COMITATO CENTRALE. ODG su Fiat di Nola e contributi delle organizzazioni di Livorno e Liguria.

COMITATO CENTRALE. ODG su Fiat di Nola e contributi delle organizzazioni di Livorno e Liguria.

Ordine Del Giorno approvato dal Comitato Centrale del Partito  Comunista  nella seduta del 6  maggio 2015

 

La sentenza del Tribunale di Nola , che estromette dal ciclo produttivo e dalla rappresentanza i 5 operai dello stabilimento FIAT di Nola . segna un punto politico e giuridico fondamentale per  i padroni e tutto negativo per i lavoratori .

Il giudice , in questa gravissima sentenza, ratifica le peggiori azioni messe in campo dai padroni contro la classe operaia e verso i lavoratori tutti, a partire dal Testo Unico sulla Rappresentanza passando per l’abolizione dell’art, 18 , fino al Jobs Act , in sostanza legittimando il “metodo Marchionne” .

Lo stesso che in questi anni, da Melfi a Pomigliano e all’intero Paese, ha rappresentato il punto più alto nello sfruttamento dei lavoratori da parte della borghesia monopolistica internazionale .

Il lavoratore lo si vuole solo ed isolato , sottoposto all’inaudito ricatto della cassa integrazione , del reparto confino , fino al licenziamento in quanto avanguardia di lotta , ad un licenziamento sostanzialmente politico .

Una pratica chirurgica che asetticamente asporta dal corpo della fabbrica, dell’ufficio, del call center, del centro commerciale, qualsiasi lavoratore cosciente e pronto ad organizzare la resistenza allo spietato attacco al movimento dei lavoratori organizzati.  Cosi come è successo ai 5 compagni operai, licenziati politici dal “modello Marchionne”.

Oggi i lavoratori, i proletari , pagano il prezzo della crisi …e lo pagano in vite umane ( suicidi , malattie, infortuni sul lavoro , nuove patologie che insorgono con l’avanzare dei ritmi di sfruttamento che i capitalisti impongono alla classe operaia ).

Una classe che ormai non si può solo riconoscere nei ritmi della produzione metalmeccanica, ma che  oggi si fa riconoscere anche per la proletarizzazione che il ceto medio ha subìto , a partire dagli impiegati, una volta “colletti bianchi”, e che oggi sono sottoposti alle nuove catene di montaggio, dove si produce un servizio o un prodotto immateriale, e non una merce, fino ai nuovi schiavizzati, gli operatori dei call center.

I lavoratori tutti si sentono abbandonati dai sindacati “concertativi e collaborazionisti”, che ormai non possono più incidere in una lotta di classe acuta, che per altro non hanno mai voluto combattere.

Per questa responsabilità storica e , fondamentalmente, per l’inutilità dei dirigenti e burocrati sindacali rispetto ai concreti interessi  dei lavoratori  essi stessi verranno spazzati via in una acuta crisi di rappresentanza, una volta resi inutili anche per padroni e per i loro governi.

Mentre la politica , quella di una finta sinistra e di un falso movimento , abbandona di fatto il terreno della lotta di classe, il Partito Comunista, con i suoi militanti e le organizzazioni di massa e di classe,  pone al centro della sua azione politica  la lotta dei lavoratori italiani, delle larghe masse popolari , per farli uscire dall’isolamento , costruire l’unità delle vertenze e il coordinamento , in tutti i luoghi ed i ogni momento,  a partire , data la drammaticità della fase, proprio dalla organizzazione di un collegio di tutela legale a livello nazionale.

Si rende cioè necessaria  la creazione di una pratica coordinata dei conflitti, che sia anche in grado di offrire la più attenta e competente tutela legale per le vertenze che si proporranno di contrastare lo strapotere e l’arroganza della borghesia, a partire dalla difesa intransigente dei cinque combattivi operai licenziati dalla Fiat a Nola

 

CONTRIBUTO SUL TEMA DEL LAVORO DELLA FEDERAZIONE DI LIVORNO  PER IL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO COMUNISTA

I compagni e le compagne del Partito Comunista – federazione provinciale di Livorno- ritengono opportuno sottoporre all’attenzione del Comitato Centrale del Partito le riflessioni seguite ad una prima analisi della pesante crisi occupazionale in cui versa l’intero territorio della provincia livornese.

A seguito del licenziamento dei lavoratori della TRW, circa 500 lavoratori, della crisi dello stabilimento Eni, circa 1.200 lavoratori, della crisi del call center People Care, conclusosi in questi giorni con il licenziamento di 341 lavoratrici, e della crisi di altre piccole e medie aziende, in Livorno città da un anno lavoratori e rsu di varie aziende si sono costituiti in Coordinamento Lavoratori e Lavoratrici Livornesi, trasversale alle varie sigle sindacali e formalmente autonomo da queste, che ha per motto: “Se colpiscono uno colpiscono tutti”. Il tentativo di questi lavoratori è quello “mettere sul piatto” il peso di mobilitazioni unitarie su ogni singola vicenda significativa che vede minacciare chiusure e/o delocalizzazioni. Sono state organizzate due grandi manifestazioni unitarie contro la crisi e i licenziamenti (novembre e aprile) che hanno visto un buon successo in termini di partecipazione e di coinvolgimento della cittadinanza. Iniziative di mobilitazione in solidarietà di lavoratori impegnati nelle singole vertenze hanno visto la partecipazione estemporanea di piccoli gruppi.

Il Coordinamento stenta a superare la fase della pura mobilitazione di piazza (grande o piccola che sia) e a darsi una linea organica di opposizione sociale e politica. E’ egemone una linea movimentista e pansindacalista che ha come unico collante la difesa del posto di lavoro e il “rifiuto dei partiti” di qualsiasi tipo. Ciò si traduce nella difficoltà a far penetrare nel dibattito temi di carattere politico.

Il nostro Partito ha stabilito un rapporto di collaborazione col Coordinamento, è riconosciuto come interlocutore serio, partecipa alle manifestazioni e alle iniziative.

A Piombino si è ad un punto cruciale della procedura di vendita delle Acciaierie (Lucchini S.p.a.) alla algerina Cevital.

Secondo la narrazione di regime, gli accordi tra la Cevital e i vari livelli di Governo consentiranno di salvare, da qui al 2018, tutti i 2200 posti di lavoro (numero attuale dei dipendenti diretti delle Acciaierie), grazie a un piano che vede investimenti per circa 700 milioni, con  la demolizione della vecchia area a caldo, l’ammodernamento di un treno di laminazione, la costruzione di due forni elettrici e lo sviluppo di una attività agroindustriale. In questo modo sarebbero salvi i posti di lavoro e si procederebbe secondo un concetto di diversificazione economica, chimera cui Piombino guarda da almeno tre decenni come alternativa alla perdurante crisi del mercato dell’ acciaio.

La narrazione di regime omette di sottolineare diverse fondamentali questioni:

– La Cevital è un gruppo agroindustriale e non è un mistero per nessuno che sia particolarmente interessata alle aree retroportuali che si libereranno con la demolizione dell’area a caldo delle Acciaierie, con l’intenzione (prevista nel piano) di costituirvi un grande snodo per il commercio internazionale di derrate alimentari e agroindustriali;

– La Cevital non ha alcuna esperienza in campo siderurgico (e lo ha dimostrato durante tutta la trattativa) e non si comprende quale interesse economico possa avere a tentare di rilanciare una produzione di acciaio che vede da tempo eccessi di offerta da cui sia l’Europa che l’Italia sono chiamati a rientrare; e che ha visto tutti i tentativi, dalla fine degli anni ottanta ad oggi, di rilanciare le Acciaierie di Piombino, fallire miseramente in assenza di serie iniziative di qualificazione tecnologica avanzata della produzione. Cevital ripropone uno schema già fallito.

– La tempistica del piano industriale prevede subito lo sviluppo della fase “agroindustriale” e dopo la costruzione dei due nuovi forni elettrici per la produzione di acciaio.

Come a dire: “di sicuro demoliamo il demolibile, acquisiamo le aree, sviluppiamo l’agro-industriale e il commercio di derrate (previsti 700 di posti di lavoro), per il resto di vedrà…se il mercato dell’acciaio non tirerà, nessuno potrà obbligarci a gettare via i soldi, rischiando di mettere in crisi anche la parte agro-industriale del piano.” Non si tratta di cattivi pensieri quanto di razionali previsioni sui futuri comportamenti del gruppo algerino, poiché è prevedibile che il mercato non tirerà per il tipo di produzione di acciaio prevista a Piombino.

– I 2.200 dipendenti di cui si promette l’assunzione a piano integralmente realizzato (fine 2017), verrebbero assunti col contratto nazionale metalmeccanici-siderurgici, azzerando tutte le voci accessorie del salario conquistate in decenni di lotte sindacali, con decurtazione della busta paga di 300-400 Euro rispetto alle attuali. Su questo aspetto sono in corso trattative tra Cevital e sindacati concertativi.

– Dei circa 1.000 dipendenti delle ditte d’appalto che costituivano l’indotto delle Acciaierie non parla più nessuno. Per questi lavoratori da questo mese cessa ogni tipo di “paracadute salariale”. C’è rabbia e sconcerto tra i lavoratori dell’indotto, che tuttavia, anche a causa della frammentazione del settore, non si coagulano in una opposizione organizzata.

– Fiom, Fim, Uilm hanno gestito la partita fungendo da sponda delle iniziative delle istituzioni locali e nazionali, con iniziative di pressione esterna senza mai promuovere incisive mobilitazioni unitarie e soprattutto senza promuovere il fronte unitario tra lavoratori dipendenti e lavoratori dell’indotto.

Recentemente un gruppo di 30 lavoratori, sia dipendenti diretti che dell’indotto, hanno preso una posizione pubblica attraverso una lettera che pone gli stessi interrogativi e le perplessità sopraesposte. E’ ancora presto per capire se questo gruppo potrà dar vita a una vera opposizione alla gestione di regime. Al momento il Partito ha contatti ma non elementi attivi fra questi trenta.

Il Partito Comunista Livorno registra difficoltà nel trovare le giuste d’ ordine giuste da utilizzare nei movimenti di resistenza, sorti sul territorio in questi ultimi mesi.

Questi movimenti, come ricordato, sono caratterizzati dal tentativo di una classe operaia, che però non ha ancora preso coscienza di essere tale e in alcuni casi rifiuta di farlo, di coordinarsi localmente e di aprirsi alla ricerca di solidarietà di altri strati sociali.

Per non cadere nella trappola della “contestazione guidata dal sistema” e per far avanzare il fronte di lotta, il Partito Comunista, ha necessità di darsi un piano razionale di obiettivi generali da articolare poi in obiettivi concreti, immediati, comprensibili alle masse nelle singole esperienze di lotta, coerenti al programma generale, un programma che guidi le lotte verso una prospettiva strategica più avanzata (il socialismo, la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e la dittatura del proletariato) partendo però da proposte immediatamente recepibili dalle masse.

Gli obiettivi che la borghesia monopolistica sta perseguendo nel nostro paese sono elencati con sufficiente chiarezza nella famosa lettera di Trichet e Draghi del 5/8/2011 che ci consente di avere ben chiari gli obbiettivi del nemico di classe. Dobbiamo essere quindi altrettanto chiari e precisi su punti fondamentali quali: dove e come prendere le risorse, dove allocarle per investimenti e per la crescita culturale e sociale del paese, a chi togliamo e chi diamo per redistribuire il reddito; come concepiamo l’ordine pubblico, il fenomeno dell’immigrazione, la difesa nazionale dall’imperialismo e la collocazione internazionale.

Per questo, si avverte la necessità di lavorare per una Conferenza Programmatica del Partito che sappia dare una ulteriore spinta al lavoro che stiamo  facendo.

CONTRIBUTO DEL COMITATO REGIONALE LIGURE.

La realtà ligure, e in particolare quella genovese, presenta caratteristiche tali da richiedere un intervento politico modulato secondo alcune specificità, seppur nel più rigoroso rispetto della LINEA UNICA IN OGNI LUOGO E SU TUTTI GLI ARGOMENTI.

La Liguria, attualmente è un autentico laboratorio politico che, con il ricompattamento vincente delle destre – dovuto in gran parte ai voti della Lega – prefigura una nuova geografia dello scontro. In questo contesto si inserisce anche la disfatta del Pd e, soprattutto, della sua candidata Raffaella Paita. Le percentuali in forte calo in casa dei Democratici hanno fotografato uno stato di crisi interna, resa ancor più evidente dopo lo strappo di Luca Pastorino, che ha catalizzato anche i resti di Rifondazione e Pdci con l’intento di dare vita ad una ulteriore forza, che ricorda la sinistra arcobaleno.

Anche se, indubbiamente, il voto espresso in sede regionale non rappresenta lo scenario principale entro il quale cerchiamo di portare le nostre armi della critica, saremmo disarmati e disarmanti se non facessimo i conti con una situazione che ha configurato la regione.

L’astensionismo, pari al 50 per cento della popolazione, non può essere ascritto solo a “gite fuori porta” garantite dal bel tempo e dal ponte lungo: un ligure ha votato e uno ha girato i tacchi, questo è il dato nudo e crudo.

E questa specificità, porta fuori dalle sedi istituzionalmente deputate lo scontro politico che, inevitabilmente, vedrà come soggetti attivi pletore di comitati e movimentismo.

E ciò, è facile immaginare, andrà a consolidare lo scenario sociale nel medio periodo.

Ma l’intreccio sociale ed economico, ci rivela una regione estremamente contradditoria che nel genovesato è stata drammaticamente attraversata dal crollo trasversale delle partecipazioni statali.

Tasso di disoccupazione, e disoccupazione giovanile, al livello delle regioni meridionali. Tasso di anzianità elevatissimo, a livelli record in campo europeo. Regione, quindi, con altissimo tasso di pensionati.

La Liguria, Genova ma anche le altre province, sono realtà vecchie e questa è specificità di cui tenere conto per modulare interventi specifici.

Non a caso,  la partita più importante della politica regionale (l’82% del bilancio) si gioca sul campo della sanità….

E il dibattito politico che ha determinato il cambio di rotta ai vertici della Regione è stato dominato dalla paura, sentimento che diventa facilmente politico e che è facile agitare di fronte a chi fa dell’insicurezza, percepita o meno, il proprio pane quotidiano. Sentimento, che nulla ha a che vedere con i discorsi di politica fiscale e/o del lavoro: argomenti che, nel corso della campagna elettorale, non sono mai stati toccati da alcun candidato.

I morti delle alluvioni, i mercati illegali degli extracomunitari, il record italiano, per Genova, di scippi, sono stati gli elementi che hanno catalizzato e spostato l’asse elettorale, con un’abile strategia di marketing sul territorio, dalla parte di chi ne ha fatto largo uso.

Argomenti che hanno un rappresentato l’argomento UNICO del dibattito e determinato il risultato elettorale.

Stringendo al dato politico del capoluogo, Genova sarebbe largamente 5 stelle, la prima delle grandi città a cadere in mano ai grillini, con una vittoria  schiacciante (7 Municipi su 9).

E con questa specificità vanno fatti i conti, purtroppo. Occorre attrezzarsi per arrivare (tra 2 anni) alle prossime elezioni amministrative genovesi garantendo al Partito una dignitosa visibilità.

Geografia sociale e politica  particolare, paura amplificata, disoccupazione in larghissima parte giovanile.

Ma andiamo avanti, con lavoro ed

industria: altre specificità. L’implosione delle partecipazioni statali ha di fatto nebulizzato la tradizione operaia genovese, tanto che oggi esistono solo singole imbarcazioni alla deriva artigliate alle boe di salvataggio degli ammortizzatori sociali: salvagenti che ormai si stanno sgonfiando. ILVA al tracollo, Ansaldo venduta, Finmeccanica e Fincantieri ostaggio del racket dei singoli amministratori.

Pezzi di storia industriale, come Piaggio, abbandonati dalle politiche governative.

Tristemente, constatiamo che la lotta dei lavoratori è finalizzata al mantenimento dell’ammortizzatore sociale (il posto di lavoro se n’è già andato) ed è quindi gestita dall’apparato burocratico sindacale, spesso asservito alle istituzioni. Entrare in queste dinamiche è molto difficile. E ancora più complicato è guidare le avanguardie della lotta dei lavoratori. Mi riferisco al trasporto pubblico, una delle bombe a orologeria innescate sul territorio. La gara  prevista nel 2016 per la gestione unica, a livello regionale, presuppone una privatizzazione già cercata oggi dal Comune di Genova per Amt, prossima al collasso e condotta scientemente al fallimento. In questo contesto, l’esperienza del FUL in Amt ha fatto emergere con chiarezza quanto sia per noi necessaria una maggiore organizzazione a tutti i livelli…

Il porto, altra specificità.  I moli, attraversati dalla crisi non troppo pesantemente, stanno per essere travolti dalle leggi di riforma delle autorità portuali. Una situazione incandescente nel medio periodo, ma fortemente specifica perché monolitica e gestita in modo autoreferenziale dai camalli della Compagnia Unica, da sempre costituiti come corpo separato e fortemente connotati da Lotta Comunista.

Tutto ciò per dire che, per motivi differenti, nella realtà genovese, l’approccio alle lotte è condizionato, non tanto dalla prospettiva futura e rivoluzionaria, quanto dal passaggio burocratico.

Un caso su tutti, la dirompente questione amianto: inscatolata in una trattativa privata, dove il discorso politico è stato esautorato e tutto è rimandato a cavilli e codicilli.

Ancora una specificità: la gestione dei rifiuti, che porta con sè tre incubi. Quello sociale di un’emergenza di tipo napoletano, quello economico di una tassazione sempre più pressante e quello politico con la privatizzazione, almeno in parte e già annunciata, dell’azienda genovese Amiu.

Trasporti e rifiuti sono le  specificità genovesi che maggiormente necessitano di una risposta, da parte del nostro partito, articolata e fruibile anche nell’immediato.

A forza di essere specifici si rischia di essere rari, e questo non deve accadere!

Occorre peró essere onesti nel delineare lo stato attuale della Liguria. Nella complessità dello scenario, il disegno regionale non è rispondente alle attese e, mentre Genova  (ovvero il 50% delle entità demografiche) cerca di rispondere portando avanti un discorso comunista il più articolato possibile, le provincie  si muovono con difficoltà tanto comprensibili quanto evidenti.

Anche in questo senso andrebbe affrontata la specificità del problema che si è concretizzata, in modo lampante,  nel mancato obiettivo della raccolta delle firme necessarie alla partecipazione alle elezioni regionali.   Interrogarsi circa l’opportunità di dilatare oltremisura gli obiettivi territoriali potrebbe essere opportuno:  spesso la quantità va a discapito della quantità stessa. E questo anche in chiave delle prossime elezioni amministrative, obiettivo che vogliamo traguardare.

In conclusione,  LINEA UNICA IN OGNI LUOGO SU TUTTI GLI ARGOMENTI, ma modulando l’intervento politico a seconda delle specificità territoriali.

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