NO TAV. L’ordine pubblico è amministrato in nome del popolo?

NO TAV. L’ordine pubblico è amministrato in nome del popolo?

NO TAV. L’ordine pubblico è amministrato in nome del popolo?

A pochi giorni dalla manifestazione del 3 dicembre a Lione, puntuali giungono ordini di applicazione della custodia cautelare domestica, obblighi di dimora e di presentazione per numerosi esponenti del Movimento No Tav. i fatti sono lontani nel tempo. Risalgono a quest’estate, se vi fossero state vere esigenze cautelari avrebbero dovuto essere applicate immediatamente dopo gli accadimenti: riesce difficile credere ad un tempo così lungo necessario per indagini ed identificazioni o burocrazia necessaria per l’emissione di misura.

Questi ordini restrittivi però – qui sta la cosa più discutibile – sono stati applicati con una tempistica tale che, qualora in ipotesi fossero infondati, non ci sarebbero i tempi tecnici per farli annullare prima della manifestazione del 3 dicembre. Questo significa che si è voluto assicurare l’efficacia (restrittiva per i magistrati, dannosa per i cittadini che manifestano) indipendentemente dalla possibile illegittimità od inopportunità dell’azione giudiziaria. Insomma un’azione più di ordine pubblico che di giustizia, si potrebbe semplificare.

La caratura dei fatti è poi per lo più modesta: non si parla di mafia, Totò Riina, pericolosi sovversivi, ma di un insieme di persone che avrebbe simbolicamente occupato la sede della Geomont, piazzandosi negli uffici, attaccando striscioni e così via. Alcuni dei soggetti colpiti dalle misure restrittive erano addirittura all’esterno dell’edificio e non hanno fatto alcunchè di particolare se non essere meramente presenti!! Come al solito, più che un conflitto, si è vista una “rappresentazione” del conflitto, per evidenziare anche come il potere sia stato via via tolto dal controllo dei cittadini e relegato nelle stanze chiuse di poteri privati. Occupando i locali, simbolicamente e temporaneamente i cittadini se lo riprendono.

Violazione di domicilio, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, insomma le trasgressioni che si potrebbero strumentalmente contestare alle ordinarie proteste che si vedono ogni giorno nei tempi di crisi: agli operai dell’Ilva che salgono sui manufatti dell’azienda, alle proteste nelle miniere, negli stabilimenti del nord, del centro e delle isole.

Strumentalmente, certo. Perchè la minuziosa persecuzione di ogni minima astratta violazione nelle manifestazioni No Tav (dall’inosservanza agli obblighi dell’autorità, al l’abuso edilizio più veloce della storia della giustizia) ricorda molto la minuziosa persecuzione degli scioperi a gatto selvaggio, dei blocchi stradali dai quali nacquero negli anni settanta i diritti dei lavoratori sottoposti allora – come di nuovo oggi – ad un feroce sfruttamento da parte della classe dirigente al potere. Nessuno si sognerebbe oggi di considerarli sostanzialmente reato, perchè esiste il diritto di sciopero e di manifestare, soprattutto quando il potere stravolge la democrazia della costituzione. Allo stesso modo si considerò l’azione delle autorità di allora come albero a camme di quei poteri che volevano mantenere i loro privilegi e le loro leve di sfruttamento in modo difforme da quel che predicava la carta costituzionale.

Inoltre la battaglia del lavoratore che, ormai privo di rappresentanza, si batte per i suoi diritti viene ben accettata dal circo barnum mediatico e istituzionale, perchè è la lotta dei disperati, degli sconfitti, e come tale – pensano – non può nuocere al pensiero unico dominante; inutile dunque più di tanto perseguirla, anche se, con l’accentuarsi della crisi assistiamo sempre più spesso a episodi di pestaggio di operai dei tutori dell’ordine asserviti al potere dominante. Nel caso del movimento NO TAV, questa finzione di accettazione del dissenso non è invece neppure più tollerata, perchè ad opporsi alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità non sono più gli ultimi, i disperati, “quelli che fanno pena, coloro ai quali si può fare credere di avere fittizi spazi di rappresentanza. Il movimento è un blocco coeso, una valle che resiste, convinta della bontà della propria battaglia, in grado di fare sempre più proseliti e raccogliere adesioni anche all’infuori del confine geografico interessato.

E’ innegabile però che la tempistica e la sproporzione del trattamento giudiziario riservata al movimento contro l’alta velocità ricorda molto quei tempi e quel modo di operare degli anni settanta, degli anni della repressione, soprattutto da parte di un elemento del nostro sistema di potere che non trae legittimazione dal basso ma da un concorso, privo inoltre di un serio meccanismo di responsabilità, mai attuato. L’unico riferimento è meramente fraseologico, sta in quella frase: “La giustizia è amministrata in nome del popolo” che si è voluto a tutti i costi scrivere nelle aule. La sola  realtà fornisce però il significato alle frasi.  Oggi, vedendo questi ordini di cattura, non si ha questa sensazione ma si disvela il sentimento contrario.

Enzo Pellegrin

Comunisti Sinistra Popolare – Partito Comunista Torino

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