“IL CALENDARIO DEL POPOLO”: ALCUNI INTERROGATIVI SULLA NUOVA GESTIONE
Questa nota è del compagno Antonio Catalfamo. ANtonio vive in Sicilia e da molti anni è autore di studi gramsciani e marxisti attenti alla formazione ed alla teoria con un occhio di riguardo alla pratica, alle lotte ed al conflitto delle classi subalterne contro il capitale, oltre a seguire la poesia popolare e varie spressioni artistiche legate al mondo proletario.
Attualmente sta organizzando una serie di studio seminariali sulla attualità del marxisto e sulle sue letture contemporanee, in passato è stato autorevole collaboratore della storica rivista IL CALENDARIO DEL POPOLO ed oggi interviene con cognizione di causa sul “nuovo” corso che hanno assunto quelle pagine gramsciane fondate da Nicola Teti.
“IL CALENDARIO DEL POPOLO”: ALCUNI INTERROGATIVI SULLA NUOVA GESTIONE
E’ necessario rispettare l’orientamento culturale e politico-ideologico che ha voluto imprimere il compianto Nicola Teti, ossia continuare la tradizione di una rivista comunista, gramsciana, antifascista.
E’ uscito il numero 750 (dicembre 2010) de “Il Calendario del Popolo”, il primo dopo la morte di Nicola Teti (per lunghissimi anni direttore ed editore) che non è passato attraverso le sue mani e il sapiente “tocco” redazionale. Nuovo direttore ed editore è il figlio di Nicola, Sandro, affiancato da un comitato di “garanti”, nel quale non figura (salvo qualche rara, seppur autorevole, eccezione) nessuno dei vecchi collaboratori della rivista, che l’hanno portata avanti per tanti lustri su base volontaria, con grande sacrificio personale (il che imponeva un debito di riconoscenza), mentre sono fortemente presenti alcune componenti politiche che furono estranee, se non avverse, al “Calendario del Popolo”, come quella del Pdup-Manifesto (Luciana Castellina e Valentino Parlato). Ricordiamo, per inciso, che fu Rossana Rossanda, che di tale componente è stata una delle maggiori animatrici, ad insistere affinché, dopo la morte di Togliatti, nel 1964, il Pci, nell’ambito della cui sezione culturale la stessa aveva molta influenza, chiudesse “Il Calendario”. Grazie a Nicola Teti, allora “giovane di belle speranze”, come amava autodefinirsi con ironia, e – vogliamo ripeterlo e sottolinearlo – a tanti generosi volontari, la rivista sopravvisse ancora per molti decenni.
Nel suddetto comitato dei “garanti” figura, inoltre, come unico leader politico di partito, Nichi Vendola. La sua presenza non si giustifica, se non come un tentativo di “tirargli la volata” elettorale, visto ch’egli non era tra i collaboratori del vecchio “Calendario del Popolo”, né può vantare meriti particolari nei confronti di questa prestigiosa testata. Non è un caso che non figurino nel comitato leader di partito dell’area comunista. Perché Vendola sì? La nuova gestione nasce sotto cattivi auspici. Scelte come questa delineano il progetto di fare de “Il Calendario” lo strumento propagandistico di una fumosa “nuova sinistra” non comunista. I prossimi numeri ci diranno se le cose stanno in questi termini. Ma già si comincia male.
Ad esercitare un ruolo di “garanzia” sono chiamati pure alcuni esponenti dell’ex ala “migliorista” del Pci (ora Pd?): Gianni Cervetti e Guido Fanti, per fare qualche esempio. La “scelta di campo” e i “referenti” politico-culturali della nuova gestione sembrano, dunque, chiari. Aspettiamo, comunque, di vedere il seguito, prima di trarre conclusioni definitive.
Un “bacino d’utenza” potenziale di alcune migliaia di abbonati, come quello de “Il Calendario del Popolo”, da “traghettare” verso nuovi lidi “non comunisti”, fa certamente gola. Ma quanti di questi compagni si lasceranno trasportare passivamente , ammaliati dal “verbo” del “nuovo messia” Vendola? Capiranno che cosa vuole veramente questo novello “pappagallo ermetico” di trilussiana memoria? Rinnoveranno in massa l’abbonamento? Nutriamo molti dubbi in merito. Il “Calendario”, così come si preannuncia nella “nuova” versione, rischia di chiudere dopo pochi numeri, a meno che non trovi un pubblico diverso. Anche su questo punto siamo molto scettici. Le varie riviste e rivistine, partorite dalla “nuova sinistra” non comunista, aprono e chiudono in men che non si dica.
Franco Ferrarotti, nel suo intervento ospitato, tra i primi, in questo numero 750, si affretta a dire che “quel popolo, che era il popolo del «Calendario» di [Nicola] Teti e Trevisani, oggi non c’è più”. Gli stessi strumenti “ideologici” di comprensione della realtà, offerti dal marxismo, sono obsoleti. Alla morte delle “ideologie” l’illustre sociologo sostituisce non ben definiti “ideali”, che corrispondono, nella loro vaghezza, ai “valori” di Nichi Vendola. Ma la situazione attuale non è inedita. Il “popolo” dei giorni nostri ha la stessa configurazione ch’esso assume in tutte le dittature. Paul Ginsborg, nella sua “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi”, ci descrive i mutamenti che il “popolo” dei quartieri operai di Torino subì durante il fascismo. Egli scrive: “Nei quartieri operai alla periferia della città – Borgo San Paolo, Barriera di Milano, ecc. – si era sviluppato negli anni 1910-20 un rapporto molto particolare tra le singole famiglie e la collettività. […] In questi cortili e in questi quartieri, isolati dal resto della città, si sviluppò una solidarietà basata su una complessa rete di scambi e favori”. Questa è la città di Torino ai tempi del movimento gramsciano dei “Consigli di fabbrica”. Poi arrivò il regime mussoliniano. Continua Ginsborg: “Il fascismo penetrò nei rioni operai sotto le spoglie del manganello, ma anche come persuasore occulto. Una volta distrutte le organizzazioni socialiste, le famiglie si rinchiusero in se stesse: tutte le testimonianze orali parlano del «silenzio» che discese sui quartieri operai”.
E’ una situazione simile a quella attuale. La Lega si è incaricata di dimostrare che, oltre al “popolino”, esiste il “popolaccio”, egoista e reazionario. In tutto ciò, lo ripetiamo, non c’è nulla di assolutamente inedito, pur nella inevitabile “singolarità” di tutte le fasi storiche. Ma noi non siamo sprovvisti di strumenti di analisi. Ce li ha forniti il marxismo. In Gramsci non c’è una visione “romantica” della cultura popolare. Essa viene analizzata in tutte le sue componenti, anche in quelle “reazionarie”, che pure esistono, accanto a quelle “contestative” del sistema. Il grande intellettuale sardo ci ha insegnato che tante volte la cultura delle classi dominate è una “rimasticatura” di quella delle classi dominanti. Quanti oggi, in mezzo al popolo, la pensano come Berlusconi in fatto di donne o come la Lega in tema di razzismo?
E’, allora, necessaria quella “riforma morale ed intellettuale” che lo stesso Gramsci ha delineato. Essa presuppone un Partito Comunista come “intellettuale collettivo”. Presuppone degli “intellettuali organici”. Presuppone degli strumenti culturali, come “Il Calendario del Popolo”. Ne era ben consapevole Nicola Teti. La sua rivista aveva un orientamento ben preciso. Non era un giornale di sinistra generica e confusa. Era (Nicola ne faceva un punto di orgoglio) un giornale comunista, legato al patrimonio politico-ideologico e culturale del Pci e all’esperienza storica dei regimi comunisti dell’Est europeo, che non va rigettata “in toto”, ma analizzata nei suoi lati negativi, ma pure in quelli positivi, che le hanno consentito di dare grandi risultati per tutta l’umanità nell’arco di un settantennio. Cari amici del “nuovo” “Calendario del Popolo”, combattere il “revisionismo storico” significa non solo difendere l’antifascismo (vedremo se lo farete, e fino a che punto), ma evitare la criminalizzazione del movimento comunista internazionale e delle sue concretizzazioni. In tutto ciò Nicola Teti ci è stato maestro. Basta scorrere le annate (anche le ultime) del “vecchio” “Calendario del Popolo” per rendersene conto.
Cancellare tutto ciò significa fare un torto al Nostro, nonché alle migliaia di “calendaristi” che hanno reso possibile il “miracolo” di una rivista “popolare” durata 65 anni. Nicola Teti aveva rinnovato negli anni “Il Calendario”, adeguandolo ai mutamenti sociali. Negli ultimi tempi aveva introdotto tutta una serie di rubriche sull’economia, sulle nuove tecnologie, sui nuovi linguaggi, sul fenomeno dell’immigrazione, ecc. Il suo giornale era al passo con i tempi. Anche dal punto di vista grafico e tipografico era all’avanguardia.
E’ necessario, dunque, continuare sulla strada ch’egli ci ha indicato e che per primo ha imboccato. Deviare da essa significa cancellare “Il Calendario del Popolo” e fare una cosa completamente diversa, che dovrebbe assumere altro nome, anche per motivi di onestà intellettuale e di rispetto per chi si è sacrificato per decenni nella realizzazione di un progetto culturale, ma anche ideologico e politico.
Antonio Catalfamo