Petizione Popolare.  Tre proposte comuniste per il lavoro, contro UE e Nato.

Petizione Popolare. Tre proposte comuniste per il lavoro, contro UE e Nato.

– lotta alla precarietĂ  sul lavoro alla disoccupazione e alle delocalizzazioni.

La disoccupazione ha superato il 12%, toccando quota 46% a livello giovanile, in alcune regioni d’Italia superando il 60%. Le condizioni lavorative peggiorano mentre i profitti delle grandi imprese aumentano. In questo caso è necessario da una parte assicurare un’esistenza dignitosa ai disoccupati, dall’altra rimuovere le cause della disoccupazione, aumentando alo stesso tempo le tutele e i diritti dei lavoratori. Per questo il Partito Comunista propone l’istituzione di un salario minimo garantito per un’esistenza dignitosa dei lavoratori e delle lavoratrici ed un’indennità di disoccupazione  fino a nuova proposta di assunzione. La precarietà in aumento in questi anni non ha diminuito la disoccupazione, ma solo peggiorato le condizioni dei lavoratori. Per questo chiediamo l’abrogazione di tutte le leggi che legittimano la precarietà sul lavoro e che discriminano i lavoratori e la conversione dei contratti in forme a tempo indeterminato. Non si crea lavoro aumentando l’età pensionabile, a differenza di quanto sostenuto in questi anni. Dunque la riduzione dell’età pensionabile, così come la riduzione dell’orario di lavoro a parità salariale sono misure necessarie per aumentare l’occupazione e allo stesso tempo creare le premesse per un’esistenza dignitosa per lavoratori e pensionati. La perdita di molti posti di lavoro è dovuta al fenomeno delle delocalizzazioni, incentivato dalla libera circolazione prevista dalla normativa europea. Contro chi sposta l’azienda in un paese a minor costo del lavoro, con livelli di tassazione e tutele del lavoro più basse, chiediamo l’applicazione dell’esproprio previsto agli articoli 42 e 43 della Costituzione relativamente all’esproprio e all’affidamento in gestione ai lavoratori.

 – ripudio unilaterale del debito pubblico e dei trattati dell’Unione Europea.

L’Italia ha un debito pubblico di oltre 2.000 miliardi di euro, pari circa al 130% del nostro prodotto interno lordo. Una cifra enorme che si è accumulata dagli anni ’80 in poi e che è cresciuta ulteriormente negli anni della crisi. Il debito pubblico cresce perché è costituito in larga parte da interessi su interessi, una vera e propria usura applicata dai grandi monopoli bancari e finanziari che strozza il paese e le classi lavoratrici. L’Italia non è in grado di ripagare il proprio debito pubblico se non a costo di far fallire milioni di famiglie. Attraverso la leva del debito pubblico l’Unione Europea impone le politiche di riduzione dei salari, dei servizi pubblici e la privatizzazione delle società pubbliche e dei beni demaniali, favorendo così gli interessi dei grandi monopoli industriali e finanziari. La sovranità degli stati si riduce e le politiche economiche vengono decise sempre di più da Bruxelles. La prima proposta per cambiare l’Italia è il ripudio unilaterale del debito pubblico e la denuncia dei trattati dell’Unione Europea, condizione necessaria per conquistare una vera sovranità popolare, per non lasciare che le classi popolari restino schiacciate dagli interessi dei monopoli.

 – uscita dalla Nato e taglio delle spese militari.

Ogni anno l’Italia spende una quota pari a circa il 2% del PIL per le spese militari. Una quota di denaro pubblico che potrebbe essere reinvestita nella creazione di ospedali, scuole, nel finanziare programmi per il diritto alla casa, edilizia popolare e servizi sociali. Nella spesa sono comprese anche le missioni militari che i nostri soldati svolgono all’estero su ordine della Nato e dell’Onu. Si tratta di interventi che mascherano interessi di natura imperialista che non hanno nulla a che vedere con la pace e con la libertà dei popoli. La Nato è uno strumento formidabile usato dall’imperialismo per impedire l’autodeterminazione dei popoli, per raggiungere militarmente gli obiettivi che i grandi monopoli non riescono ad ottenere solo con l’assoggettamento politico ed economico. L’uscita dell’Italia dalla Nato corrisponde alla piena applicazione dell’articolo 11 della Costituzione e del ripudio dell’utilizzo della forza nelle controversie internazionali. Al contempo chiediamo il taglio della spesa militare, a partire dal ritiro dei soldati in missione all’estero, e dal rifiuto dei programmi comuni della Nato.

 

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