Dall'”eurocomunismo” all’opportunismo di oggi.
di Raul Martinez Turrero – PCPE (Partito Comunista dei Popoli di Spagna)
Introduzione
La riorganizzazione teorica e ideologica del movimento comunista internazionale su una base marxista – leninista solida, richiede di proseguire l’approfondimento dello studio della costruzione del socialismo del XX secolo e analizzare scientificamente le cause del trionfo della controrivoluzione capitalista in URSS e nel resto dei paesi socialisti europei. La restaurazione del capitalismo ha avuto cause interne ed esterne. Tuttavia, quando si affrontano queste ultime, le analisi tendono a concentrarsi sullo studio delle diverse linee d’attacco contro il socialismo lanciate dalle potenze imperialiste in campo politico, militare, economico, ideologico e psicologico.
I fattori esterni furono determinanti e hanno confermato che il confronto tra il campo imperialista e il campo socialista, era l’espressione genuina della lotta di classe su scala internazionale (1). Tuttavia, si deve approfondire lo studio delle tendenze, come l’eurocomunismo, che contribuirono a indebolire il potere socialista, agendo all’interno del movimento operaio e del movimento comunista internazionale, e influendo spesso sulle politiche opportunistiche dei partiti comunisti e operai che erano al potere.
I centri ideologici imperialisti prestarono assistenza e diffusero ampiamente le posizioni eurocomuniste, contro la linea che denominarono in modo dispregiativo «ortodossa» o «filo-sovietica». L’eurocomunismo, rappresentato soprattutto dai partiti dell’Italia, Francia e Spagna, deve il suo nome alle agenzie di stampa capitaliste, che con quel nome, si riferivano alle organizzazioni che condividevano una serie di punti di vista:
– L’opposizione all’esistenza di un organizzato movimento comunista internazionale, difendendo la tesi chiamata «policentrismo» contro l’esperienza dell’Internazionale Comunista (Comintern) e l’Ufficio Informazioni del Partiti Comunisti e Operai (Cominform).
– La negazione della dittatura del proletariato, contro la quale difendevano «la pluralità delle vie al socialismo» e in particolare la via parlamentare, in collaborazione con le forze socialdemocratiche e cristiane, assumendo il pluripartitismo nel quadro della democrazia borghese.
– La sostituzione dell’internazionalismo proletario, che si identificava con la difesa incondizionata dell’Unione Sovietica e la linea politica del PCUS, con la «solidarietà internazionale» o «nuovo internazionalismo».
– L’accettazione dell’allora Comunità Economica Europea, con la chiamata a difendere al suo interno i diritti sociali e alla partecipazione dei lavoratori alla sua costruzione.
– La critica costante e aperta all’URSS e ai paesi socialisti, dal punto di vista dei diritti umani e delle libertà individuali su concezioni borghesi.
– La revisione e la distruzione del «partito di nuovo tipo» coniato da Lenin, negando in un modo o nell’altro i compiti rivoluzionari del Partito Comunista; allo stesso tempo furono negati tutti i principi rivoluzionari in merito alla sua organizzazione e funzionamento.
L’eurocomunismo colpì partiti di diverse latitudini, alcuni dei quali al potere. Come le altre tendenze opportuniste nel corso della storia ha avuto una chiara vocazione internazionale, nonostante nelle tesi di base intendesse essere un fenomeno che considerava le peculiarità e le condizioni nazionali. A questo proposito, Enrico Berlinguer, segretario generale del PCI, dichiarava: “Non siamo ovviamente noi quelli che hanno coniato questo termine, ma il fatto stesso che circoli in modo così ampio dimostra fino a che punto i paesi dell’Europa occidentale aspirino profondamente a veder affermare e progredire soluzioni di nuovo tipo nella trasformazione della società in senso socialista.”
E il segretario generale del PCE, Santiago Carrillo, aggiungeva: “… non esiste l’eurocomunismo, dal momento che alcuni partiti comunisti non-europei, come il Partito comunista giapponese, non possono esser inclusi in questa definizione” (2).
Nonostante le incongruenze e le falsificazioni che hanno caratterizzato la vita di Carrillo, che qualche mese dopo aver negato l’esistenza dell'”eurocomunismo” pubblicava il suo libro “Eurocomunismo e Stato”, su una cosa aveva ragione: il fenomeno non si limitava all’Europa occidentale.
Il contesto dell'”eurocomunismo” e il XX Congresso del PCUS
Le basi per la nascita di questa corrente revisionista risalgono a molto prima che l’eurocomunismo fosse presentato alla società da Carrillo, Berlinguer e Marchais.
Dopo la seconda guerra mondiale si aprì nel movimento rivoluzionario mondiale una fase difficile. Alla distruzione dell’Unione Sovietica causata dall’invasione tedesca, e gli sforzi successivi per la ricostruzione, si aggiunse sul lato politico la perdita di centinaia di migliaia di quadri comunisti caduti nella battaglia contro il nazifascismo, ciò influenzò in maniera decisiva il PCUS e altri partiti comunisti in Europa.
Le potenze capitaliste, capitanate dagli USA che non soffrirono la guerra sul proprio suolo e si trasformarono nella potenza del campo imperialista, scatenarono immediatamente la cosiddetta «guerra fredda» e la corsa agli armamenti, mettendo in pratica una serie di misure volte a minare il potere socialista.
La controrivoluzione interna non rinunciò mai a far cadere il potere operaio in tutte le occasioni. Con l’assistenza imperialista si organizzarono azioni controrivoluzionarie nella Repubblica federale di Jugoslavia (1947-1948) nella Repubblica Democratica Tedesca (1953), in Polonia e Ungheria (autunno 1956).
La lotta di classe persisteva e si approfondiva nelle nuove condizioni, il sistema imperialista dava segni di forza e dimostrava la sua capacità di ristrutturazione, creando organizzazioni internazionali per cercare di attenuare le sue contraddizioni e aumentare la pressione sul blocco socialista (NATO, FMI, Banca Mondiale , ecc).
All’interno del PCUS si avviarono importanti discussioni sulla costruzione del socialismo nelle condizioni postbelliche, in particolare sulle leggi economiche del socialismo e sul suo carattere. La direzione del Partito partecipava attivamente ai dibattiti e Stalin combatté apertamente le posizioni opportunistiche nella polemica in merito al progetto del Manuale di Politica Economica (3). Dopo la sua morte, il 5 marzo 1953, la lotta continua all’interno del PCUS e aumenta sia nella preparazione che nella discussione del XX congresso del PCUS, nel febbraio 1956.
Il blocco opportunistico guidato da N. S. Krusciov ha aperto le porte alla tesi della «pluralità delle forme di transizione al socialismo», revisionando la teoria marxista del carattere di classe dello Stato e la teoria leninista della rivoluzione. La relazione del CC del PCUS al XX Congresso, presentata da Krusciov, diceva:
“… sorge la questione di utilizzare anche la via parlamentare per la transizione al socialismo”.
“… La classe operaia, che unisce intorno a sé i contadini, gli intellettuali, tutte le forze patriottiche … può sconfiggere le forze reazionarie, antipopolari, conquistare una solida maggioranza in parlamento e trasformarlo, da organo della democrazia borghese a vero strumento della volontà popolare. In questo caso, questa istituzione, tradizionale per molti paesi altamente sviluppati capitalistici, può diventare il corpo di una vera democrazia, una democrazia per i lavoratori.” (4)
Nel discorso di M.A. Suslov, pronunciato il 16 febbraio, si diceva:
“Nei paesi capitalisti … la classe operaia e i suoi partiti politici hanno la piena possibilità di radunare intorno a sé, su una piattaforma democratica unica la stragrande maggioranza della nazione, i contadini, la piccola borghesia, gli intellettuali e persino patriottici strati della borghesia, ciò indubbiamente faciliterà la vittoria della classe operaia”. (5)
La transizione pacifica al socialismo per via parlamentare non era nota in nessun paese. Tuttavia, la soggettività di questa tesi e il suo impatto sulla strategia di alcuni partiti comunisti si presentarono da subito.
Nel suo discorso al XX Congresso, A.I. Mikolai percepiva chiaramente che la tesi sulla transizione graduale e pacifica al socialismo si avvicina pericolosamente alle posizioni della socialdemocrazia, e in merito porta la seguente motivazione:
“E’ notorio che, in alcuni casi, alcuni partiti socialisti hanno conquistato la maggioranza parlamentare e in un certo numero di paesi ci sono stati e ci sono ancora governi socialisti. Ma anche in questi casi si tratta di piccole concessioni ai lavoratori senza alcuna costruzione del socialismo. Abbiamo bisogno di passare la leadership dello stato nelle mani della classe operaia: la classe operaia è preparata non solo dal punto di vista dell’organizzazione, ma anche politicamente e teoricamente per lottare per il socialismo, in modo da non contentarsi delle briciole del tavolo capitalista, ma, oggettivamente in quanto maggioranza, prenda il potere liquidando la proprietà privata dei mezzi di produzione fondamentali.” (6)
Il marxismo – leninismo e le sue differenze con la socialdemocrazia vennero così ridotte a una mera questione di volontà: il socialismo basta volerlo anche con le riforme, i socialisti non lo vogliono, noi lo vogliamo. Il marxismo fu così polverizzato, si sotterò la teoria leninista dello Stato e prese luogo il riformismo più volgare e la falsificazione completa del marxismo.
Tali posizioni sono state accompagnate da strategie opportunistiche in materia economica, d’organizzazione dello Stato e negli affari esterni. Il giro opportunista fu completato dal noto «Rapporto segreto di Krusciov», inaspettatamente presentato al Congresso in violazione del principio della direzione collettiva che si diceva di voler ripristinare.
Dopo il XX Congresso, e una volta diffuso il «Rapporto Segreto», si diede immediatamente inizio al processo conosciuto come «destalinizzazione», salutato con sollievo e senza obiezioni da più partiti dell’Europa occidentale.
Nei giorni 08-14 dicembre 1956, dieci mesi dopo il XX Congresso del PCUS, si svolge a Roma l’Ottavo Congresso del Pci, nel quale si approva la proposta di Palmiro Togliatti della «via italiana al socialismo», che era stata preceduta da quella conosciuta come «via britannica al socialismo» adottata dal Congresso del Partito comunista della Gran Bretagna nel 1951, contrapponendo la logica «delle vie nazionali» alla comprovata teoria marxista – leninista della rivoluzione.
Si insiste sull’accrescimento delle libertà per realizzare la democrazia economica e sociale. Sorgono così le concezioni della «democrazia avanzata» o «democrazia antimonopolista» che al culmine del suo sviluppo avrebbe poi permesso la transizione al socialismo.
Togliatti, ponendosi alla testa dei dirigenti europei chiamati «rinnovatori», afferma nel suo lavoro conosciuto come il «Memoriale di Yalta» che: “Nel complesso, noi partiamo, e siamo sempre convinti che si debba partire, nella elaborazione della nostra politica, dalle posizione del XX Congresso. Anche queste posizioni hanno però bisogno, oggi, di essere approfondite e sviluppate. Per esempio, una più profonda riflessione sul tema della possibilità di una via pacifica di accesso al socialismo, ci porta a precisare che cosa noi intendiamo per democrazia in uno Stato borghese, come si possono allargare i confini della libertà e delle istituzioni democratiche e quali siano le forme più efficaci di partecipazione delle masse operaie e lavoratrici alla vita economica e politica. Sorge così la questione della possibilità di conquista di posizioni di potere, da parte delle classi lavoratrici, nell’ambito di uno Stato che non ha cambiato la sua natura di Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione, dall’interno, di questa natura.” (8)
Mentre diversi partiti cominciano a prendere tali posizioni, sorgono gli attacchi contro i paesi socialisti, in particolare contro l’Unione Sovietica. La prima grande crepa resa pubblica nel movimento comunista europeo avviene dopo l’intervento d’internazionalismo proletario dei Paesi del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia nell’agosto del 1968. Il Partito Comunista Italiano, il Partito Comunista di Spagna e il Partito Comunista Rumeno condannano pubblicamente l’intervento.
L’anti-sovietismo si integra nella linea politica dei partiti che abbracciano l'”eurocomunismo” e diventa uno dei suoi tratti distintivi più importanti. Ogni pretesto è buono per distinguersi dall’URSS, in modo da comparire davanti all’opinione pubblica come opzione differente dal principale baluardo della classe operaia internazionale, anche se la critica antisovietica coincide apertamente con la propaganda imperialista e contribuisce obiettivamente a indebolire il campo socialista.
La via italiana acquista un nuovo stadio con la concezione del «compromesso storico», sviluppata da Enrico Berlinguer. Il cammino verso il socialismo si concepiva sulla base di una vasta alleanza multipartitica, che in pratica significava per i PPCC abbandonare la loro leadership, il loro ruolo di avanguardia. Il cosiddetto «socialismo democratico» o «socialismo liberale» prendeva così la sua forma definitiva in aperto antagonismo con la dittatura del proletariato. I partiti eurocomunisti assumono le cosiddette «libertà borghesi» come posizioni proprie e difendono le proprie posizioni sulla possibilità di approfondire la democrazia borghese – che non definiscono più come tale – per realizzare il socialismo, abbandonando la rivoluzione sociale e il potere rivoluzionario della classe operaia.
La conferenza di Berlino e il revisionismo eurocomunista
In questa prospettiva, nel 1975 il Partito Comunista Italiano e il Partito Comunista della Spagna adottano una dichiarazione congiunta sul loro modello di transizione al socialismo in «pace e libertà». E’ la vigilia della Conferenza dei partiti comunisti e operai d’Europa, tenutasi a Berlino Est il 29 e il 30 giugno 1976, i cui risultati ebbero ampia risonanza in tutto il mondo. I Partiti d’Italia, Francia e Spagna, sostenendo in misura maggiore o minore l’intervento di alcuni partiti al potere – come quello jugoslavo – presentano un fronte comune delle posizioni eurocomuniste.
Il Partito Comunista Italiano sosteneva apertamente lo smantellamento del movimento comunista internazionale, affermando in merito alla Conferenza di Berlino(9):
“… In essa sono stati riaffermati con forza i principi di autonomia che oggi regolano le relazioni di collaborazione tra i partiti comunisti … Il successo di questa politica di pace e di convivenza in Europa è una condizione di progresso democratico e pacifico del popolo italiano verso profonde trasformazioni di tipo socialista”.
Enrico Berlinguer dichiarava:
“… La nostra conferenza non è una organizzazione comunista internazionale, che non può esistere in nessuna forma, né a livello internazionale, né a livello europeo …”
Da parte del Partito Comunista Francese (10), si insisteva per il percorso democratico e le particolarità nazionali:
“… Il nostro partito ha espresso prima della Conferenza le idee centrali del suo XXII Congresso, e in particolare la via democratica al socialismo, che tiene conto delle peculiarità nazionali della Francia, al quale invita i lavoratori e il nostro popolo”.
Dopo che il plenum del Comitato Centrale si svolge a Roma il 28 e il 29 luglio 1976, il Partito Comunista di Spagna organizza una conferenza stampa con l’esposizione completa delle presunte nuove posizioni revisioniste (11):
“Le condizioni in cui vivono i vari partiti comunisti, le loro caratteristiche, la stessa storia di ciascuno e dei rispettivi popoli, sono sufficientemente diverse perché la diversità diventi la nota fondamentale delle relazioni reciproche… Questa diversità limita i temi nei quali si ha un’unità di criterio, come si è constatato in questi due anni di preparazione.
Ma c’è qualcosa di più profondo. Questa diversità origina logicamente una profonda diversità di idee soprattutto in una serie di questioni cruciali circa la natura del socialismo, su molti problemi contemporanei, su molte questioni ideologiche, sulla democrazia politica …
E’ anche diventato chiaro a Berlino che esiste in Europa un gruppo di partiti comunisti la cui linea politica, la cui analisi, la cui concezione del socialismo in gran parte coincidono …
Questi partiti si battono per la via democratica al socialismo, per un socialismo democratico, con il pieno esercizio dei diritti della persona, con la pluralità dei partiti politici, con il rispetto e l’alternanza al potere secondo espresse volontà del popolo attraverso il suffragio universale. Tutti questi partiti sono a favore del socialismo in cui vi è il rispetto più scrupoloso della libertà di coscienza e di pratica religiosa, la libertà di espressione, di riunione, libertà scientifica, letteraria e artistica, il diritto allo sciopero; un socialismo in cui lo stato non ha un’ideologia ufficiale.”
L'”eurocomunismo” si manifesta pienamente come corrente revisionista di destra, assumendo i principi del liberalismo intorno agli aspetti politici più vari: democrazia, libertà, religione, ecc.
Dietro la difesa delle libertà politiche e della democrazia borghese, in particolare del sistema multi-partitico e del voto elettorale, hanno sepolto la lotta di classe e hanno rifiutato il ruolo di strumento di dominazione di classe dello Stato. Hanno praticato una costante e crescente politica d’attacco verso i paesi socialisti e hanno cercato di far saltare con tutti i mezzi disponibili il coordinamento e l’avanzamento del movimento comunista internazionale, diventando in nome delle particolarità nazionali e del socialismo democratico, funzionali alla strategia anticomunista delle potenze imperialiste.
Nella loro lotta contro il marxismo-leninismo, rivivono le tesi di Kautsky dell'”opposizione delle due correnti socialiste” (cioè, i bolscevichi e i non-bolscevichi) è “l’opposizione di due metodi radicalmente diversi: il democratico e dittatoriale” (12), tentando di convertire Marx in un comune liberale. Attaccarono furiosamente la premessa leninista che si è marxisti solo se si estende il riconoscimento della lotta di classe fino al riconoscimento della dittatura del proletariato e che il problema della dittatura del proletariato è il problema dell’atteggiamento dello Stato proletario contro lo Stato borghese, della democrazia proletaria contro la democrazia borghese.
Come corrente revisionista, l'”eurocomunismo” si manifesta come una continuazione della lotta ideologica della borghesia contro le idee rivoluzionarie e sulla base del riconoscimento formale del marxismo, come aveva fatto Kautsky rispetto alla teoria dello Stato, chiamando a combattere nelle loro file lo stesso Bernstein issando nuovamente lo slogan del “l’obiettivo finale non è niente, il movimento è tutto”, o l’equivalente “la rivoluzione socialista non è niente, le riforme sono tutto.” Pertanto, bloccarono qualsiasi tentativo rivoluzionario per amore di una grande alleanza con i socialdemocratici e i democristiani, chiamata a conquistare una maggioranza parlamentare, che di riforma in riforma, giorno per giorno, raggiungesse il socialismo utilizzando l’arma della macchina statale borghese, anche in alleanza con la propria borghesia nazionale formando un fronte nazionale antimonopolista.
E, non potendo essere altrimenti, considerando il legame organico che nelle parole di Lenin esiste tra le questioni organizzative e programmatiche revisioniste, la loro politica e tattica s’avviarono a distruggere il carattere dei partiti leninisti e la loro rispettiva militanza comunista (13).
L'”eurocomunismo” in Spagna e la distruzione del PCE
Dopo la sconfitta nella guerra nazionale rivoluzionaria contro il fascismo (1936-39), la leadership politica del PCE non ha condotto una rigorosa analisi delle cause della sconfitta o del ruolo del partito nella fase finale della guerra. La direzione, con il compagno Joseph Díaz (14) gravemente malato, dispersa in diversi paesi, non è riuscita ad articolare una strategia che permettesse alla lotta antifascista di continuare fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Non c’era nessun piano di riserva, tanto meno, un dispositivo che consentisse di continuare la lotta organizzata in clandestinità.
Dal 1932 al 1954 non si tenne alcun Congresso del PCE (15), permettendo un costante e progressivo indebolimento dei principi leninisti della direzione collettiva e un ambiente ideale per tutti i tipi di manovre realizzate alle spalle dell’organizzazione e alla base del partito combattente, con un Ufficio Politico i cui membri vivevano a diverse migliaia di chilometri di distanza e senza la presenza efficace e coordinata di una direzione politica all’interno del paese.
Parallelamente allo sviluppo della «via italiana al socialismo», il PCE adotta in Spagna, la politica di «riconciliazione nazionale», mentre si intraprendeva una disastrosa ritirata della lotta guerrigliera. Con tali precedenti, comincia a scatenarsi una feroce battaglia nella direzione del PCE.
Sotto la guida di Carrillo, nominato Segretario Generale al VI Congresso, tenutosi a Praga dal dicembre 1959 al gennaio 1960, la direzione preparò la cosiddetta «soluzione democratica», disegnando «l’alleanza delle forze del lavoro e della cultura» e impone progressivamente una linea revisionista e anti-sovietica, eliminando i leader di spicco, isolando i quadri che nella direzione del partito erano rimasti fedeli al marxismo – leninismo e espellendo migliaia di comunisti onesti che hanno combattuto eroicamente all’interno del paese.
La frazione eurocomunista si appoggiò in qualsiasi momento ai risultati del XX congresso del PCUS, in particolare nella tesi che afferma la pluralità delle forme nella transizione al socialismo e la critica di Stalin nel rapporto segreto, che è servita come pretesto per diffamare l’Unione Sovietica e cancellare gli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre e della transizione rivoluzionaria nella costruzione del socialismo. Si appoggiarono inoltre sugli eventi controrivoluzionari di ottobre-novembre nella Repubblica d’Ungheria e in particolare sull’intervento internazionalista del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia, nel tentativo di indebolire la fiducia dei militanti e della classe operaia nel socialismo e di minare l’immenso prestigio dell’URSS.
L’opportunismo della leadership eurocomunista del PCE non conosceva limiti. Nel 1970 Santiago Carrillo, dichiara al quotidiano francese Le Monde:
“Concepiamo un solo socialismo in Spagna, dove il Capo del governo sarà un cattolico e in cui il PC sarà una minoranza … il socialismo spagnolo marcerà con la falce e martello in una mano e la croce nell’altra.” (16)
Da allora, la formulazione del «patto per la libertà» passa nel PCE in primo piano. Come nel PCI con «il compromesso storico», il suddetto accordo, massima espressione del trionfo dell’interclassismo nel PCE, non essendo concepito come una alleanza di classe o di organizzazioni politiche per superare la dittatura, ma nella sua applicazione dell’eurocomunismo, diventa la disperata ricerca del riconoscimento da parte delle classi dominanti, soprattutto dell’oligarchia, che si opponeva per i suoi interessi alla tendenza autocratica di Franco, e stava spingendo all’interno del regime verso l’integrazione spagnola nella Comunità economica europea, cosa che a livello politico richiedeva un cambiamento nella forma di dominazione, una transizione controllata dalla dittatura franchista alla monarchia parlamentare.
E in questa transizione si è compromesso il PCE revisionista. In primo luogo accettando «il Patto della Monarchia», che sottoponeva gli interessi della classe operaia e dei settori popolari agli interessi economici dell’oligarchia in crisi economica, giocando un ruolo di contenimento della lotta operaia. Dopo aver accettato il quadro monarchico e seppellito la storia della lotta antifascista della classe operaia e del popolo spagnolo, negando il ripristino della legalità repubblicana e sostenendo la costituzione del 1978, ha sancito il passaggio da una forma ad un’altra dell’esercizio della dittatura del capitale.
In parallelo, dal plenum del Comitato centrale tenutosi a Roma nel 1976, fu attaccata la concezione leninista del partito, il suo ruolo nella società, le sue funzioni, i compiti essenziali e i principi organizzativi. In un Partito con migliaia di epurati, vennero spalancate le porte a migliaia di nuovi militanti senza alcun controllo e vigilanza rivoluzionaria. Tutte le condizioni erano poste perchè il IX Congresso, tenutosi a Madrid nel 1978, approvasse l’abbandono del marxismo – leninismo e consacrasse la politica revisionista imposta con un lungo processo ai comunisti spagnoli.
Il partito della guerra nazionale rivoluzionaria, della lotta di guerriglia, i cui militanti formarono la resistenza contro il nazifascismo in tutti i paesi europei e lottarono senza quartiere accanto al popolo sovietico nelle battaglie di Leningrado e Stalingrado, era stato liquidato.
Il PCE mutò in un’organizzazione irriconoscibile che, fino ai nostri giorni, è contro la necessità storica della rivoluzione socialista e del potere rivoluzionario della classe operaia – la dittatura del proletariato – nel periodo di transizione e di costruzione del socialismo; si pronuncia contro i principi leninisti d’organizzazione, soprattutto al centralismo democratico; rinuncia all’esperienza e agli insegnamenti della costruzione del socialismo del XX secolo, che viene qualificato come una sorta di «capitalismo di stato», respingendo in particolare il periodo noto come «attacco o assalto socialista contro il capitalismo», in cui l’Unione Sovietica, con Stalin a capo del PCUS, dimostrò la superiorità del socialismo sul capitalismo e raccolse principalmente successi; accetta il quadro imperialista dell’Unione Europea, sostenendo una versione socialdemocratica della stessa nell’opportunistico Partito della Sinistra Europea; respinge ogni forma di ristrutturazione del movimento comunista internazionale, strutturato attorno a forti basi ideologiche.
Nella penisola iberica, il fratello Partito Comunista Portoghese ha sopportato tutti i tipi di pressione che portarono gli altri, come l’esempio spagnolo, a distruggere la linea marxista – leninista. Il compagno Alvaro Cunhal, segretario generale del PCP, rispose con fermezza e con forza in ogni momento:
“Questa campagna appare spesso con tono paternalistico. Lamentano ciò che essi chiamano la «rigidità», il «dogmatismo», il «settarismo», lo «stalinismo» del PCP e desiderano che il PCP diventi un partito «moderno», sul «modello occidentale» …
E quali sono le modifiche che il PCP dovrebbe fare per «dimostrare la sua indipendenza» ?
Le condizioni sono rivolte provocatoriamente. Tutte ruotano intorno a sei punti principali: smettere di essere un partito marxista – leninista; rompere le relazioni amichevoli con il Partito Comunista dell’Unione Sovietica; critica dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti; rompere con l’internazionalismo proletario; desistere in Portogallo dalle riforme strutturali di carattere socialista; e adottare un funzionamento interno che permetta tendenze e divisioni rompendo l’unità del Partito.”(17)
Nel movimento comunista spagnolo, a differenza del portoghese, divennero egemoniche le posizioni revisioniste spinte dalla direzione del PCE. In tutto questo processo il movimento si è diviso in due forze principali: quelli che hanno resistito all’offensiva eurocomunista e hanno difeso il marxismo – leninismo si sono raccolti nel 1984 nel Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE) e quelli che si ostinavano e ancora persistono a guadare la palude revisionista, senza fare una seria e rigorosa autocritica, una semplice analisi che vada al di là di mere denunce circa quello che sarebbe potuto essere ma non è stato nella «transizione spagnola» e continuano a difendere, nella pratica, il percorso del parlamentarismo borghese partecipando, in questo momento, con la stessa bandiera repubblicana che hanno tradito.
Nell’organo d’informazione del PCE nell’aprile del 2010, dal titolo «Offensiva politica verso la Conferenza Repubblicana del PCE» la Segreteria del Movimento Repubblicano del PCE ha affermato, tra le altre sottigliezze:
“Nel PCE intendiamo che il progetto repubblicano non deve essere inquadrato in funzione della terminologia riferita a spazi nello spettro politico. Dobbiamo dare alla parola Repubblica una entità di proposta per renderla la più accessibile e attraente; la Repubblica è la riforma economica, sociale, politica, ideologica e dei nuovi valori nella situazione reale”.
In seguito il direttore del “Mundo Obrero” nel suo articolo intitolato «Costruendo la Repubblica» ci dà dimostrazione, in modo ancor più chiaro, della confusione più totale che regna all’interno del riformismo:
“Non siamo contro la Costituzione della quale chiediamo la riforma in modo importante; abbiamo chiaro che l’obiettivo è contro una monarchia arcaica, obsoleta e garante dei valori del neoliberismo. Noi vogliamo che questa repubblica, sia federale e democratica e con i valori della I e II Repubblica applicati alla situazione attuale…
La futura Costituzione Repubblicana deve ruotare attorno il contenuto della solenne dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite del 10 dicembre del 1948, deve anche approvare i tre patti che sono stati firmati nel 1966 e accettati dalla Spagna e svilupparne il contenuto …
La democrazia come accordo permanente tra liberi ed eguali per proseguire in modo permanente concordando costantemente in ampiezza e in profondità in modo da rendere possibile la partecipazione pubblica a tutte le decisioni … “.
Il vecchio contenuto revisionista, adottato in Spagna e in altri paesi come “eurocomunismo”, ben si adatta ai tempi che cambiano. Nuovi approcci al vecchio linguaggio e nessuna traccia di marxismo. Nella tesi del XVIII Congresso del PCE si dice:
“In questo XVII Congresso, il PCE ribadisce la difesa del socialismo come sviluppo coerente e in piena attuazione della democrazia. Comprende, quindi, il riconoscimento del valore delle libertà personali e della loro garanzia, i principi della laicità dello Stato e della sua articolazione democratica, della pluralità dei partiti, l’autonomia dei sindacati, la libertà di religione e di culto praticato nella sfera privata, e la totale libertà di ricerca e delle attività artistiche e culturali.”
Esattamente lo stesso discorso che il PCE pronunciò dopo il Comitato Centrale tenutosi a Roma nel 1976, sopraccitato.
Il cosiddetto socialismo del XXI secolo è la nuova bandiera dei repubblicani di oggi e degli eurocomunisti di ieri (18). Una proposta cui le versioni più elaborate si basano sulle stesse tesi revisioniste che hanno costituito i dibattiti centrali del movimento operaio da quando sono entrate nella storia, da Bernstein all’eurocomunismo, opponendosi al socialismo scientifico in un esercizio di eclettismo mascherando le posizioni liberali – borghesi.
Non c’è da stupirsi, quindi, che i partiti eredi dell’eurocomunismo hanno accolto calorosamente la proposta della V Internazionale (19), dove i suoi approcci revisionisti possono coesistere naturalmente con le forze che hanno completamente rinunciato alla lotta di classe, con tutti i tipi di socialdemocratici, trotskisti e tutte le varietà moderne di opportunismo, sia di destra che di sinistra, proprio come fa su scala regionale il Partito della Sinistra Europea.
IN CONCLUSIONE
– L’eurocomunismo fu una corrente revisionista di destra opposta al socialismo scientifico e al marxismo – leninismo che, come altre volte nel corso della storia della lotta di classe, è servita come veicolo per la penetrazione dell’ideologia borghese nei ranghi della classe operaia e del movimento comunista.
– L’eurocomunismo interagì con la politica opportunista, soprattutto dopo il XX Congresso del PCUS, insediandosi in diversi partiti comunisti al potere. L’eurocomunismo si è attuato nelle fessure aperte dalle posizioni opportuniste e che tradirono i principi dell’internazionalismo proletario praticando un rozzo antisovietismo che ha contribuito a minare la fiducia della classe operaia nel socialismo.
– Le posizioni opportuniste, sia nei partiti comunisti al potere che in quelli che non lo erano, non sono state sufficientemente combattute dal marxismo – leninismo. A differenza di quanto accaduto all’epoca di Lenin e Stalin, non si è aperto un rigoroso dibattito ideologico all’interno del movimento comunista internazionale, nel quale potesse prevalere la «diplomazia» di appoggio coerente delle posizioni rivoluzionarie contro il revisionismo.
– I fatti non hanno confermato nessuna delle affermazioni eurocomuniste. L’eurocomunismo ha portato la classe operaia nei rispettivi paesi al vicolo cieco dell’interclassismo, indebolendo estremamente le posizioni rivoluzionarie e ha portato alla liquidazione dei partiti comunisti che lo adottarono.
– I partiti comunisti che hanno abbracciato l’eurocomunismo, e che non sono stati completamente liquidati, non conducono un’autocritica rigorosa basata su categorie scientifiche rispetto le posizioni del passato. Oggi cercano di adattare le stesse posizioni revisioniste ai nuovi tempi, raggruppandosi in Europa intorno al Partito della Sinistra Europea.
– Lo sviluppo della lotta di classe a livello internazionale, con l’avanzamento delle posizioni della classe operaia, dei contadini e delle posizioni antimperialiste in diversi paesi, in particolare America Latina, ha fatto entrare in campo una nuova varietà di opportunismo. Il cosiddetto socialismo del XXI secolo, basato sull’eclettismo e nella negazione delle categorie e dei principi del socialismo scientifico, ed è chiamato ad occupare la stessa posizione che nella seconda metà del XX secolo ha tenuto in Europa e altrove l'”eurocomunismo”.
– Le forze marxiste – leniniste devono essere attivamente impegnate nella lotta ideologica condotta oggi nel movimento mondiale antimperialista e rivoluzionario, contribuendo in modo determinante all’urgente riorganizzazione del movimento comunista internazionale per garantire il successo delle rivoluzioni sociali future.
Raul Martinez Turrero.
Membro del CE del PCPE.
Proposta comunista.
Note:
1) VII Plenum del CC, 6 e 7 ottobre 2007. Dichiarazione del Comitato Centrale del PCPE per il 90 ° anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre.
2) Cfr. Documentation Française: «Problèmes sociaux et Politiques» n. 293. Paris, 1976, pagine 25 e 27.
3) Problemi economici del socialismo in URSS. Novembre 1951. Edizioni Avanguardia Operaia nel 1984, Volume XV Opere J. Stalin.
4) XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Pubblicato in castigliano dal Partito Comunista Francese. Pagine da 40 a 43.
5) O.C. pagina 243.
6) O.C. pagina 279.
7) Si riferisce al XX Congresso del PCUS.
8) Il «Memoriale di Yalta», pubblicato dopo la morte di Togliatti, è stato preparato per una serie di colloqui con i leader sovietici. La stessa idea del «policentrismo» viene sviluppata nel movimento comunista internazionale.
9) L ‘Unità, 4 luglio 1976. Organo d’espressione del Partito comunista italiano.
10) L’Humanité, 8 luglio 1976. Organo d’espressione del Partito Comunista Francese.
11) Pagina 294-297. Europa e i Comunisti. Editori Riuniti 1977.
12) Citando Lenin in La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky. Opere scelte in tre volumi, Mosca 1961. Castigliano edizione pagina 65.
13) Nel caso del PCE, il Plenum del CC tenutosi a Roma nel 1976, ha modificato la struttura del partito e sostituito le cellule per raggruppamenti territoriali, come i socialdemocratici, in vista delle elezioni.
14) Segretario Generale del PCE dal IV Congresso, tenutosi a Siviglia nel 1932.
15) Il V Congresso del PCE si svolge in Cecoslovacchia nel mese di aprile 1954. Dolores Ibarruri, La Passionaria, succede alla Segreteria generale a Jose Diaz, morto nel 1942. Nel VI Congresso celebrato nel 1960, Santiago Carrillo, Segretario Generale della Gioventù Socialista, unificata alla Gioventù Comunista nel JSU, sostituisce Dolores Ibarruri alla Segretaria Generale, nominandola Presidente del Partito, carica non esistente ad oggi. Nello stesso Congresso l’Ufficio Politico viene rinominato Comitato Esecutivo.
16) Dichiarazioni di Santiago Carrillo a Le Monde pubblicato dal quotidiano francese il 4 novembre 1970.
17) Alvaro Cunhal. “Un partito con pareti di vetro”. Editoriale Avante, 1985.
18) Nelle tesi approvate dal XVIII Congresso del PCE, tenutosi nel novembre 2009, si adottano le posizioni del socialismo del XXI secolo.
19) Nella relazione adottata all’unanimità dal comitato federale del PCE del 18 dicembre 2009, si dichiara in merito alla proposta della V Internazionale: “In questo quadro internazionale emerge l’iniziativa lanciata in Venezuela di muoversi verso una nuova Internazionale socialista. Dal PCE, da molti anni, è stata posta la necessità di ampliare a tutto il pianeta il Foro di Sao Paulo, al quale partecipano solo i partiti latino-americani, mentre gli altri sono invitati. La necessità di coordinare, completare le azioni e scambiare opinioni è sempre più fondamentale, di fronte ad un capitale che è sempre più organizzato. Si tratta ora di vedere come si forma tale iniziativa a cui il PCE manifesta la sua disponibilità oggi a partecipare”.
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura di Salvatore Vicario