Articolo di Marco Rizzo, segretario Partito Comunista.
C’è sempre un inizio. Ci chiediamo: cosa ha portato la grande esperienza storica e politica dei comunisti in Italia alla consunzione? Cosa ha portato il Partito di Antonio Gramsci a diventare oggi quello di Matteo Renzi?
Tutto inizia nel periodo 1943-1947. Certo la temperie in cui Palmiro Togliatti dirige il PCI post-resistenziale era innegabilmente avversa ad una reale possibilità di ‘fare la rivoluzione’ in Italia, ma come diceva Pietro Secchia, ed anche altri tra cui Eugenio Curiel: “tra fare la Rivoluzione e non fare nulla c’è una bella differenza!” ed il richiamo critico alla Via Italiana al Socialismo (i cui risultati oggi sono sotto agli occhi di tutti) di Togliatti ci stà tutto.
Gramsci è forse l’antesignano delle “vie nazionali al socialismo”?
La sua concezione della conquista dell’”egemonia” e della “guerra di posizione” è l’antesignana politica della “lunga marcia nelle istituzioni” che il PCI iniziò al momento della famosa “svolta di Salerno”?
Basta leggere le pagine di Gramsci nell’originale per rendersi conto di quanto la concezione di Gramsci del Partito e dello Stato è sempre stata protesa alla conquista del potere politico.
Ma Gramsci non è Togliatti e nemmeno Berlinguer.
Nel pensiero di Berlinguer, persona onesta ma fuori dal comunismo (inteso nelle sue accezioni teorico-pratiche) spiccano, tra tutti, alcuni punti cardinali: il compromesso storico, la democrazia come valore universale, l’eurocomunismo, l’accettazione dell’ombrello della Nato, l’adesione alla UE ed infine le considerazioni sull’esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione Sovietica.
Le riflessioni di Berlinguer sull’austerità e sulla questione morale non hanno la stessa forza, né possono in qualche modo controbilanciarne l’effetto devastante. Obiettivamente non si può negare che Berlinguer si sia anche trovato ‘schiacciato’ da un corpo politico del partito in cui i cosidetti ‘miglioristi’ (da Amendola a Napolitano) avevano in mano i gangli vitali, anche economici (il mondo della cooperazione ad es.) del Partito, da qui la stessa ‘solitaria’ presenza di Berlinguer ai cancelli della Fiat nel 1980 e nella giusta lotta in difesa della “scala mobile”. Episodi significativi che risultano però essere ininfluenti su un quadro dirigente ed un corpo largo di partito in cui la “mutazione genetica” era già avvenuta e che Berlinguer non aveva voluto contrastare.
Partiamo dal compromesso storico sull’onda della eroica morte del Presidente del Cile Salvador Allende per mano dei golpisti di Pinochet prezzolati dagli Usa. Invece di constatare semplicemente che la democrazia borghese esiste solo se la borghesia è saldamente al potere, ma se questo vacilla, come nel Cile di Allende, allora la borghesia rinnega le sue stesse regole formali, passando a metodi violenti e terroristici, Berlinguer scrive: “noi abbiamo sempre pensato che l’unità dei partiti dei lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per garantire la difesa ed il progresso della democrazia…” A parte il leitmotiv della “difesa della democrazia”, il compromesso storico di Berlinguer, invece, non è un’alleanza sociale della classe operaia, antagonista al blocco sociale della borghesia, ma un’alleanza politica tra i maggiori partiti in quel momento, il PCI, il PSI e la DC, quest’ultima, per altro, espressione politica della grande borghesia, privata e di stato.
Da un punto di vista leninista, l’errore di Allende è consistito proprio nel non avere neppure cercato di “spezzare la macchina dello stato borghese”, ma di averla accettata, confidando in una maggioranza parlamentare e nella lealtà dei vertici dell’apparato statale. Sarebbe stato necessario sviluppare forti movimenti di massa a sostegno del nuovo governo, creare una milizia operaia armata, cambiare i meccanismi istituzionali, decapitare i vertici e modificare le strutture dell’esercito, della polizia, dei servizi di sicurezza, dei ministeri economici, con la massiccia introduzione di fidati elementi proletari. Sarebbe stato necessario, insomma, instaurare la dittatura proletaria. Allende non lo fece e il popolo cileno pagò a caro prezzo questo errore. Berlinguer, come sappiamo, ignorò queste considerazioni.
L’eurocomunismo, come teoria e prassi compiutamente revisioniste e opportuniste, origina dall’incontro di Bruxelles del 26 gennaio 1974 tra Berlinguer e i revisionisti spagnolo e francese, Carrillo e Marchais, segretari dei rispettivi Partiti Comunisti che sposarono le tesi sul valore della democrazia, da Berlinguer così formulate: …”questa larga convergenza…comprende il riconoscimento del valore delle libertà personali e della loro garanzia, i principi di laicità dello Stato e della sua articolazione democratica, della pluralità dei partiti, dell’autonomia del sindacato, delle libertà religiose e di culto, della libertà di ricerca e delle attività culturali, artistiche e scientifiche…” Il passo citato evidenzia con chiarezza come Berlinguer avesse fatto proprie categorie tipiche del pensiero borghese, assolutizzandole al di fuori e al di là di qualsiasi contesto storico e sostanza di classe
L’intervista a Giampaolo Pansa (proprio lui!) sul Corriere della Sera del 15 giugno 1976 sentenziò l’accettazione definitiva dell’Occidente capitalistico e della sua micidiale alleanza militare, la NATO, portando a compimento la rottura con il campo socialista che, anche se infettato dal germe del revisionismo khruscioviano, rimaneva pur sempre il più formidabile baluardo di contenimento dell’imperialismo. « …il Patto Atlantico può esser anche uno scudo utile per costruire il socialismo nella libertà… voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico. Mi sento più sicuro stando di qua….”». Ed infine, sempre su questo filone, c’è la famosa frase con cui, nel 1981, viene definitivamente reciso il “cordone ombelicale” anche ideale, con la storia del movimento operaio e comunista:“…si è esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre…”. Assolutamente rilevante è poi la scelta strategica con cui Berlinguer “sposa” il processo di unità europea e capitalistica mentre esistono ancora l’URSS ed il campo socialista. Nella famosa intervista con Eugenio Scalfari, uno dei distruttori del PCI, del 2 agosto 1978: «”…Scalfari: “il PCI ha fatto una scelta europea definitiva. Lo conferma?”. Berlinguer: “Lo confermo. Sappiamo che il processo d’integrazione europea viene condotto da forze e da interessi ancora profondamente legati a strutture capitalistiche. … Ma noi riteniamo che comunque bisogna spingere verso l’Europa e la sua unità”.
Ripeto, con tutta la modestia possibile: Berlinguer era una persona onesta, ma questo non basta per esser comunisti.
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