Grande successo dell’iniziativa congiunta a Roma KKE-CSP. La relazione introduttiva.

Grande successo dell’iniziativa congiunta a Roma KKE-CSP. La relazione introduttiva.

RELAZIONE a cura della Commissione Internazionale di COMUNISTI SINISTRA POPOLARE alla Direzione Nazionale e al Comitato Centrale di sabato 8 Ottobre 2011 ed alla successiva iniziativa congiunta col Partito Comunista di Grecia – KKE avente per titolo: No alla UE e alla Nato, per il Socialismo.

 

Care compagne e compagni,

l’aggravamento della crisi, verificatosi nei mesi estivi, ci impone alcune riflessioni sul suo carattere, sui suoi risvolti politici e sui compiti che il Partito dovrà porsi nell’immediato futuro. Nell’attuazione della linea politica del Congresso e delle successive riunioni della Direzione Nazionale e del Comitato Centrale di Comunisti Sinistra Popolare sono state individuate nella questione internazionale e nel lavoro i punti  primari della nostra azione politica.

 

Per quanto concerne il primo punto siamo soddisfatti di come abbiamo iniziato il nostro lavoro. L’impegno politico di Comunisti Sinistra Popolare è conosciuto nel contesto mondiale dei Partiti Comunisti, anche se certamente tanto è il lavoro che bisogna ancora fare.

 

Le recenti missioni della Commissione Internazionale ad Atene, l’Havana, Bruxelles, Pyongyang  e Parigi hanno confermato ed accreditato il nostro potenziale internazionalista ed antimperialista che, proprio oggi, con questa iniziativa congiunta coi compagni del Partito Comunista di Grecia – KKE  ci pone al centro della discussione e della battaglia contro l’imperialismo europeo e americano e per la ricostruzione del Movimento Comunista internazionale.

 

È certamente superfluo spiegare quanto cruciale sia oggi la presenza del Partito Comunista di Grecia – KKE, uno dei più forti e radicati partiti comunisti del continente, artefice di una lotta strategica contro l’Unione Europea e per il Socialismo, non solo in Grecia ma nel contesto più vasto dell’Europa e del mondo. Siamo quindi soddisfatti ed orgogliosi di poter sviluppare questa iniziativa congiunta come punto di partenza per le nostre future relazioni con i compagni del Partito Comunista di Grecia – KKE.

 

La questione del lavoro, strategica in questa in questo contesto di crisi sociale, verrà produttivamente evidenziata nella prossima riunione della Direzione Nazionale e del Comitato Centrale del prossimo 29 ottobre con la conseguente iniziativa politica che mette in campo il protagonismo dei lavoratori anche sulla questione istituzionale. Infatti nel pomeriggio di sabato 29 ottobre la discussione sarà aperta dalle esperienze di lotta nei luoghi di lavoro per una discussione sulla rappresentanza ed il protagonismo politico dei lavoratori.

 

Se in questo delirio della politica nostrana si può parlare a vanvera e dare credito a vergognosi scritti come il “manifesto degli industriali” o a pensare a inopportune istituzioni come il “Parlamento delle Regioni”,  perché non dovrebbe esserci la titolarità per parlare di un Parlamento dei lavoratori? Di una istituzione di protagonismo rappresentativo di chi produce la reale ricchezza nel Paese? Tutte questioni che appunto rimanderemo alla riunione del Comitato Centrale del sabato 29 e all’iniziativa pubblica che ne seguirà.

 

1. Aspetti economici della crisi in atto

Abbiamo più volte affermato che la crisi che stiamo vivendo è strutturale e sistemica, cioè affonda le sue radici nella natura stessa del modo di produzione capitalistico e comporta un decadimento delle stesse sovrastrutture politiche e culturali.

La crisi, nella sua sostanza, si caratterizza come crisi di sovrapproduzione e sovraccumulazione. La massa di merci prodotte non riesce a realizzare il proprio valore di scambio, il capitale accumulato non riesce ad ottenere sufficiente profitto dalla produzione di merci, a causa della scarsa domanda, e in buona parte quindi si trasforma in capitale finanziario, cercando in quest’ambito la remunerazione che non riesce a trovare nella produzione reale.

Per compensare la forte caduta del tasso di profitto e riavviare con successo il processo di riproduzione allargata e di accumulazione, il sistema deve distruggere parte del capitale accumulato, attraverso forti riduzioni di capacità produttiva e di impiego di forza lavoro. Analogamente e conseguentemente, sul piano finanziario, una parte dell’enorme massa di capitale in cerca di profitti alternativi a quelli derivanti dalla produzione viene distrutta dai ribassi delle quotazioni dei titoli in borsa. Poiché le azioni sono titoli rappresentativi di quote di capitale accumulato, si può facilmente rilevare come una riduzione del capitale reale sul piano della produzione determini una riduzione del capitale virtuale sul piano finanziario. I “crolli delle borse” sono sempre la conseguenza, non la causa, dei crolli della produzione reale.

Sempre per compensare la caduta del saggio di profitto, il capitale è obbligato ad incrementare l’estrazione di plusvalore dal lavoro salariato, quindi ad aumentarne lo sfruttamento attraverso la compressione dei salari e l’allungamento del tempo di lavoro non necessario (cioè non retribuito),  sia immediato che differito (prolungamento della vita lavorativa). A ciò si aggiunge una legislazione in materia di lavoro che, cancellando diritti acquisiti con anni di lotte, ha praticamente dato al padronato libertà di licenziare e di non pagare gli oneri previdenziali per larghe fasce di lavoratori, soprattutto giovani, scaricandone il peso sulle spalle dei lavoratori stessi. Dall’aumento dell’esercito di disoccupati deriva una diminuzione dei salari per effetto della maggior concorrenza tra lavoratori, mentre la decontribuzione comporta una diminuzione dei salari differiti (pensioni) e dei salari indiretti (servizi e assistenza).

La detenzione totale del potere, ormai non più mediata, consente, inoltre, al capitale di utilizzare la spesa pubblica per compensare la caduta del saggio di profitto, trasferendo risorse statali, quindi finanziate dal popolo lavoratore, a grandi imprese e banche per coprire l’insufficiente remunerazione del capitale. Proprio da questo “assistenzialismo alla rovescia”, da questo “socialismo per i ricchi”, che taglia servizi e pensioni ai poveri per dare alle banche , nasce il problema dell’indebitamento pubblico. Il debito pubblico è stato lo strumento con cui le borghesie nazionali hanno finanziato l’accumulazione di capitale nelle fasi espansive e con cui, oggi, compensano, a proprio vantaggio e a spese dei lavoratori, gli effetti della crisi da esse stesse provocata.

Il fatto che, a differenza di quanto è accaduto nel passato, il capitalismo non riesca più a riavviare il meccanismo di riproduzione allargata e il ciclo di accumulazione in senso espansivo, che i punti di ripresa siano sempre più bassi di quelli precedenti (non riesce a riprodurre per intero la ricchezza distrutta dalla crisi), che le fasi espansive siano sempre più brevi e quelle depressive sempre più frequenti e profonde, ci induce a ritenere che il modo di produzione capitalistico si trovi in uno stadio di crisi, strutturale e sistemica, finale.

Ciò non vuol dire che sia in procinto di crollare da un momento all’altro, tanto meno che un tale crollo possa avere esiti progressivi, da un nostro punto di vista. Il capitalismo ha dimostrato di avere notevole resistenza e capacità di sopravvivenza. Vuol dire però che, per sopravvivere, cercherà di imporre misure economiche sempre più devastanti e insostenibili per la classe operaia e i ceti popolari e, per questo, sempre più farà ricorso a politiche autoritarie e repressive e alla guerra imperialista.

 

2. Costruire movimenti di vera resistenza sociale

Di fronte a ciò, si pone per i comunisti il dovere di sviluppare il movimento di resistenza a queste nefaste forme di ristrutturazione capitalistica, guidandolo verso uno sbocco realmente rivoluzionario, affinché la sua azione non si risolva in modo nordafricano, cioè in un tumulto del pane senza reale trasformazione sistemica.

Non basta proclamare il conclamato fallimento dei modelli liberaldemocratici e socialdemocratici, come se nell’ambito di questo sistema fosse possibile proporne di nuovi e risolutori, magari raffazzonati prendendo un po’ a destra e un po’ a sinistra. Occorre, invece, prendere atto che questo modo di produzione ha esaurito la sua funzione storica, che non è riformabile, né emendabile in senso efficentista e, pertanto, porre all’ordine del giorno la questione della rivoluzione socialista come unica soluzione alternativa all’apocalisse sociale.

I movimenti della società civile, cosiddetti spontanei, da quelli nordafricani, al “15 Maggio” spagnolo, fino ad arrivare al “Popolo Viola” e ai “Grillini” non sono la risposta al problema. Pur intercettando parte del malessere sociale e individuando alcuni problemi reali che affliggono la società, hanno pur sempre una visione parziale e non classista della situazione, ma soprattutto non pongono in discussione la radice del male, cioè il modo di produzione capitalistico, rimanendo all’interno della sua logica e delle sue compatibilità e proponendo al massimo pannicelli caldi per curare un tumore maligno.

Come si può, ad esempio, continuare a dirigere i propri strali contro i cosiddetti “costi della politica”, per quanto odiosi siano, facendo finta di non vedere come questi siano veramente briciole in confronto a quanto il popolo sta pagando per mantenere grandi imprese, corporations e banche! E’ evidente come questi movimenti, che spesso assumono posizioni apertamente qualunquiste (rifiuto dei partiti, ecc.) si prestino a fuorviare la giusta rabbia popolare, incanalandola verso falsi obiettivi, distogliendo le masse dal vero problema, che è quello del rovesciamento del capitalismo e della costruzione del socialismo.

 

3. UE e NATO

L’UE è il principale strumento istituzionale con cui le borghesie nazionali del nostro continente cercano di far pagare alla classe operaia e ai lavoratori i costi della crisi del loro sistema, del loro indebitamento e della competizione interimperialista con cui contendono l’egemonia mondiale agli USA. Con un Parlamento che non conta pressoché nulla, l’UE è diretta da organi totalmente staccati dai cittadini, volutamente non elettivi e sottratti ai meccanismi delle stesse democrazie borghesi

(come insegna la storia, anche se in modo differente, il capitale è “democratico” solo quando vince, lo dimentica totalmente quando perde, fosse l’elezione di Allende in Cile o il referendum sul no alla UE in Francia). In questo senso è il modello che le borghesie nazionali vorrebbero imporre anche nei propri paesi. La BCE sta attuando un’autentica rapina a vantaggio del capitale e ai danni dei lavoratori, le cui condizioni di vita peggiorano in modo insostenibile. Vincolando la concessione dei crediti alle rigidissime regole dei patti di stabilità da lacrime e sangue, realizza il saccheggio dei paesi membri economicamente più deboli a vantaggio delle economie più forti, nella più pura logica imperialista, facendo sprofondare ancora di più i primi nella spirale indebitamento-rigore, tagli, compressione della domanda-depressione-ulteriore indebitamento.

Considerato ciò, il nostro Partito ha giustamente lanciato le parole d’ordine dell’uscita dalla UE e dal sistema Euro , della successiva necessità del rifiuto del  pagamento  del debito (salvaguardando però quello detenuto dal piccolo risparmio privato e dai fondi previdenziali)e della conseguente nazionalizzazione delle banche.

Abbiamo inoltre “svelato” il carattere imperialista della UE nella campagna di controinformazione suul’aggressione alla Libia, constatando le contraddizioni irrisolvibili di quella che vorrebbe definirsi la sinistra nostrana.

Deve essere ben chiaro, però, che di per sé queste parole d’ordine hanno senso per noi e per la classe operaia solo se sono strettamente legate all’obbiettivo di abbattere il sistema capitalistico per costruire una società socialista. Solo un sistema dove la proprietà privata dei mezzi di produzione sia stata abolita e sostituita dalla proprietà statale e collettiva, dove la produzione e la distribuzione siano sottratte alla selvaggia anarchia del mercato attraverso una pianificazione centralizzata e controllata dai lavoratori dal basso, attraverso l’esercizio da parte loro del dominio politico totale, può garantire il superamento della crisi in senso progressivo  e la vera alternativa all’imbarbarimento.

Dobbiamo avere la capacità di fare comprendere alle masse che la protesta contro questa o quella ingiustizia non è sufficiente, che la lotta per obiettivi immediati non basta, se non è collegata alla trasformazione rivoluzionaria e alla rivendicazione del potere politico. E’ questo, in prima istanza, che differenzia la nostra posizione dall’antieuropeismo della Lega e di certa destra (peraltro in forte calo). Quando loro propongono l’uscita dall’UE non mettono in discussione il capitalismo, non si propongono di rovesciarlo. Per noi, invece, l’uscita dall’UE è uno dei passi da compiere in direzione del socialismo e per questo ci battiamo, insieme alla parte più coerente del movimento comunista in Europa.

Allo stesso modo deve essere intesa la parola d’ordine dell’uscita dalla NATO: non ci spingono semplici considerazioni di risparmi di bilancio, né un generico pacifismo, ma la volontà di compiere un passo verso lo smantellamento definitivo di uno dei principali strumenti d’aggressione dell’imperialismo.

 

4. Creare le condizioni per la rivoluzione socialista

Tuttavia, compagni, non basta parlare di rivoluzione. Occorre lavorare con energia e accanimento per prepararne le condizioni. Occorre individuare quali saranno le forze motrici del processo rivoluzionario in Italia, occorre stabilire e precisare tattiche, strategie, obbiettivi di breve, medio e lungo periodo.

Uno dei compiti primari del Partito dovrà essere quello di organizzare la classe operaia affinché crei intorno a sé un sistema di alleanze sociali con gli altri strati popolari colpiti dalla crisi: contadini, impiegati, piccoli commercianti e anche piccoli imprenditori, giovani precari con partita IVA, cioè con quei ceti e quelle categorie che si stanno rapidamente impoverendo, proletarizzando. Questo blocco sociale, alternativo a quello attualmente dominante, potrà diventare la forza motrice della rivoluzione socialista nel nostro Paese.

Ovunque, le classi dominanti, per poter gestire la ristrutturazione capitalistica, far pagare la crisi alla classe operaia e contenere il crescente malcontento popolare, tendono, sul piano politico, a restringere gli spazi di democrazia e ad accentuare gli aspetti repressivi e autoritari del proprio dominio politico. In tutta Europa, le modifiche in atto delle leggi elettorali sempre più limitano il diritto a partecipare alle elezioni per i partiti della classe operaia, privandola della rappresentanza nelle istituzioni. I parlamenti, nei quali, grazie a meccanismi elettorali truffaldini, non sono rappresentate intere fasce di popolazione, sono sempre di più svuotati di legittimità e poteri effettivi, diventando camere di pura ratifica di ciò che è già stato deciso dal potere esecutivo. Nei fatti, la borghesia sta ripudiando lo stesso Montesquieu, la sua stessa concezione di tripartizione dei poteri. La democrazia parlamentare borghese, di fatto, sta perdendo la sua foglia di fico per restare nuda nel suo mero formalismo privo di sostanza.

Al tempo stesso, si accentuano la repressione poliziesca, il controllo e lo spionaggio della vita privata dei cittadini.

In questo senso, non dobbiamo farci illusioni. L’aggravamento della crisi porterà inevitabilmente ad un inasprimento di questi aspetti repressivi e autoritari, impedendo sempre di più il diritto alla protesta e al dissenso.

E’ per questo che, strategicamente, l’asse dell’attenzione e dell’attività dei Comunisti deve essere spostato dal terreno parlamentare e elettorale a quello dello sviluppo di lotte politiche e sociali di massa a prescindere dalla presenza nelle istituzioni, da quello della composizione di alchemiche alleanze elettorali a quello della costruzione di un blocco sociale alternativo, costituito dalla classe operaia e dagli altri strati popolari, compatto intorno ad un progetto chiaro di trasformazione socialista della società.

In altre parole, dobbiamo essere coscienti del fatto che la battaglia si deve combattere nel paese reale, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, di studio, di scienza e di cultura.

Questa esigenza si pone in momento di estrema debolezza del movimento operaio in Italia, sia politica che sindacale. Esistono diffusi focolai di resistenza operaia, ma mancano di collegamento organico tra loro e non riescono comunque ad uscire dal terreno, pur importante, della difesa, spesso settoriale o addirittura locale, di quanto rimane dei diritti del lavoro, senza avere capacità offensiva.

Ciò è dovuto sia al fatto che manca oggi in Italia un forte e strutturato Partito Comunista, capace di organizzare la classe operaia e guidare il conflitto verso sbocchi rivoluzionari, sia al processo di degenerazione in senso concertativo e non classista del movimento sindacale.

Il compito che abbiamo di fronte è quindi “uno e trino” (perdonateci la terminologia teologica): dobbiamo al tempo stesso creare le condizioni rivoluzionarie, costruire il Partito Comunista e sviluppare le alleanze sociali della classe operaia, superando l’attuale fase d’impasse sindacale. Sono tre momenti strettamente legati che marciano di pari passo, nelle nostre condizioni: non possiamo dare priorità ad un’esigenza, rimandando le altre a tempi migliori, siamo obbligati a portarle avanti contemporaneamente.

A questo proposito, crediamo che ci sia di grande aiuto l’esperienza, positiva, di alcuni Partiti Comunisti di altri paesi. Ciò che può consentirci, al tempo stesso, di superare la frammentazione e l’inerzia sindacale, di portare ad unità la classe operaia, di organizzare intorno ad essa altri strati popolari, di coordinare e indirizzare le lotte, ma anche di avere un serbatoio di forze e contatti per fare crescere il Partito, sono organismi di massa trasversali come il PAME in Grecia o i CUO in Spagna. Si tratta di organizzazioni di massa che raggruppano i lavoratori, per unità produttiva, categoria e settore, indipendentemente dalla loro appartenenza a questa o quella sigla sindacale, partendo dalle loro esigenze, dai loro interessi immediati sulla base di una piattaforma minima di lotta con chiaro orientamento di classe. Nella generale inerzia delle sigle sindacali, questo permette di organizzare dal basso le lotte, agendo sulla comunanza di interessi materiali concreti dei lavoratori, indipendentemente dalla loro affiliazione sindacale, guidando il malcontento e la rabbia verso la lotta di massa, senza attendere la proclamazione dello stato d’agitazione da parte dei maggiori sindacati.

Nel prossimo Comitato Centrale, proporremo, nel solco delle  linea scelta al Congresso, che il Partito si impegni per creare, nei posti di lavoro, di studio e di cultura, cellule di un simile organismo, la cui piattaforma minima dovremo elaborare utilizzando il contributo dei compagni con maggiore esperienza sindacale, che potremmo chiamare Fronte Unito del Lavoro (FUL), attento anche alle altre lotte sociali di carattere anti UE come ad. esempio il NO TAV. Poiché dovremo organizzare anche lavoratori individuali (piccoli commercianti, piccoli imprenditori, precari) non concentrati in grandi unità produttive, il FUL dovrà avere anche un’organizzazione su base territoriale, oltre che per luogo di lavoro. Mentre la costituzione di cellule di partito si rivolge alla parte più cosciente e attiva della classe operaia e dei lavoratori, la cellula del FUL dovrà rivolgersi a tutti i lavoratori, anche a quelli meno impegnati e coscienti, anche a quelli di orientamento politico diverso, purché compatibile con le premesse generali della piattaforma. Per ora a  nessuno si chiederà di abbandonare il sindacato a cui è già iscritto, ma solo di portare avanti al suo interno i contenuti della piattaforma minima del FUL.

 

5. Parlamentarismo ed elezioni

E’ in questo sviluppo delle lotte, in questo sistema di alleanze sociali intorno alla classe operaia che noi individuiamo la creazione delle condizioni rivoluzionarie e la forza motrice della rivoluzione, non nel parlamentarismo borghese, sempre più formale e meno sostanziale, sempre più limitato e sbarrato alla rappresentanza di classe.

Ciò non significa che rinunciamo alla lotta parlamentare e alla partecipazione alle elezioni, ma intendiamo, da leninisti, il parlamento e le altre istituzioni elettive come un momento che dà maggiore visibilità e voce al programma comunista, alla sua diffusione tra le masse, non certo come lo strumento principale di trasformazione della società.

Dove possiamo, vogliamo e dobbiamo presentare liste comuniste, impegnandoci a fondo per avere successo nel far conoscere il nostro programma ed eleggere i nostri candidati, denunciando la vera e propria truffa delle eleggi elettorali maggioritarie, dei sistemi bipolari, degli sbarramenti. “Una testa, un voto”, questa è la nostra posizione, che dobbiamo essere capaci di veicolare tra gli elettori, per sviluppare un movimento che chieda con forza il ritorno al sistema proporzionale puro.

La nostra partecipazione alle competizioni elettorali, anche nelle condizioni attuali, non può, però, realizzarsi attraverso la partecipazione a coalizioni di “fronte democratico” o di centro sinistra. Ribadiamo ancora una volta la nostra piena alternatività a qualsiasi coalizione borghese, di centrodestra come di centrosinistra, in quanto espressioni politiche degli interessi del capitale.

Reputiamo in tal senso errate strategicamente anche quelle posizioni che fanno riferimento alla cosidetta Sinistra Europea. In sostanza, dobbiamo con ogni mezzo staccarci dalla melma del quadro politico e sottolineare con forza la nostra diversità, per natura e obbiettivi politici, per etica e valori morali, da tutti gli altri partiti esistenti, comunque denominati.

Non si tratta di settarismo, si tratta di chiarezza e coerenza. Il nostro spirito unitario va dimostrato nelle lotte sociali di cui si parlava sopra, ma sulla base di una chiara piattaforma di classe. Se questa non è condivisa, non esistono le condizioni di base per l’unità, che non può essere formale, di facciata, ma deve essere sostanziale, sui contenuti.

La nostra concezione in materia di parlamentarismo borghese ed elezioni è uno degli elementi che più ci differenziano strategicamente dalla Federazione della Sinistra e dal PRC e dal PdCI, i quali non riescono, o non vogliono, uscire dal fallimentare orizzonte delle alleanze elettorali con il PD, magari allargate a destra a qualsiasi forza politica dia in qualche modo segnali di antiberlusconismo.

Non è un caso che , anche a livello internazionale, il PRC sia parte integrante del Partito della Sinistra Europea ed il PDCI ne faccia parte seppur a livello di osservatore.

Anche per noi la caduta del governo Berlusconi è un obbiettivo importante, ma non combattiamo la persona fisica, bensì la classe che questa rappresenta e la sua politica antipopolare, che poi, in linea di massima, è quella dell’UE e della BCE.

Un’analisi seria della crisi in atto, come quella che in parte convincente viene fatta nelle tesi congressuali del PDCI ed in modo ideologicamente più eclettico in quelle del PRC, dovrebbe condurre a riconoscere che proprio il PDS-DS-PD e il centrosinistra sono le forze che maggiormente e coscientemente hanno rappresentato in Italia gli interessi di quella parte di grande borghesia che voleva questa integrazione europea, questa Unione Economica e Monetaria che oggi così crudelmente colpisce i popoli e i lavoratori. Dovrebbe portare a rendersi conto che la finta opposizione del PD nasconde l’inganno ai danni dei lavoratori, in quanto nessun’altra politica economica e sociale, diversa da quella che oggi Berlusconi e Tremonti attuano, è realmente possibile se si accettano vincoli e compatibilità imposti dal diktat della UE e della BCE, come il PD accetta. Dovrebbe indurre a constatare come il substrato ideologico di Sacconi, quello che ispira la cancellazione dei diritti del lavoro, sia costituito dalle elucubrazioni del giuslavorismo di matrice PD. Infine, dovrebbe far capire come il massacro sociale a cui oggi assistiamo sia il prodotto delle brecce aperte dai governi di centrosinistra (dalla legge Treu ai “suggerimenti” di Ichino, alle riforme del sistema previdenziale, allo scippo dei TFR, alla stessa adesione al Trattato di Maastricht) e dai cedimenti collaborazionisti del maggior sindacato, la CGIL, egemonizzato dal PD. In sostanza, si dovrebbe riuscire a intendere, come il PD sia uno dei partiti più coerentemente rappresentativi del grande capitale, industriale e finanziario.

Invece, PRC e PDCI continuano a vedere nella coalizione col PD e il centrosinistra l’unica via per battere le destre, facendo finta di non capire che queste si possono sconfiggere solo con la lotta sociale di massa, non con le congiure di palazzo o le alchimie parlamentari e che la rapina e il massacro sociale avranno fine solo con il rovesciamento del capitalismo e l’instaurazione del Socialismo.

Sulla base dell’esperienza storica recente, consideriamo deleteria per la classe operaia la partecipazione di Partiti Comunisti a coalizioni cosiddette democratiche in questa fase, in quanto portano acqua al mulino della socialdemocrazia, aiutandola a perpetrare il suo inganno ai danni dei lavoratori e ad attuare micidiali politiche a sostegno del capitale.

A questa linea perdente, noi contrapponiamo una linea di costruzione di un Partito Comunista autonomo, saldo nei suoi principi marxisti-leninisti, cosciente del fatto che la battaglia si conduce non nelle aule parlamentari, non nelle giunte, ma nelle piazze e nei luoghi di lavoro e di studio, un partito che partecipa alle elezioni non per ritagliare posizioni di piccolo potere personale  per i suoi dirigenti, ma per far giungere più forte e più chiaro il suo appello alla classe operaia, ai lavoratori, l’appello alla lotta di massa, senza compromessi, per il Socialismo!

Roma 8 Ottobre 2011

 

 

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Iniziativa congiunta CSP-KKE, Roma 8 ottobre

Iniziativa congiunta CSP-KKE, Roma 8 ottobre

Iniziativa congiunta di Comunisti Sinistra Popolare e del Partito Comunista di Grecia (KKE) Sabato 8 ottobre alle ore 15.00 in via Cavour 50 a Roma. Interviene Dimitris Arvanitakis, Ufficio Politico  KKE e Marco Rizzo, Segretario Nazionale Comunisti Sinistra Popolare. No alla UE, No alla Nato, per il Socialismo. Internazionalismo proletario tra i Partiti Comunisti che sono contro le destre ma anche realmente  alternativi al centrosinistra.

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