LA  SVENDITA  DELLA  FIAT  AL  CAPITALE  FINANZIARIO  INTERNAZIONALE

LA SVENDITA DELLA FIAT AL CAPITALE FINANZIARIO INTERNAZIONALE

Parlando della vicenda Fiat, per una volta,  proviamo noi ad usare i loro strumenti…. Dunque  Standard & Poor’s  conferma il rating di Fiat dopo l’operazione di acquisizione completa di Chrysler: BB- con outlook stabile.  S&P lascia inalterato il rating sull’azienda italiana, ma modifica quello sulla società statunitense: il rating di Chrysler scende da B+ a BB-.    S&P  continua, affermando che: “il controllo totale di Chrysler non migliorerà immediatamente il profilo di rischio d’impresa di Fiat, ma che comunque il pieno controllo della casa americana dovrebbe dare un nuovo impulso alle iniziative di integrazione del gruppo e una maggiore flessibilità per attuare la propria strategia commerciale e industriale su scala mondiale e nel tempo potrebbe anche generare alcuni risparmi. L’outlook stabile, conclude, rispecchia le nostre aspettative che Fiat accelererà il processo di integrazione di Chrysler nel 2014.”  La sottolineatura è evidentemente  la nostra, e vuole appunto mettere in evidenza la schiettezza e l’ arroganza con cui il capitale indica i propri obiettivi  e  le  proprie  strategie.

 Di fronte alla luna, indicata con tanta decisione, i nostri falsi difensori della classe operaia fanno finta di non capire ed indicano il dito, quello mignolo ovviamente.  Il meno fiducioso Landini arriva ad esclamare: “un film già visto”, ma è una frase ambigua, perché ancora non si era vista la totale espropriazione di un intero settore strategico industriale del nostro Paese, espropriazione realizzata in gran parte con i soldi pubblici italiani e statunitensi e con la cabina di regia ben dentro Wall Street, dove infatti sarà quotata la nuova company risultato della fusione (lo confessa candido Marchionne, dichiarando che la società punta a quotarsi a New York, dove c’è un accesso più facile ai capitali…). L’ineffabile Bonanni arriva a dire: “è chiaro che continueremo a incalzare Marchionne e la Fiat, sul mantenimento degli impegni produttivi in tutti i siti italiani”, non chiarendo cosa abbia fatto per il gruppo finora  (forse  si  riferisce al  proprio ruolo di marketing delle aggressive scelte aziendali) e  fingendo  di  non  sapere  che  oggi  l’interlocutore  è  comunque un altro.

Non è un caso che si facciano più insistenti le voci su una sostituzione di Marchionne, che saranno puntualmente confermate e che non rappresenteranno affatto un licenziamento, men che meno deciso dal solo, meschino John Elkann. Il Marchionne, capitalista massone di altissimo rango, passerà ad un altro delicatissimo incarico, sempre coerente con il suo profilo da iena in pullover e con la sua strategica mission (si definisce così, oggi, la missione capitalistica di cercare di concentrare i capitali, vista la tendenziale decurtazione delle loro redditività: peccato che il nostro maestro K. Marx l’abbia previsto un secolo e mezzo fa).

Sempre i nostri maestri ci hanno insegnato a studiare attentamente i nostri nemici di classe ed a seguire, forse con meno rigore, ma con più arguzia, i falsi amici della classe operaia.  E allora torniamo a questi ultimi. Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, sostiene serafico: “abbiamo atteso per sei anni frasi come quelle di oggi di Marchionne, è una buona notizia”, ma il più prudente sottosegretario Claudio De Vincenti, evidentemente preoccupato di giustificare l’enorme, anche attuale, impegno finanziario dello stato italiano per il gruppo Fiat, sottolinea che “vigileremo, ma non crediamo che sia un libro dei sogni perché  ci  sembra  che negli  ultimi  mesi  si  siano  già  visti  alcuni  risultati”.

Ovviamente non specifica i risultati, anche perché rischierebbe di dover chiarire che la partita di giro realizzata per la completa fusione Fiat- Chrysler, ammontante a ben 4,350 miliardi di dollari ( cioè ad oltre 6.5 milioni di miliardi  del  vecchio conio, tanto per essere precisi),  è  stata e sarà  coperta  proprio  dallo  stato  italiano  e dalla nostra classe  operaia.  Su questo ci impegniamo, non in brevissimo tempo, data la delicatezza e l’importanza dello studio, a svolgere una inchiesta operaia, condotta insieme ai compagni impegnati nelle lotte nel gruppo Fiat,  a partire dai compagni dello Slai-Cobas, che già ne hanno scritta una fondamentale, quella sul capitolo donazione dell’ Alfa-Romeo allo stesso gruppo Fiat, avvenuta  sotto  l’egida di Prodi e dei suoi mentori, quelli del grande capitale massonico internazionale.  Dobbiamo  pure  dichiarare  la  nostra completa sfiducia circa la possibilità che una tale inchiesta possa essere svolta dalle istituzioni parlamentari, sempre più asservite al dominio ed agli interessi capitalistici, nonostante la buona ma ingenua  volontà  dei  giovani  deputati  cinquestellati.

Ma veniamo ora ai nostri compiti di fase.  Secondo le dichiarazioni di Marchionne, con la fusione delle due case automobilistiche “tutti i lavoratori rientreranno dalla cassa integrazione“.  La dichiarazione, letterale, non specifica che se si tratti dei lavoratori italiani, anche se ovviamente la cassa integrazione non può che riferirsi solo a loro, ma la vaghezza della dichiarazione sta pure nel fatto che non viene indicato alcun impegno di data, di modalità e soprattutto di investimento. Anzi, subito dopo, si affretta a smentire l’intenzione di un aumento di capitale imminente, affermando: “sarebbe una distruzione di valore”.

Ed infatti, la più furba, e perciò la più pericolosa (per noi, ovviamente !) Camusso si affretta a parole a chiedere risposte proprio su tali questioni.  Anche lei finge di non capire che l’operazione annunciata dal Lingotto il 2 gennaio dà in se tutte le risposte, certamente negative.  Essa  infatti  non  migliora  la situazione debitoria, non migliora quindi le valutazioni di rating, non prefigura alcun nuovo investimento, segnatamente in  Italia, assegnando invece  agli  Usa  i  ruoli delle direzioni strategiche  sia  di  natura  finanziario-commerciale,  sia  di  natura  tecnico-scientifica.  Il senso quindi di tale operazione sta proprio nella espropriazione brutale dell’intera  industria automobilistica italiana da parte del capitale imperialistico internazionale, con l’intento dichiarato di spogliare il nostro Paese degli impianti, della ricerca, delle tecnologie  e  soprattutto  del  capitale-lavoro,  concentrati  ancora  nel  gruppo  Fiat.

Non c’è quindi da attendere alcuna risposta dalla borghesia.  Diventa, invece, ancora più credibile un obbiettivo storico della classe operaia, e cioè l’esproprio senza indennizzo delle fabbriche del gruppo Fiat. Nell’attuale situazione non è affatto un obbiettivo estremo od estremistico, rappresenta invece l’unica alternativa  possibile  alla  distruzione  accelerata  e  concreta  dell’intera  industria  automobilistica  in  Italia.  Si tratta quindi di accumulare e concentrare le forze per aprire una grande campagna di lotte politiche e sindacali,  condotte  dalla  classe  operaia  e  dai  suoi  alleati  sociali.

 

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