L’annosa e stucchevole questione dei costi della pubblica amministrazione è sempre stata, ed è un falso problema. Intanto meglio sarebbe definirli come i costi in servizi e prestazioni dello stato sociale, giusto per render chiaro di cosa parliamo.
E ancora per meglio chiarire, da ormai un ventennio, e cioè dal crollo dell’Urss e dei paesi del campo socialista e dal conseguente riassetto reazionario dei fondamentali pilastri a tutela dei diritti conquistati dal movimento dei lavoratori (circuito dell’inserimento lavorativo, contrattazione nazionale, sistema pensionistico; prestazioni socio-assistenziali e sanitarie; diritto alla casa) è passato volgarmente il concetto salvifico del taglio della spesa dello stato, utilizzando in maniera scientemente distorta i dati della contabilità nazionale ed in particolare quelli del sub-sistema pubblico.
Orbene però, a cosa ci si riferisce, a cosa si riferiscono lor signori?
Al sistema pensionistico, che ad oggi è ancora in attivo? E ciò nonostante il fatto che, a differenza che negli altri paesi europei, quelle voci definite come assistenziali o di sostegno al reddito, quali cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga, strumenti di mobilità e accordi di solidarietà, sono tutte voci pagate per il tramite dei contributi pensionistici? Ovunque, tranne che in Italia, sono invece a carico della fiscalità generale!
O, sempre per restare nell’ambito previdenziale, vogliamo chiarire che sono i fondi dei lavoratori dipendenti (che versano tutti quote percentuali superiori al 30%) a garantire le super pensioni (ed eventuali trattamenti per crisi e ristrutturazioni aziendali di cui sopra) ad esempio ai giornalisti-vip, a categorie di commercianti (non il chiosco del gelataio, sempre per capirci, ma il gioielliere, il gallerista, l’antiquario, ecc.) ed ai grandi studi professionali di quegli avvocati, commercialisti, notai, architetti, che per altro rimangono al centro di ogni intrigo politico-affaristico?
Nonostante quest’enorme ed ingiusta sperequazione di trattamenti (mettiamo sullo stesso livello la pensione di chi bituma una strada e quella di un notaio?) l’INPS è un istituto in attivo, così come quello che cura gli infortuni sul lavoro, l’INAIL.
Di cosa parliamo, di cosa parlano quindi?
Possiamo incominciare a vedere chiaro sovrapponendo, l’uno sull’altro, il recente rapporto-Giarda e i dati Bankitalia, proprio in merito al complessivo della spesa pubblica.
Nel primo, intanto, si indicano le spese del comparto sicurezza come primo versante da razionalizzare, dopo un’attenta disamina sviluppata comparto per comparto e provincia per provincia.
Ma è nel raffronto tra le voci di entrata e quelle di uscita, come sopra evidenziato, che si ottengono i dati significativi.
Le entrate nette dell’amministrazione pubblica sono complessivamente pari a 841,9 miliardi di euro, a fronte delle spese computate senza considerare gli interessi, ammontanti ad oltre 761,6 miliardi di euro.
Tale semplice raffronto delinea un saldo, definito primario, di ben 80,3 miliardi di euro. Questa stupefacente risultanza viene, però, subito inficiata dal dato della spesa caricato dall’indebitamento (per capirci: tutti interessi sui titoli di stato pagati, in larga parte, a banche d’affari e società finanziarie) che è pari a 854,1 miliardi di euro.
E questo sta a significare che il rosso dello stato è da addebitare esclusivamente alla speculazione finanziaria di soggetti privati ai danni della collettività.
Che poi la stessa collettività sia pure danneggiata dalle camarille politiche, comunque in stretto raccordo coi gruppi di interesse particolari e lobbistici, è un fatto evidente, gravissimo, ma comunque secondario rispetto alle responsabilità della speculazione capitalistica, che vorrebbe recuperare nella finanza creativa ciò che perde per effetto del calo tendenziale del saggio di profitto (e qui ha ancora ragione K. Marx).
La risultanza dell’avanzo primario, che mai viene citato né spiegato alle larghe masse, per ovvi motivi) deve essere dunque il nostro riferimento politico/quantitativo.
Lo Stato è cioè in attivo, si ribadisce, ad esempio quest’anno, di ben 80,3 miliardi di euro ad entrate ricevute e spese pagate.
Il tema sarebbe, dunque, solo quello di eliminare la porzione speculativa a carico della spesa complessiva e, ovviamente ma solo in subordine, di migliorare la gestione qualitativa della restante spesa.
Rimane fermo che, in una società capitalistica, tanto più in una fase di crisi sistemica come quella attuale, solamente un pieno impegno del soggetto pubblico potrebbe determinare un temporaneo (in quanto si sono esauriti i margini del riformismo e delle politiche keynesiane) rilancio delle produzioni e della ricchezza, che si possa solo avvicinare a criteri equanimi e redistributivi.
Altro che nuovo un piano di privatizzazioni, che altro non saranno se non l’ennesima, scandalosa svendita di beni pubblici, industriali e patrimoniali.
Dopo i gioielli dell’apparato industriale (quello italiano, una volta il secondo in Europa), e quindi Alfa-Romeo, Barilla-Motta-Alemagna, Telecom, Wind, Alitalia, Italsider, ecc., ecc., si chiude la partita con i patrimoni artistici e monumentali, con quel che resta dell’ Edilizia pubblica residenziale, con le isole, i parchi…
Ma intanto, tornando ai finti argomenti ragionieristici di lor signori, le quantità economiche necessarie per mettere a posto i cosiddetti conti ci sarebbero.
Mancano le scelte. Che sarebbero appunto quelle diametralmente opposte alle attuali: ma quelle scelte la borghesia non se le può proprio permettere.
Non per il calcolo del ragioniere, ma perché essa è impegnata, in Italia come altrove, a rallentare la sua inesorabile uscita dalla storia.
Amerigo Sallusti, Commissione Lavoro Csp-Partito Comunista