CGIL, UN CONGRESSO VERO O UN PLEBISCITO COSTRUITO A TAVOLINO? una riflessione di Gigliola Corradi

CGIL, UN CONGRESSO VERO O UN PLEBISCITO COSTRUITO A TAVOLINO? una riflessione di Gigliola Corradi

Che questo congresso della CGIL, il 17.mo della sua storia recente, non fosse un vero congresso lo si era intuito leggendo il documento della maggioranza di Susanna Camusso tutto teso a ricostruire l’esistente senza alcun respiro di prospettiva se non generica al punto da risultare un insieme di parole d’ordine senza alcun progetto di costruzione.

Che questo congresso avesse altro obiettivo rispetto a quello naturale di interpellare in un bilancio consuntivo unito ad un bilancio preventivo di attività e progetti di linea sindacale, il corpo dei lavoratori attivi e dei pensionati lo si era capito dalla programmazione dei congressi di base, che dovrebbero costituire la fase più importante e che invece era tutta  compressa in un lasso di tempo di quaranta giorni a fronte di tre mesi per i congressi dei delegati   e dei funzionari.

Che questo congresso dovesse essere unitario a tutti i costi lo si è visto quando la Fiom ha scelto di aderire al documento della maggioranza distinguendosi solo per la presentazione di emendamenti assolutamente ininfluenti, sul piano sostanziale,dopo aver concordato le percentuali di composizione  degli organismi.

Che questo congresso fosse addirittura finto lo si è capito ancor meglio quando, nonostante tutto, è stato presentato un documento totalmente alternativo a quello della maggioranza dalla componente della “Rete 28 aprile”, chiedendo pari dignità nella presentazione ai congressi di base e cioè alla più larga platea di lavoratori e pensionati per un vero dibattito e una vera opzione nella scelta della linea politico-sindacale.

La prova regina ci è stata offerta dal rifiuto di concedere il distacco temporaneo per quaranta giorni (durata dei congressi di base) ai lavoratori attivi che avrebbero dovuto presentare il documento nella prima fase congressuale. La richiesta era  limitata a 350 lavoratori a fronte di un esercito della maggioranza di 12.000 funzionari  ai quali andavano aggiunti gli apparati e le segreterie, esercito che avrebbe presentato il documento di maggioranza.

Le cifre sono eloquenti, il rapporto sarebbe stato, comunque, assolutamente e ferocemente impari eppure non si è accettata neppure l’idea del confronto.

Paura? Arroganza?Forse, più semplicemente, negazione di ogni principio minimo, elementare, di democrazia.

Che in questa CGIL il problema democratico fosse un’emergenza lo si è  capito soprattutto quando, per dimostrare che l’opposizione interna era assolutamente inesistente, inefficiente e frutto solo di velleità vetero-spontaneiste,  si sono costruiti dati a tavolino completamente avulsi dalla realtà con partecipazioni altissime e votazioni ultramaggioritarie. Congressi fantasma, brogli, impossibilità di ogni controllo dei documenti ecc.  Pur di negare la carenza di credibilità tra i lavoratori e i pensionati si è negata la propria storia democratica, e questo non solo oggi, non solo in fase congressuale.

Ma, aldilà della percezione della degenerazione antidemocratica e burocratica di questa organizzazione sindacale è necessario guardare a quale prospettiva si è posta perché solo da questa angolazione si può comprendere sia la mutazione genetica di questo sindacato sia la sua conclusione finale.

La CGIL, arriva a questo congresso da un percorso di politica sindacale assolutamente e indubitabilmente fallimentare:

distruzione  del sistema pensionistico, cancellazione dell’art. 18, accettazione supina dell’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio,   nessuna vera opposizione alla precarietà, nessuna vera opposizione alla riforma Fornero e soprattutto accettazione dell’art. 8 che recepiva, con gravi profili di incostituzionalità, ‘accordo del 28 giugno 2011.

Questi solo alcuni esempi dell’assenza del sindacato nella distruzione del sistema sociale e del diritto del lavoro. A fronte di tutto ciò, prima delle elezioni politiche del 2013 la CGIL ha bensì presentato il suo “piano del lavoro”, con enfasi trionfalistica ma priva di sostanza, al piano del lavoro di Di Vittorio, ma in questo caso il piano è servito solo da campagna elettorale per il partito di riferimento, il PD con Sel al seguito. Il piano, che in qualche sua parte rappresentava davvero una buona piattaforma e che, in altri punti, presentava spunti di discussione e critica per il suo miglioramento, non è mai stato presentato ai lavoratori per la dovuta discussione democratica, salvo rivendicarne la stesura in fase congressuale.

L’obiettivo ultimo di questa CGIL è l’unificazione verticistica e burocratica con CISL E UIL, nel frattempo divenuti enti strumentali di Confindustria di cui hanno condiviso tutta la linea di politica industriale.

Il percorso è iniziato con l’accordo del 28 Giugno2011, con il protocollo del 21 Settembre 2011, con l’accordo del 31 maggio 2013 e, infine, fine percorso, in cauda venenum, l’accordo del 10 Gennaio 2014 in fase congressuale già avviata.

Il congresso, dunque, doveva essere ed è stato, alla luce dei fatti e delle risultanze congressuali, un plebiscito costruito a tavolino per garantire ai vertici dell’organizzazione un viatico per giungere all’unificazione con CISL e UIL in funzione di un’interlocuzione privilegiata e assoluta con Confindustria spazzando via ogni altra voce sindacale sia interna che esterna alle tre confederazioni.

Si può ben presumere, senza tema di troppe smentite, che il prossimo congresso sindacale sarà il congresso di unificazione delle tre sigle destinate a diventare enti veri e propri di certificazione e notariato di Confindustria eliminando qualsiasi e qualsivoglia possibilità di conflitto sociale con il padronato. Et voilà la pace sociale è servita e sul piatto tutti i diritti dei lavoratori conquistati con le lotte e la loro possibilità di ricostruirli nella dialettica del confronto nei luoghi di lavoro. La costituzione che era entrata negli anni ’70 con la forza delle lotte nelle fabbriche, nella scuola e in tutti i luoghi in cui il rapporto di produzione vede il confronto fra le due parti del rapporto, ora è cacciata a forza da un organismo geneticamente modificato che, per via pattizia, si arroga il diritto di rappresentare in un’unica voce gli interessi dei lavoratori, la nuova forma di democrazia deviata e soprattutto, si arroga il diritto di derogare alle leggi dello Stato protetta dall’  articolo 8  della Legge 148 del 2011 costruito ad arte allo scopo e al quale, dunque, non a caso, il sindacato non si è mai opposto.

La storia della Cgil è un’altra storia, è un patrimonio organizzativo e culturale costruito dai lavoratori, che hanno dimostrato di crederci laddove hanno votato   e fatto la scelta  del documento alternativo “il sindacato è un’altra cosa”. Ora serve non abbandonare la battaglia, non abbandonare i lavoratori, costruire il Fronte Unitario dei Lavoratori.

Giliola Corradi

Verona, 24 marzo 2014.

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