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SALA È LIBERA, ABEDINI NO
Il rilascio della giornalista italiana Sala non fa che smentire le aberranti argomentazioni che la stampa occidentale, e quindi a ruota anche quella italiana, ha profuso a proposito del parallelo con il caso dell’arresto del ricercatore iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, avvenuto all’aeroporto di Malpensa dove era in transito. Abedini si trova ancora sottoposto ad arresto cautelare su mandato delle autorità statunitensi.
Nonostante le autorità iraniane abbiano smentito qualunque collegamento, se non casuale per la concomitanza temporale, l’informazione tossica nostrana ha continuato su questa litania. Ora si dimostra che non si è trattato né di un “ricatto” (i sequestrati non si rilasciano prima di ottenere quello che si desidera), né di una “ritorsione”.
Per quanto riguarda la vicenda dell’iraniano, ci sembra che quanto scritto dai compagni svizzeri [1] restituisca la vicenda alla verità. In sintesi, «… il cittadino svizzero di origine iraniana, Mohammad Abedini Najafabadi, è accusato di traffico d’armi. Quando invece è semplicemente un libero commercio garantito dalle leggi internazionali. Infatti non ci risulta che i rappresentanti dell’industria degli armamenti americani in Svizzera ed Europa vengano arrestati con questa accusa. Quanto alle sanzioni contro l’Iran, sono prive di mandato dell’ONU e quindi da un punto di vista legale siamo di fronte al nulla: è un arresto squisitamente politico! Gli USA comandano, l’Italia ubbidisce, la Svizzera sta zitta anche se un suo cittadino viene arrestato abusivamente all’estero. Il giornalista Di Mizio dice bene: “la verità è che gli americani vogliono interrogare, con le buone o con le cattive, l’ingegnere iraniano per conoscere i segreti dei droni iraniani, come li fabbricano, dove, se li vendono alla Russia, ecc. Questa è la vera ragione. L’arresto dell’ingegnere è un sequestro di persona, non un arresto: è un atto di pirateria di Stato”.»
Qui vogliamo inoltre sottolineare la difformità evidente tra il sistema giudiziario iraniano, che risponde alle caratteristiche secondo le quali un tribunale terzo rispetto alla politica debba giudicare gli accusati secondo le leggi di quello stato per (presunti) ivi reati commessi, e la procedura statunitense.
Per quanto riguarda la competenza territoriale, gli USA ci hanno da tempo abituati a arresti e perfino esecuzioni extraterritoriali senza alcuna accusa formale, ma solo su mandato del Presidente.
Quanto all’autorità giudiziaria che ha emesso il mandato, peraltro inviato direttamente alla Polizia italiana senza passare dall’Interpol, si tratta del famigerato Gran Jury. Per capire il livello tribale, grottesco, da Far West di cui parliamo, ci riferiamo a un articolo [2] di dieci anni fa di Michele Papa, Ordinario di diritto penale Università di Firenze, dove si legge:
«“Se il pubblico ministero volesse, potrebbe agevolmente convincere il Grand jury ad incriminare un sandwich al prosciutto”. Con queste parole il giudice Sol Watchtler, già presidente della Corte suprema dello stato di New York, stigmatizzava lapidariamente la totale sudditanza di quest’organo popolare al prosecutor. … il Grand jury è solitamente incapace di resistere al prosecutor.»
Ma per la nostra stampa gli USA sono il faro della democrazia, e l’Iran è una brutale dittatura.
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