GUERRA ALLA LIBIA

GUERRA ALLA LIBIA

GUERRA ALLA LIBIA

(del Prof.Aldo Bernardini)

Nella sconvolgente vicenda libica si parla poco di diritto internazionale, probabilmente perché fa comodo l’opinione che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite abbia esaurito il problema. Non è così.

Le NU non sono federazione mondiale, il C.d.s non è né governo né legislatore del mondo. Come invece si ritiene generalmente a partire dalla prima guerra irachena: si arriva a ritenere sufficiente che il C.d.s. a discrezione invochi il cap. VII della Carta (minacce e rotture della pace, internazionale di per sé, cioè nei rapporti fra Stati, ma qui si innesta il trucco) per decidere ogni sorta d’azione nei confronti di uno Stato, anche al di fuori delle tipologie disegnate dalla Carta: pure per fatti interni, come un’insurrezione (ai quali venga sempre discrezionalmente affibbiata una rilevanza internazionale: questo è il trucco) e al fine, vedremo illegittimo, di “autorizzare” gli Stati che lo vogliano (i “volenterosi”) a intervenire contro lo Stato preso di mira. Magari perché “non protegge” la propria popolazione contro se stesso, e cioè gli insorti contro lo Stato centrale: una recente trovata fantagiuridica per giustificare gli interventi. Questo non è diritto e non è diritto internazionale. Ben pochi Stati avrebbero accettato la Carta se tale ne fosse stata la portata: così il presidente jugoslavo Milosevic nel colloquio che ebbi con lui nel suo carcere nell’agosto 2001.

Siamo davanti a un copione ormai usurato, ma purtroppo abituale per distruggere uno Stato o governo sgradito perché non subalterno. Il despota o tiranno che viene criminalizzato con sfrenate campagne mediatiche, le atrocità, le stragi, le fosse comuni, i diritti umani violati, i fondi all’estero: solo a posteriori a volte si scoprirà la mala informazione. Qualche protesta o rivolta ovviamente contrastata dal potere costituito, eccessi veri o presunti contro “civili innocenti” (spesso rivoltosi incendiari e armati): di qui gli interventi dei “buoni”, sino alla guerra con effetti catastrofici (con le differenze dei casi, Jugoslavia, Iraq, Somalia, Afghanistan…). 

Veniamo al diritto internazionale, in larga misura espresso nella Carta delle NU, non però nelle applicazioni “stravaganti” più recenti. L’art. 2, n. 1, della Carta evoca la “sovrana eguaglianza di tutti i membri” e il n. 4 vieta l’uso della forza “contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”: l’Assemblea generale nel 1981 chiarisce “il diritto sovrano di uno Stato di determinare il suo sistema politico, economico, culturale e sociale… senza intervento, ingerenza sovversione… in qualsiasi forma dall’esterno” e il divieto di “abbattere o cambiare il sistema politico di un altro Stato o il suo governo”. Per il diritto internazionale non esistono forme statali vietate, sistemi autoaffermantisi come democratici o viceversa dittatori da respingere: lecite o no sono solo le specifiche azioni nei rapporti interstatali. Il regime statale rientra nelle scelte e nelle lotte delle forze interne di ogni Stato. Di fronte a rivolta interna è legittimo per il governo costituito di contrastarla. Senza interferenze. Il Protocollo II del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 sul diritto bellico, tuttora vigente, stabilisce per gli Stati parti l’applicazione delle norme umanitarie ai conflitti armati interni (guerre civili, insurrezioni), ma senza che ciò possa invocarsi “per attentare alla sovranità di uno Stato o alla responsabilità del governo di mantenere o ristabilire l’ordine pubblico nello Stato o di difendere l’unità nazionale e l’integrità territoriale dello Stato con tutti i mezzi legittimi”: nulla “potrà essere invocato per giustificare un intervento, quale che ne sia la ragione, in un conflitto armato o negli affari interni o esterni” dello Stato in cui avviene il conflitto. È dunque impensabile quanto si va pretendendo nel senso che il vertice libico debba venire sostituito per volontà esterna, o che si interferisca nella guerra civile, addirittura con il sostegno di ogni genere ai ribelli, con gli attacchi armati contro le forze governative di contrasto all’insurrezione, con i riconoscimenti prematuri degli insorti.

Quanto alle accuse sul piano umanitario, a parte i pulpiti di provenienza e la totale assenza di verifiche fattuali serie, potrebbe al massimo pensarsi a pressioni di carattere politico-economico, in casi assolutamente estremi a corpi armati (ad es. di interposizione) sotto comando NU, perché solo questo è compatibile con il sistema di sicurezza collettiva. Se il C.d.s. potesse a sua discrezione travolgere i principii accennati sarebbe dittatore mondiale e padrone del diritto internazionale: il che non è. Qualora una decisione del C.d.s.   consentisse ciò o fosse interpretabile in tal senso sarebbe invalida. Tralasciata la discutibilissima ris. 1970, adottata persino senza verifica dei fatti, la 1973 di fronte all’insurrezione armata si occupa solo della “violenza” esercitata nel (in principio legittimo) contrasto agli insorti e non pure di quella di costoro. Assumendo a base la protezione dei “civili”, dà in realtà copertura agli insorti, che civili non sono, e tende di fatto ad impedire la legittima azione governativa. La clausola per cui gli Stati disposti (i “volenterosi”) vengono autorizzati “a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili” ripete e aggrava l’infelice precedente iracheno. La ris. è dunque illegittima, a parte l’indebita ingerenza in fatti interni,  soprattutto per la (raffigurata) delega a Stati, invece eventualmente, ricorrendone i presupposti, dell’affidamento non eludibile dell’azione a corpi militari sotto comando NU; comunque per l’indeterminatezza delle azioni preventivate (che viene nei fatti intesa sino alla distruzione delle capacità militari dello Stato libico e alla tentata uccisione dei leader!), senza elementi di controllo né cura dei danni reali che possono conseguire ai civili (tutti, non solo quelli riconducibili non si sa poi come agli insorti). 

La ris. equivale in realtà ad un “permesso”, per gli Stati che lo vogliano (e quindi secondo i loro interessi!), alla guerra e all’aggressione, permesso che le NU non possono dare perché frontalmente contrario al sistema obbligatorio di sicurezza collettiva della Carta.  Ma il vero senso giuridico è un altro: non l’impossibile e insensata “autorizzazione” agli Stati, ma la rinuncia (illecita) delle NU a stigmatizzare e sanzionare l’aggressione contro la Libia.

Tutto ciò, per quanto riguarda l’Italia, nulla ha a che fare con l’art. 11 Cost., che naturalmente vieta le azioni in corso e non le considera fra quelle legittimamente disposte da un’organizzazione internazionale con l’obiettivo della pace e giustizia fra le nazioni.

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