“meritocratico” è doppiamente penalizzante, in quanto un Ateneo che si trova in un territorio

svantaggiato o ha una classe docente che ottiene per qualunque ragione risultati peggiori, anziché

trovare sostegno finanziario e culturale per uscire dal sottosviluppo, viene precipitato in una

situazione senza ritorno. Hai più soldi, avrai migliori strutture e potrai chiamare migliori docenti,

così avrai più soldi, ecc. Una borghesia nazionale seria come quella svedese, anche con un governo

di destra, manda i migliori professori e finanzia di più le scuole dei quartieri con maggior tasso di

sofferenza sociale. Ma la nostra non è più (se mai lo è stata) una borghesia nazionale, ma solo un

pugno di affaristi e ‘prenditori’.

«Secondo i dati Eurostat, calcolati a parità di potere d’acquisto, in Italia si spendono mediamente

poco più di 7.200 euro per studente, circa 2.000 euro in meno rispetto alla media dei 27 Paesi UE.

Anche per quanto riguarda il rapporto tra spesa per studente e PIL pro-capite l’Italia assume un

valore (28%) ben al disotto della media UE (39%)». Da: L’università in cifre 2009-2010, MIUR.

http://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2012/01/Universit%C3%A0-in-cifre-2009-10.pdf

Non si può non notare un particolare accanimento regionale verso i territori più svantaggiati del

governo Berlusconi. Nel triennio 2008-2010 i finanziamenti ordinari sono passati “mediamente” da

7.349.069.668 a 6.999.813.089  di euro con una diminuzione del 4,75%, ma queste riduzioni non sono uguali per tutti. Infatti mentre il Nord ha subito le decurtazioni minori (talvolta addirittura

incrementi) con variazioni limitate tra i vari atenei, il Centro presenta maggiori fluttuazioni; ma

sono gli atenei del Sud e ancor più quelli delle Isole che hanno avuto i decrementi uniformemente

più forti.

Un’altra indicazione del decadimento culturale della società italiana si può registrare nel tasso di

passaggio dalle scuole superiori all’università. Ricordiamo che l’Italia non solo ha un tasso di

laureati tra i più bassi d’Europa (la percentuale di laureati nel nostro paese nella fascia di età

compresa tra 25 e 34 anni è pari al 20%, la media dei paesi OECD è del 35%) ma essa è in calo. Ma

anche tra il tasso di occupazione tra i laureati è tra i più bassi (71,4% per i triennali, 55,7% per gli

specialistici, dati 2009) e in diminuzione (-6/7% rispetto al 2007). Succede cioè che, anziché

favorire l’accesso allo studio e quindi all’occupazione più qualificata delle giovani generazioni, si

inaridisce la pianta. I tassi di passaggio dalla scuola superiore all’università, dopo una fase

transitoria coincidente col varo nuovo ordinamento che aveva illuso tanti giovani, sono tornati ai

livelli precedenti al 2000 (dal 62,6% del 2001/02, al 72,7% del 2002/2003, e il 64,6% per centro-

Nord fino a un 60,9% per il Sud nel 2009/10). La situazione è ancor più drammatica per la Sicilia

che passa da un 59,1% del 2000/01 a un 71,2% del 2002/2003 al baratro del 52,2% del 2009/10.

(Dati SVIMEZ) Questa è la testimonianza di un estremo disagio sociale. Di che ci si meraviglia

quando poi scoppiano le rivolte dei forconi?

A questo punto la pianta, già indebolita e assetata, è pronta per essere fatta a pezzi attraverso il

classico sistema dello “spezzatino”, come si fa con le aziende per lucrare al massimo: i pezzi buoni

si tengono e quelli meno redditizi si buttano, con tutta la gente che c’è dentro.

Esaminiamo i due provvedimenti: l’abolizione del valore legale del titolo di studio e la messa in

concorrenza diretta dei vai atenei.

Dopo aver rotto l’unità nazionale culturale e aver creato atenei di serie A e di serie B o C, occorre

mettere il sigillo su questa operazione, facendo sì che non solo la preparazione degli studenti sia

diseguale, ma anche il riconoscimento sociale e legale.

Già si sono create da tempo le consorterie di atenei che si autogiudicano di “eccellenza”. Bella

eccellenza fatta a scapito delle risorse degli altri! Questi atenei statali, e quindi creati coi soldi di

tutti, collocati quasi tutti al Nord e qualcuno nel Centro, con tasse almeno doppie degli altri,

impongono che i laureati degli altri atenei non possano neanche reclamare lo stesso trattamento e gli

stessi diritti.

Inoltre non ci si dovrebbe iscrivere più alla segreteria di ciascun ateneo o al suo portale informatico,

ma si pretende che ci sia un portale unico con la messa in diretta concorrenza attraverso la

“trasparenza” informatica tra gli atenei. E quali atenei potranno permettersi di farsi una pubblicità

(spesso ingannevole) a suon di milioni di euro per attirare i figli delle classi abbienti? E a cosa

saranno ridotte le università che non reggeranno a questa concorrenza sleale? Quindi esse o si

adegueranno, aumentando a dismisura le tasse universitarie, disastroso soprattutto in territori

economicamente svantaggiati, o saranno ridotte al rango di scuole di periferia, da cui ogni docente

vorrà scappare come da un girone infernale, oppure semplicemente verranno chiuse.

La soluzione proposta dei prestiti d’onore è il rimedio peggiore del male. Anziché sostenere con le

borse di studio come fa un paese avanzato e civile, si indebitano i cittadini ancor prima che essi

comincino a produrre, in modo da assoggettarli a creditori famelici. È o non è questo il governo

delle banche?

La borghesia italiana non si rende conto che cercare di far pagare la crisi solo verso il basso e

aumentare le differenze di classe non li salverà dall’essere declassati nella graduatoria

internazionale. Dopo aver massacrato il lavoro dipendente, ora è il turno delle classi medie, che non

potranno ulteriormente svenarsi per mantenere per i propri figli un livello scolastico e universitario

degno di un paese avanzato.

Occorre reagire prontamente a questa manovra che suona la campana a morto non solo per

interi territori del nostro Paese, ma coinvolgerà nel disastro sociale tutta l’Italia.

I lavoratori dipendenti e classe operaia in testa e lavoratori autonomi del centro del nord e del

sud si alleino contro questo diluvio antipopolare creando un Fronte Unito dei Lavoratori

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