A fianco dei tassisti, contro la precarizzazione spinta da Google.

A fianco dei tassisti, contro la precarizzazione spinta da Google.

Il 10 febbraio in Francia i tassisti hanno scioperato effettuando una Opération escargot, un’operazione lumaca: una lunga processione di taxi a passo d’uomo ha bloccato a partire dalle 7 di mattina, le principali città francesi. A Parigi la lumacona è partita dall’aeroporto di Orly e procedendo verso il centro ha provocato il tilt del traffico per parecchie ore.

I tassisti francesi protestano contro la decisione del Consiglio di Stato, che ha sospeso il limite di 15 minuti imposto alle vetture turistiche con autista (VTC, Voiture de Tourisme avec Chauffeur). Queste auto dovrebbero, infatti, lasciare le loro rimesse e da lì raggiungere turisti e viaggiatori “esclusivi” che le hanno prenotate. Ma senza il limite dei 15 minuti vengono autorizzate a circolare e a prendere a bordo i passeggeri che hanno individuato l’auto più vicina grazie ad un’applicazione sullo smartphone. Lo smartphone fungerebbe anche da tassametro e da tramite di pagamento per le carte di credito.

L’accusa che i tassisti rivolgono all’organo amministrativo francese è di aver dato il via libera a una deregolamentazione del settore ignorando le leggi esistenti e autorizzando di fatto una concorrenza sleale, su pressione di una potente lobby.

Nello stesso giorno, per gli stessi motivi, hanno scioperato i tassisti torinesi, mentre a Milano i taxi hanno fatto un presidio in piazza e dichiarato losciopero per il 20 febbraio. I tassisti milanesi non chiedono aumenti delle tariffe, che hanno bloccato fino al 2015, ma il rispetto delle leggi già esistenti. E la sentenza della Corte di Giustizia europea del 13 febbraio rimuove ogni dubbio sul fatto che la nostra legge non sia in contrasto con il diritto comunitario, come lamentato dalle associazioni delle auto a noleggio.

I francesi hanno ottenuto il blocco per due mesi delle nuove immatricolazioni delle auto con autista, mentre un parlamentare è stato incaricato di fare da mediatore per arrivare a una soluzione tra le parti.

Ma l’asimmetria tra tassisti e Uber è enorme: dietro le auto VTC francesi e dietro le proteste degli italiani, c’è un’operazione da centinaia di milioni di dollari in tutto il mondo. È la multinazionale californiana Uber che muove questa deregolamentazione globale del settore e che ha visto entrare lo scorso anno tra i nuovi investitori Google Ventures con 258 milioni di dollari. Mentre tra gli investitori precedenti c’erano stati Goldman Sachs e Crunchfund.

Uber è una società con ambizioni globali che è stata lanciata da poco in tutto il mondo, da Johannesburg a Città del Messico. Secondo l’amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick, il finanziamento ricevuto nel 2013 “sarà utilizzato per l’espansione di nuovi mercati e soprattutto per combattere gli sforzi anticoncorrenziali e protezionisti”.

La storia è da seguire perché è un evidente modo di forzare le leggi nazionali da parte della multinazionale Uber, che è in verità una pulce sulla schiena di un gigante come Google. Il vero “maglio” dell’operazione infatti è Google, che ha interesse a entrare più direttamente nelle realtà locali, godendo però di uno status di immaterialità e quindi di non perseguibilità tutto particolare: Google Ventures non ha le stesse restrizioni sugli investimenti che hanno le società di venture capital tradizionali.

Ed essendo ormai Google, con 365,42 miliardi di dollari, la seconda azienda di maggior valore di Wall Street, dopo Apple e prima di Exxon Mobil, vuole permettersi di guardare dall’alto in basso tutte quelle quisquilie come le leggi o le costituzioni, null’altro che lacciuoli per “il libero mercato”.

La svolta che Uber/Google stanno cercando di imporre in tanti paesi e anche nel nostro, è da seguire per molti versi, nell’assoluta mancanza di interesse che i media nazionali gli stanno riservando e per le agevolazioni che stanno ricevendo queste auto a noleggio, grazie all’immobilismo della autorità preposte al controllo.

Il servizio che offrono sembra conveniente, ma apre la strada a una precarizzazione pericolosa dei tassisti come nemmeno le lenzuolate di Bersani avevano tentato. Alla guida delle auto chiamate da smartphone con questa applicazione ci potrebbe essere chiunque, un forzato poco retribuito che non ha i requisiti richiesti dalla legge per svolgere questa attività, non è padrone dell’automobile, ma magari è anche costretto a dormirci dentro, sul modello statunitense. L’ennesimo lavoratore povero e senza diritti che non riesce a trarre dal suo lavoro neanche il necessario per vivere dignitosamente.

I tassametri dei taxi, poi, sono piombati e tarati dalle autorità competenti in base a tariffe stabilite dalle medesime autorità, in modo che a fronte dello stesso percorso la spesa sia sempre la stessa. Ma se a decidere il costo è uno smartphone che segue le leggi del “libero mercato” allora la tariffa può lievitare in base alla quantità di richieste per un particolare percorso, cosa che al cliente di Uber non viene spiegata.

La vicenda è da seguire perché i tassisti sono lavoratori, ceto medio tartassato e non certo una delle cause della mancanza di competitività del sistema paese, come ci ha raccontato tante volte il mantra del capitalismo.

Google non nasconde di volersi espandere grazie a questa app molto terrestre e di voler utilizzare i veicoli anche per parecchi altri fini: per le consegne di oggetti, per esempio, oppure per eliminare addirittura la sempre mai completamente affidabile “componente umana”.

(Non è un segreto che Google stia puntando molto anche sulle vetture senza conducente.)

Serve costruire un Fronte Unitario dei Lavoratori che appunto unifichi le vertenze della classe operaia  con i lavoratori precari, autonomi (come i tassisti), a partita IVA. Il mondo dei lavoratori è stato diviso ma il nemico di sempre è il padrone, anche se globalizzato e difficile da scoprire, protetto e nascosto com’è dalla “sinistra” di governo e dai sindacati concertativi (Cgil compresa).

Paola Baiocchi

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