ALLUVIONE A BARCELLONA P.G. E DINTORNI: SI PAGANO GLI ERRORI DEL PASSATO E LA SCONFITTA STORICA DEI COMUNISTI
Il 22 novembre scorso, Barcellona Pozzo di Gotto ed altri centri della provincia di Messina (particolarmente Milazzo e Saponara, dove ci sono stati pure dei morti) sono stati travolti da un’alluvione. Le acque del torrente Longano, che divide in due il più grande centro della provincia (circa 42.000 abitanti) dopo il capoluogo, ingrossatosi in poche ore, a causa di una pioggia molto intensa, hanno superato gli argini, travolto i ponti, ed hanno invaso la città, devastandola, con il loro carico di tronchi, detriti, fango e materiale vario. L’economia della zona, che si basa prevalentemente sul commercio, è in ginocchio. Gli operatori del settore hanno subito milioni di euro di danni e molti di essi saranno costretti a chiudere definitivamente i battenti, perché non si intravede alcun provvedimento governativo che possa risarcirli adeguatamente. Ci sono solo vaghe promesse, a cui sinora non hanno fatto riscontro fatti concreti. Lo stesso dicasi per l’agricoltura e per le abitazioni private, anch’esse danneggiate notevolmente.
La televisione di Stato ha dato notizia degli avvenimenti con notevole ritardo e con molte reticenze. I vari amministratori pubblici intervistati hanno fatto credere che tutto è dipeso da Giove Pluvio, che ha deciso di scatenare una pioggia imprevista e imprevedibile, che ha riversato sulla zona interessata, in poche ore, una quantità d’acqua equivalente a quella di un anno. Si è detto, incidentalmente, che i problemi stanno a monte, vale a dire che su Milazzo si è riversato un mare di acqua, di fango e di alberi, proveniente da Santa Lucia del Mela e su Barcellona P.G. identico materiale proveniente da Castroreale. Ma come si è prodotto il dissesto idro-geologico delle suddette zone montane?
Come comunisti abbiamo le idee chiare su questo fenomeno, perché lo abbiamo denunciato per tempo, ma nessuno ci ha dato ascolto nei decenni passati. A Santa Lucia del Mela e a Bafia, frazione di Castroreale, esisteva una forte presenza del Partito comunista italiano e del suo sindacato di riferimento, la CGIL. Negli anni Settanta, in questi due comuni montani, è iniziata l’opera di forestazione. Come comunisti abbiamo denunciato il modo distorto, clientelare, tutt’altro che orientato alla difesa dell’ambiente e del territorio, in cui tale opera è avvenuta.
I documenti parlano chiaro. Il 26 settembre 1977, il Comitato direttivo della Camera del Lavoro CGIL di Santa Lucia del Mela emise un “Documento sindacale sui problemi della forestazione nell’alto bacino del Mela”, che ora è riprodotto integralmente nel volume Nel nome del padre, pubblicato di recente da Santo Brunetta, allora dirigente comunista e responsabile della Camera del Lavoro di Santa Lucia del Mela. In questo documento si denuncia come, circa 4 anni prima, era avvenuta la forestazione della zona del Mela. Basta leggere qualche passo per rendersi conto della realtà dei fatti: “Le operazioni di impianto-bosco sono avvenute in modo irrazionale. Infatti, non si è tenuto conto delle caratteristiche e della natura del territorio. Lo dimostra, peraltro, l’alta percentuale di piantine non attecchite. Ha determinato in gran parte questa situazione l’alto numero di piantine messe in spazi relativamente ristretti o piantate con metodo che si presta a molti sospetti, cioè, si sono talvolta piantate quattro o addirittura cinque o sei piantine nella stessa buca. Agli operai che domandavano il perché di tale operazione si rispondeva di stare zitti, di eseguire gli ordini e di fare in fretta. Interi nuovi carichi di piantine venivano destinati all’impianto in aree che sotto il profilo della regola si presentavano già rimboschite”.
Così prosegue il sopra citato documento: “Su precisa richiesta della Camera del Lavoro e della Lega Forestale CGIL, l’Amministrazione comunale di S. Lucia del Mela ha deciso di inviare sui luoghi della forestazione una delegazione, formata dallo stesso sindaco in carica, da consiglieri comunali, da tecnici di fiducia, ed assistita da dirigenti sindacali, per rendersi conto, in luogo, di ciò che l’Ispettorato delle Foreste aveva realizzato (i terreni sono comunali e in regime di occupazione temporanea). La delegazione ha potuto toccare con mano la realtà. Anziché alberi il cantiere di rimboschimento contiene un’estesa boscaglia di vegetazione selvatica, composta da alte felci, rovi ed altre piante infestanti. In alcuni punti rovi e altre piante hanno raggiunto diversi metri di altezza. Nei punti invece dove c’è stata una sporadica cura (vicino alle strade di accesso ed in luoghi ben raggiungibili per eventuali sopralluoghi e collaudi) le piante si trovano, ma impedite a crescere e a svilupparsi per la presenza ingombrante ed asfissiante di piante spontanee.
Il documento poi si sofferma particolarmente su un incendio che ha distrutto quasi per intero il lavoro di forestazione realizzato, seppur nella maniera distorta già richiamata: “Verso la fine di agosto è avvenuto l’irreparabile: un incendio ha distrutto i tre quarti circa del territorio forestato. L’incendio sembra essere scoppiato simultaneamente, alla stessa ora della notte, in ben 12 punti diversi e fra di loro distanti. Considerata l’alta quota dell’impianto, in media 1.000 metri sul livello del mare, e l’orario notturno, è impossibile l’autocombustione. La causa è senz’altro dolosa: sembra che un colpo di fucile abbia preceduto l’incendio”.
Il documento si conclude con varie proposte, fra le quali la tenuta “di un diario giornaliero dei lavori controfirmato dal rappresentante sindacale. Questo diario deve essere in aderenza col piano colturale. In esso devono essere annotati i lavori che giornalmente si fanno, il numero delle piantine impiegate, nonché eventuali controdeduzioni del rappresentante sindacale aziendale”. Nulla di tutto ciò è stato fatto.
L’incendio di cui si parla ha investito, con gli stessi effetti devastanti, pure il comune di Castroreale, che con quello di Santa Lucia del Mela confina, dal lato montano, in linea di continuità territoriale. La Camera del Lavoro CGIL di Bafia-Castroreale ha proceduto, negli anni, alle stesse denunce di quella luciese in merito al modo distorto e clientelare in cui veniva portata avanti dalla classe politica dominante, rappresentata dalla Democrazia Cristiana, la politica di forestazione. Si è scontrata con resistenze che venivano dalla mafia, dal sistema di potere, e dai sindacati di regime, i quali hanno condotto con tenacia e con successo un’opera di diseducazione dei lavoratori, che sono stati allettati con la pratica delle assunzioni clientelari e con la prospettiva di percepire la paga senza eccessivo sforzo lavorativo. Noi comunisti, fedeli all’insegnamento di Gramsci, abbiamo sempre parlato chiaro alla classe lavoratrice, l’abbiamo sostenuta nella difesa dei suoi diritti, ma non abbiamo mai assecondato le tendenze compromissorie, il “menopeggismo”, l’accattonaggio politico. Per questo abbiamo pagato un caro prezzo. Molti lavoratori si sono convertiti alla politica del “vivere alla giornata”, hanno abbandonato in massa il Pci e il suo sindacato d riferimento, si sono iscritti ai sindacati di regime ed hanno votato per gli uomini di potere e per i loro partiti.
I risultati ora sono sotto gli occhi di tutti. La mancanza di quella forestazione protettiva e produttiva, di cui i comunisti si fecero portavoce, ha provocato il dissesto idro-geologico e l’alluvione dei giorni scorsi. La lezione valga per tutti. Senza un forte Partito comunista si va dritti verso l’apocalisse. Prendiamo atto del fatto che solo ora la Procura della Repubblica di Messina ha aperto un’inchiesta sulle cause del disastro. Non ci risulta che in passato siano state prese iniziative simili o che, comunque, siano state colpite le responsabilità per incendi e malapolitica del territorio.
Circolo Comunista “Francesco Lo Sardo” di Bafia-Castroreale (Messina)