“Brexit ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’UE: fog in Channel, Proletariat isolated! – nebbia nella Manica, proletariato isolato!”

“Brexit ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’UE: fog in Channel, Proletariat isolated! – nebbia nella Manica, proletariato isolato!”

Prendendo spunto dai titoli dei giornali britannici tra il 1930 ed il 1940, appunto “Fog in Channel, Europe cut off! – Nebbia nella Manica, Europa isolata!”, la notizia della settimana scorsa sull’accordo tra Gran Bretagna ed Unione Europea, dimostra ancora una volta quale sia l’obiettivo del capitalismo internazionale in questo momento storico: confondere, isolare, il proletariato nascondendo le proprie responsabilità nell’attuale crisi economica.

Dopo la vittoria elettorale del partito conservatore nel maggio scorso, una vittoria inaspettata da parte di tutti in Gran Bretagna [1], ma fortemente spalleggiata dalla City (la Borsa di Londra), dalle banche, e dalle compagnie di assicurazione, divenne chiaro che le politiche di austerità volute dalla Troika (Fondo Monetario Internazionale-FMI, Banca Cetrale Europea-BCE, Unione Europea-UE), a partire dalla crisi delle banche britanniche nel 2007-2008, trovarono in David Cameron il loro migliore esecutore .

Oggi, a nove mesi dal voto nazionale, gli accordi firmati la settimana scorsa tra Londra e Bruxelles seguono infatti la linea politico-economica sopra citata: tagli allo stato sociale (in inglese welfare state); privatizzazioni dei servizi pubblici [2] (dopo le Poste, si prepara la privatizzazione del sistema sanitario nazionale – NHS); una minima indipendenza per il settore finanziario britannico dall’UE (il Governo continua a nazionalizzare le proprie banche se in crisi, evitando il prelievo ai correntisti col bail-in, ma non nazionalizza l’acciaio o le miniere [3], [4]); un piccolo margine di controllo sull’immigrazione che arriva dall’Unione Europea con la clausola dei 7 anni di residenza prima di usufruire di diritti e dello stato sociale (gli immigrati del Sud Europa vegono rappresentati dal sistema mediatico britannico come “pigri e truffaldini” [5], mentre quelli dell’Est Europa come “originari di nazioni ancora comuniste”); continuità per quanto riguarda lo sfruttamento dei lavoratori con bassi salari, e contratti precari, lasciando immutati i contratti a zero-ore (le statistiche ufficiali dicono che in Gran Bretagna ci siano almeno 2.000.000 di lavoratori con tali contratti che non garantiscono un minimo ed un massimo di ore giornaliere di lavoro, e non danno accesso ai servizi minimi dello stato sociale [6]).

In pratica, l’accordo della scorsa settimana stabilisce che i lavoratori autonomi e dipendenti, che arriveranno d’ora in poi nel Regno Unito dai 27 Paesi membri, devono aspettare 7 anni prima di richiedere un sussidio di disoccupazione nel caso di perdita del posto di lavoro (quello che la stampa capitalista britannica etichetta in chiave classista come benefits o turismo del benefit), 7 anni prima di accedere alla sanità pubblica che al contrario pagheranno, sperimentando quindi l’uso delle assicurazioni sanitarie private sul modello USA e Svizzera, 7 anni prima di accedere alle case popolari, ed, infine, assegni famigliari (Child tax credit)  ridotti, se non addirittura cancellati, per i figli che sono o non sono residenti con i genitori per almeno 7 anni in Gran Bretagna.

Sul fronte politico, il dibattito in Gran Bretagna riguardante la questione Unione Europea, così come per le politiche d’austerità, per le privatizzazioni, per i diritti dei lavoratori, è pressoché uniformato sulla solita retorica di un ipotetico beneficio nazionale, se si è a favore dell’uscita dall’UE – centro-destra, o sull’illusione di una possibilità di riforma in chiave solidarista, se si è a favore della permanenza nell’UE per creare “l’Europa dei popoli” – centro-sinistra. Per noi comunisti in Gran Bretagna, le ragioni dei principali partiti a favore o non a favore dell’UE rispecchiano quelle che da circa 10 anni vengono usate dalla politica italiana asservita alla Troika: ci sono due schieramenti che sembrano dichiararsi apertamente guerra con feroci liti in Parlamento ed in televisione, borghesia nazionale e social-democrazia, ma nessuno dei due schieramenti mette poi in discussione la perdita di sovranità popolare ed economica che i diktat della Troika capitalista impongono alla classe lavoratrice, ai pensionati, ai piccoli artigiani e commercianti, ed agli agricoltori. Si usa quella che è la strategia del consenso-dissenso del capitalismo di oggi, per manipolare e distrarre i ceti medio-bassi e popolari dai propri fallimenti socio-economici in Europa, dopo la scomparsa del blocco socialista ad Est.

 Proprio secondo tale strategia, con l’annuncio del referendum del prossimo 23 giugno, i mezzi di comunicazione britannici, pubblici o privati, pura espressione del capitalismo monopolistico europeo ed internazionale, hanno già messo in atto il teatrino mediatico della divisione all’interno del Governo di centro-destra, di David Cameron, tra chi è per il recente accordo Londra-Bruxelles, e si dice favorevole alla permanenza nell’UE per la difesa degli interessi economici britannici [7], e chi non ritiene soddisfacente l’accordo in chiave nazionale, e perciò favorevole all’uscita dall’UE per ragioni di sovranità, come afferma il sindaco conservatore di Londra, Boris Johnson [8].

Nell’altro schieramento, il partito laburista, uscito letteralmente senza una linea politica alternativa al capitalismo degna di tale nome, dopo le elezioni del maggio 2015, rimane tuttora su posizioni confusionate: se a luglio dello scorso anno si parlava di una chiara volontà di uscita dall’Unione Europea per rompere la gabbia delle politiche d’austerità, seguendo la linea Tsipras [9], a gennaio di quest’anno, invece, si assiste ad un vero e proprio cambio ufficiale di rotta allineando nuovamente i laburisti alla social-democrazia europea, proponendo le stesse illusorie politiche keynesiane [10] da sempre annunciate ma mai messe in pratica in Grecia, con Syriza, in Spagna, con Podemos, ed in Italia, col PD e la sinistra radicale.

Proprio come in Spagna, con Pablo Iglesias, ed in Grecia, con Alexis Tsipras, l’esponente laburista social-democratico Jeremy Corbyn, detto il “rosso”, cerca di far suo il controllo del dissenso popolare in Gran Bretagna con temi e proposte oggi non più praticabili: aumentare la spesa pubblica per lo stato sociale, la sanità, e le pensioni; nazionalizzare le ferrovie, il gas, e l’elettricità, lasciando però tuttavia le principali leve del potere economico in mano al Mondo della finanza britannica ed internazionale. Nonostante gli ovvii fallimenti politici di Tsipras in Grecia, i mezzi di comunicazione dimostrano anche in Gran Bretagna che il capitalismo è abile a nascondere le proprie responsabilità nell’attuale crisi economica.

Il referendum allora. Il 23 giugno 2016, in Gran Bretagna la vittoria del “sì” o del “no” non metterà in discussione i privilegii della borghesia capitalista britannica e dei suoi monopolii privati (le grandi aziende private). Un’improbabile vittoria del “sì” per l’uscita dall’UE confermerà in ogni modo le politiche di austerità del Governo Cameron, asservito alla Troika, non migliorando quindi le condizioni di vita e lavorative della classe lavoratrice locale ed immigrata. Col voto “sì” al referendum, si aggiungerebbe anche la questione del permesso di soggiorno obbligatorio per i lavoratori e le lavoratrici dei 27 Paesi dell’unione, ai quali verrebbe meno la possibilità di risiedere nel Regno Unito, se non in possesso del documento.

Ci pare ovvio, come lavoratori marxisti-leninisti in Gran Bretagna, che con il voto del giugno prossimo, così come avvenne in Grecia lo scorso anno, o per l’indipendenza della Scozia nel 2014, oppure come in Italia coi referenda del 2011 (acqua pubblica, servizi locali, e nucleare), il capitalismo altro non faccia che dare semplici illusioni di partecipazione diretta del popolo alla politica di una nazione, condizionando però a suo favore l’esito del voto. In altre parole, se il capitalismo vince con le sue regole, esiste la democrazia, se perde con le sue regole, si verifica un’espressione di volontà popolare che poi viene ignorata completamente, ingnorando quindi la partecipazione diretta del popolo alla vita politica del Paese: si veda appunto il caso dell’acqua pubblica in Italia dopo il 2011.

Negli ultimi giorni, all’interno della comunità italiana nel Regno Unito, i partiti di centro-destra e della finta sinistra radical chic, PD e SEL in testa, stanno già lanciando il loro personale allarme contro la vittoria del “sì” al referendum. In particolare, la finta sinistra opportunista del PD e di SEL sembra essere spaventata più dall’obbligo di avere un permesso di soggiorno nel caso la Gran Bretagna dovesse uscire dall’UE, piuttosto che dalle reali possibilità di peggioramento delle condizioni di vita e salariali dei lavoratori italiani, a prescindere dall’esito referendario. Su questo aspetto, il nostro parere rimane quello che non ci può essere democrazia, riscatto popolare, o progresso economico e sociale fin quando la sovrastruttura del capitalismo (FMI, BCE, UE, e NATO), e la sua struttura (la politica asservita al capitalismo, cioè il centro-destra ed il centro-sinistra) non verranno sostituite con una società basata sul socialismo-comunismo.

In Gran Bretagna, il principale sconfitto del referendum di Cameron sarà comunque la classe lavoratrice ed il piccolo ceto medio, immigrato o non. Col capitalismo, fuori o dentro l’UE, varrà sempre l’allarme “Nebbia nella Manica, proletariato isolato!”     

 

 

 

                          Alain Fissore – Insegnante precario scuola superiore e coordinatore per il Partito

                                                   Comunista in Gran Bretagna;

                          Stefano Rosatelli – Servizi sociali e coordinatore per il Partito Comunista a Londra.

 

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