L’8 marzo e la posizione delle donne comuniste

L’8 marzo e la posizione delle donne comuniste

Le donne comuniste salariate, disoccupate, lavoratrici autonome, pensionate e studentesse delle classi popolari sono impegnate quotidianamente a rivendicare con le lotte che conducono, diverse condizioni di vita per le donne e per gli uomini. Ma in questo periodo storico, economico e sociale dove anche nel nostro paese si fa sempre più strada una pratica di sfruttamento, violenza e tentativi di ritorno a legislazioni oscurantiste che le donne subiscono in prima persona, diventa necessario ribadire la direzione della nostra analisi e della conseguente nostra pratica di impegno e di lotta.

Molte sono le differenze  che assumono i diritti delle donne nei paesi capitalistici tanto che ,ad esempio, possiamo vedere paesi dove lo stato sovvenziona la sterilizzazione della donna(Asia e Africa), in altri paesi criminalizzano l’aborto(come in Argentina o come si vorrebbe tornare a fare in Italia ed ina altri paesi europei), così come in alcuni paesi dell’ex URSS permangono sistemi di protezione della donna dal punto di vista della tutela della maternità o della bassa età pensionabile, protezioni che con il diritto borghese  gradualmente vengono erose o cancellate. Vogliamo solo citare, non per scarsa importanza, ma perché drammaticamente conosciute le condizioni di pesante coercizione culturale e religiosa che si fanno regole di comportamento ed obblighi sociali, che le donne di molti paesi ancora subiscono come l’infibulazione, i matrimoni combinati, l’obbligo del burka ecc. ecc.

Tutte queste differenziazioni della posizione della donna nella società vengono caratterizzate e dipendono prioritariamente dalle maggiori contraddizioni nella struttura del patto di sviluppo capitalistico. Come il capitalismo ha interesse a mantenere la disuguaglianza per le donne come fonte di risorsa per ulteriori profitti, altrettanto ha saputo per molti versi adeguarsi ai cambiamenti necessari, così la doppia oppressione della donna, di classe e di genere, non si esprime più nelle forme dell’inizio del secolo scorso.

Altrettanto evidente è che il formale aumento dei diritti tra i due sessi, non ha liberato donne e uomini dall’oppressione sociale ed economica su base di classe, confermando che la disuguaglianza vissuta dalle donne della classe operaia e del popolo non può essere “riformata” all’interno del sistema capitalistico. Oggi nei paesi dove è avvenuto un riconoscimento formale dei diritti borghesi delle donne, non si è certamente trovata soluzione di liberarle dai problemi concreti della loro vita.

Anzi, in fase di crisi strutturale del sistema, il capitalismo utilizza, attraverso le sue espressioni politiche, vecchi e nuovi strumenti per accrescere il solco della disuguaglianza e dell’oppressione: così come oggi accade in Italia, per esempio, con il decreto Pillon, con le affermazioni del ministro oltrechè con la creazione del ministero stesso della famiglia, con l’aumento esponenziale dei casi di violenza, ecc., in un complesso intreccio di fenomeni storici e sociali.

Complessità, che a livello paradigmatico, si esprime nel fatto  che nella maggioranza  dei paesi a capitalismo avanzato con l’integrazione delle donne nel lavoro salariato insieme alle modernizzazioni borghesi che avanzano, la tipologia della famiglia, così come riprodotta per secoli, tende a cambiare. Perché il capitalismo abbatte anche le barriere di comunicazione tra i due sessi esistite da 3000 anni, ma non instaura nuove relazioni tra donne e uomini di reale e vera uguaglianza.

Riteniamo che la base per la costruzione di nuove relazioni fra donne e uomini non possa prescindere dalla costruzione di condizioni che oggi non esistono quali: nuove relazioni di produzione, la proprietà sociale, la pianificazione centralizzata.

A tal proposito l’esempio che ci viene dal primo stato operaio nato dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia, ci ha dimostrato l’enorme salto compiuto in un paese in forte arretratezza precapitalistica. Il giovane stato sovietico, non solo ha abbattuto l’apparato di stato zarista e la classe borghese, ma ha abolito tutte quelle leggi che mantenevano e rinforzavano dall’interno e dall’esterno la famiglia patriarcale e la disuguaglianza fra i due sessi. Ha provveduto ad inserire le donne in tutti i settori  (produttivi, culturali, scientifici, politici, ecc)con l’obiettivo della produttività e del beneficio sociale, insieme all’attivazione di avanzatissime misure di protezione della maternità e della salute della donna e soprattutto per il contributo concretamente paritario della donna nella costruzione della società  socialista.

Tutto ciò ci dimostra l’indissolubile legame che esiste tra l’abbattimento della proprietà privata dei principali mezzi di produzione e l’abbattimento delle disuguaglianze e dello sfruttamento subiti dalle donne. La risposta ai bisogni del popolo insieme al soddisfacimento nelle relazioni degli individui con la società e della società con gli individui, si può adempiere solo sulle basi di una radicale riforma della società, attraverso la costruzione socialista con la sua corrispondente sovrastruttura legale ( legislazione giuridica).

Per noi comuniste l’esperienza   storica della costruzione socialista, rappresenta l’esempio cui guardare per dare forza e combattività alle donne nell’attuale fase con i contemporanei livelli di coscienza delle lavoratrici, delle disoccupate, delle giovani, delle migranti proletarie, delle pensionate, a volte condizionate da fatalismo, disfattismo e modalità conservatrici.

Non vogliamo neppure nascondere le difficoltà che si evidenziano in relazione al movimento globale delle donne con quelle organizzazioni che identificano il miglioramento della posizione della donna con la lotta per la modernizzazione borghese, con l’incremento della partecipazione delle donne all’interno dei gruppi economici e delle istituzioni borghesi, celando la principale contraddizione che è quella tra capitale-lavoro dietro la “competizione” tra uomini e donne.

Noi comuniste riteniamo che non sia il genere la discriminante politica, bensì quali sono gli interessi e di quale classe   quelli che vengono perseguiti dalle donne e dagli uomini.

Così torniamo all’8 marzo, al suo significato, ai diversi modi per definirlo e rappresentarlo: da quelli più trasversalmente borghesi a quelli femministi, a quelli tematici fino a quelli classisti.

Come comuniste affermiamo che  come questo lavoro, tutte le nostre iniziative e proposte sono frutto dello studio teorico, dell’analisi materiale, del confronto costante anche a livello internazionale e della conseguente pratica che ne deriva volta a dare il nostro contributo allo sviluppo delle organizzazioni di classe.

Poiché la fondamentale conclusione della nostra analisi è che i cambiamenti rivoluzionari anche nelle relazioni sociali passano necessariamente attraverso la presa del potere  politico da parte della classe operaia e delle masse popolari con il Partito Comunista come sua avanguardia organizzata, mettiamo tutte le nostre energie affinchè anche le tematiche toccate dal simbolismo dell’8 marzo ed afferenti alla specificità della questione femminile, siano parte del lavoro e dell’impegno quotidiano delle comuniste e dei comunisti all’interno dei luoghi di lavoro, di socialità, di studio, nell’associazionismo e negli organismi del lavoro, per costruire un fronte sempre più combattivo con l’obiettivo dell’abbattimento del sistema capitalista e l’instaurazione della società socialista-comunista.

di Laura Bergamini (up Partito Comunista)

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