SUI RECENTI AVVENIMENTI IN SIRIA.

SUI RECENTI AVVENIMENTI IN SIRIA.

L’imperialismo non si ferma dinnanzi a nessun crimine! La strage di Idlib, perpetrata dovuta alla esplosione di armi chimiche depositate dalle forze di opposizione siriane, sostenute dall’imperialismo degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e dai regimi reazionari della Penisola Arabica e del Golfo Persico, loro alleati, è stata attuata con il preciso intento di fare fallire la tregua e l’avvio di un processo di pacificazione in Siria.

 Secondo uno schema ben noto, ciò servirà per giustificare un intervento armato “umanitario” diretto dell’imperialismo americano ed europeo, teso a ridimensionare la presenza dei concorrenti russi e a riacquistare il pieno controllo geo-strategico sulla regione, in uno schema di competizione inter-imperialistica, giocata sulla pelle del popolo siriano. Abbiamo già conosciuto questo approccio imperialista in molte precedenti occasioni, con un impiego massiccio della stampa e dei media, mobilitati a diffondere notizie manipolate, poi rivelatesi false, tese a demonizzare l’obiettivo di turno e a giustificare l’aggressione. Lo abbiamo visto in Iraq con la bufala delle “armi di distruzione di massa” inesistenti, in Jugoslavia con le pulizie etniche attribuite alla Serbia di Milosevic (oggi riabilitato dallo stesso tribunale che lo aveva condannato), in Libia con le presunte stragi e fosse comuni, poi rivelatesi cimiteri civili fotografati alcuni anni prima dell’inizio delle ostilità. Oggi lo vediamo in Siria, dove tutti i crimini vengono imputati al governo, secondo un teorema, indimostrato e indimostrabile, per cui il “male assoluto” non sta mai dalla parte di chi aggredisce, bombarda, uccide e rapina intere nazioni su scala mondiale, ma sempre dalla parte di chi si oppone a questo disegno imperialista.

Il Partito Comunista

• condanna fermamente gli autori di questa ennesima strage, foriera di un’imminente aggressione imperialista alla Siria;

• stigmatizza l’asservimento della stampa e dei media ai teoremi guerrafondai dell’imperialismo statunitense ed europeo;

• chiama i lavoratori e il popolo italiano a mobilitarsi per contrastare ogni partecipazione del nostro paese a qualsiasi avventura militare in Siria, per scongiurare il pericolo di un’escalation del conflitto, per fare fallire i piani dell’imperialismo USA e UE;

• esprime solidarietà al Partito Comunista Siriano e a tutto il popolo siriano, oggi martire e vittima dell’aggressione imperialista, affinché torni ad essere padrone del proprio destino, nello spirito del principio di autodeterminazione dei popoli.

 

 

PARTITO COMUNISTA (ITALIA)

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IL PC DENUNCIA L’INTIMIDAZIONE DEI LAVORATORI ALLA COCA COLA DI NOGARA.

IL PC DENUNCIA L’INTIMIDAZIONE DEI LAVORATORI ALLA COCA COLA DI NOGARA.

La situazione che si è venuta a creare nella vertenza sindacale alla Coca Cola di Nogara rappresenta un ennesimo e sistematico attacco ai diritti  costituzionali, personali e  sindacali dei lavoratori.

La cronaca riportata dai media restituisce una verità gravissima e agghiacciante rispetto alle condizioni in cui versano i diritti dei lavoratori della logistica.

I mezzi di informazione hanno descritto l’esistenza di gravissimi episodi di intimidazione nei confronti dell’esercizio dei diritti dei lavoratori, intimidazioni che nella giornata di ieri sono arrivate all’uso da parte del personale della sicurezza della Coca Cola di pistole elettriche adoperate nei confronti dei lavoratori ADL COBAS che manifestavano contro i 14 esuberi, fra i quali vi sono due delegati della RSU.

Si deve evidenziare che due lavoratori manifestanti hanno avuto bisogno di essere sottoposti a cure mediche. L’aggressione ai diritti di manifestazione, da parte del capitale, perviene al punto di autorizzare il personale di vigilanza all’uso di pistole elettriche, così ledendo persino l’integrità fisica dei lavoratori.

È palese, dal gravissimo episodio descritto, che la frontiera dei mezzi con i quali il capitale è disposto a comprimere i più elementari diritti sociali costituzionali dei lavoratori si sposta fino al punto di esigere l’assenza di limiti.

L’inqualificabile vicenda restituisce la vera realtà del Nord-est, realtà sempre manipolata dai grandi mezzi di comunicazione di massa con il fine di fuorviare i lavoratori e la società veneta nel suo complesso da una conoscenza articolata e approfondita della suddetta area geografica.

Il Nord-Est ha rappresentato e rappresenta, tutt’ora con l’aggravamento della odierna crisi del capitalismo, un modello di sfruttamento organizzato del lavoro da parte dell’impresa sia essa piccola, media, di elevate dimensioni o multinazionale come nel caso di Coca Cola.

La realtà del Nord-Est, di cui l’episodio denunciato costituisce paradigmatica rappresentazione, svela quanto siano realtà costanti e comuni sia alla tanto decantata piccolo-medio impresa sia alle imprese di stazza transnazionale le seguenti situazioni: alti margini di profitti in capo al capitale; condizioni pesantissime di lavoro, in termini di turni, orari ecc.; piani di ristrutturazione in cui a pagare i prezzi più tragici sono sempre e solo i lavoratori; attacco continui ai diritti sindacali dei lavoratori e alle R.S.U. e, in generale, a tutte le forme (ed addirittura all’idea stessa) di rappresentanza dei lavoratori.

Il Partito comunista del Veneto ed il Fronte della gioventù comunista del Veneto manifestano la loro assoluta e piena solidarietà ai lavoratori della Coca Cola, denunciando il clima di intollerabile e sistematica violazione dei diritti dei lavoratori da parte della multinazionale in questione che a Verona ha lo stabilimento più grande d’Europa.

Il Partito comunista ed il Fronte della Gioventù comunista, inoltre, sono al fianco delle lotte che i lavoratori stanno svolgendo contro il piano di esuberi dell’azienda, piano assolutamente iniquo e ingiustificato.

 

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Fuori dall’Unione europea e dall’euro. Potere ai lavoratori.

Fuori dall’Unione europea e dall’euro. Potere ai lavoratori.

Il Partito Comunista ringrazia i numerosi militanti, sostenitori e simpatizzanti che sabato 25 marzo hanno partecipato al comizio comunista in una piazza gremita. Mentre i leader europei festeggiavano l’anniversario della firma dei trattati di Roma, i comunisti erano in piazza a ribadire il loro no all’Unione Europea, strumento di dominio del grande capitale, artefice della compressione dei diritti dei lavoratori e delle classi popolari. Il Partito Comunista ha ribadito oggi, a sessant’anni di distanza dalla firma dei trattati europei, il proprio no alla UE e al mercato comune. Una contrarietà che parte dal 1957, quanto i comunisti furono gli unici a votare contro l’adesione dell’Italia al mercato comune, e che continua nel 1992 quando si opposero al trattato di Maastricht, fino ai giorni nostri con il patto di stabilità, il fiscal compact, il vincolo del pareggio di bilancio.

Oggi i leader dell’Unione Europea hanno confermato la loro volontà di proseguire sulla strada del mercato comune. Si prospettano nuove illusioni per i popoli europei, come la cosiddetta Europa a più velocità. Questa soluzione altro non è che uno strumento più affilato nelle mani del grande capitale, per la compressione delle condizioni dei lavoratori e dei piccoli produttori, per rispondere alla competizione internazionale sui mercati. Di fronte a questa condizione i comunisti hanno il dovere di organizzarsi e di accrescere la propria azione.

La manifestazione del 25 marzo dimostra che esiste un’opposizione comunista alla UE, che questo tema non è monopolio della destra e delle sue prospettive reazionarie. L’uscita dalla UE, dall’euro e dalla Nato, per essere realmente processo di liberazione dall’oppressione popolare, deve essere accompagnata da un rovesciamento dei rapporti sociali, dall’abolizione dello sfruttamento di classe, per la costruzione di una società socialista, per sostituire al potere delle banche e delle grandi imprese, il potere dei lavoratori.

La partecipazione di importanti e significative lotte del nostro Paese, che hanno preso la parola al comizio, indica la strada da percorrere. Dietro le ragioni di lotta dei lavoratori presenti ci sono le responsabilità delle politiche europee, i risultati del mercato comune. Gli interventi dei lavoratori di Alitalia, Almaviva, di operai e rappresentanti delle esperienze più avanzate del sindacalismo conflittuale (SGB, CUB), parlano di un’opposizione diffusa tra la classe operaia nei confronti delle politiche europee.

L’anniversario dei trattati europei ha dimostrato ulteriormente quale solco esista ormai tra i comunisti e le forze della cosiddetta sinistra radicale. La partecipazione a manifestazioni europeiste, che pur criticando le politiche della UE sostengono la necessità di una battaglia interna per il suo cambiamento, propugnano la sua riformabilità, segnano la definitiva scelta di campo di queste forze. L’adesione del GUE/NGL alla manifestazione filo europeista è l’ultima conferma della mutazione delle forze della sinistra europea, che illudendo i popoli sulla riformabilità della UE, rafforzano di fatto il potere dei monopoli capitalistici e delle loro organizzazioni internazionali. Contrariamente a quanto affermato nei loro slogan, queste forze, alla prova del governo in Grecia, non hanno fatto altro che applicare le politiche antipopolari volute dal UE, BCE, FMI. Non esistono terze vie: o si agisce nel solco delle compatibilità capitalistiche, dei regolamenti imposti dalle organizzazioni internazionali, o si rompe questa gabbia agendo nell’interesse dei lavoratori e delle classi popolari.

Fuori dalla UE, dall’euro e dalla Nato è la parola d’ordine che i comunisti pronunciano, senza chiudersi in nessuna visione nazionalistica, senza prospettare un semplice ritorno al passato. Insieme a noi lottano in questa direzione i comunisti di tutta Europa, per la liberazione comune della classi lavoratrici dei nostri Paesi dallo sfruttamento capitalistico, dal potere dei grandi monopoli. Vogliamo ringraziare i nostri partiti fratelli per l’importante partecipazione attraverso i messaggi inviati, e soprattutto il Partito Comunista di Grecia, il Partito Comunista dei Popoli di Spagna, il Partito Comunista Rivoluzionario Francese, e il Partito del Lavoro dell’Austria per la loro presenza a Roma. Ringraziamo anche la presenza di una delegazione dei compagni del Partito Comunista Marxista dell’India.

Il Partito Comunista esprime soddisfazione per l’esito della manifestazione. Nonostante la forte censura mediatica, nonostante i timori diffusi delle autorità e dall’informazione sull’esito delle manifestazioni di protesta, nonostante le misure di sicurezza che hanno rallentato e in alcuni casi impedito l’arrivo di manifestanti, la manifestazione si è svolta con successo. Denunciamo la criminalizzazione delle proteste, il terrorismo mediatico diffuso a reti unificate, le nuove misure di sicurezza che determinano una oggettiva svolta reazionaria nella gestione dell’ordine pubblico da parte del governo. Ogni misura di questo genere non sarà in grado di fermare la lotta popolare contro l’Unione Europea e i governi che applicano le politiche antipopolari nell’interesse dei capitalisti.

Salutiamo con fierezza la grande partecipazione della gioventù, grazie al grande lavoro del Fronte della Gioventù Comunista costruito in questi anni. A dire no all’Unione Europea con i comunisti sono stati in larga parte giovani. Quelle nuove generazioni che subiscono sulla propria pelle gli effetti delle politiche antipopolari, della disoccupazione, della precarietà sul lavoro, che nonostante le campagne anticomuniste dimostrano di aver compreso che il socialismo è l’unico strumento di liberazione possibile e reale.  La piazza di Roma non è stata una piazza di nostalgici, ma di giovani e lavoratori.

In questa direzione, è importante rafforzare l’impegno e la lotta del partito, la solidarietà e l’azione comune dei comunisti a livello internazionale. Costruire un’opposizione comunista alla UE e alle sue politiche, rafforzarne la percezione a livello di massa, è un elemento fondamentale per rompere il potere del capitale ed evitare che il dissenso sociale sia incanalato in prospettive perdenti o nuove avventure reazionarie che abbiamo il dovere di contrastare.

Fuori l’Italia dalla UE, dall’euro e dalla Nato

Per il potere dei lavoratori, per il socialismo!

 Roma, 26 marzo 2017

Ufficio Politico del Partito Comunista

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25 MARZO COMIZIO COMUNISTA A ROMA CONTRO L’UNIONE EUROPEA

25 MARZO COMIZIO COMUNISTA A ROMA CONTRO L’UNIONE EUROPEA

Il 25 marzo il Partito Comunista sarà in piazza a Roma per manifestare contro l’Unione Europea in occasione dei 60 anni dei trattati istitutivi della CEE, della Ceca e dell’Euratom, le tre antenate dell’Unione Europea. In quell’occasione i primi ministri e i capi di stato europei saranno a Roma per celebrare l’anniversario e ribadire il loro accordo alle politiche antipopolari della UE. I lavoratori e i popoli europei subiranno in quei giorni il culmine di una campagna di disinformazione e propaganda a favore della UE che va avanti da mesi, con spot televisivi, concorsi pubblici, iniziative nelle scuole e nelle università, con lo scopo di conquistare consenso popolare alle politiche europee e convincere le classi popolari che non esiste alcuna alternativa alla UE e a questo sistema. Il Partito Comunista scenderà in piazza il 25 marzo alla fine di una campagna di informazione sulla natura reale della UE che i militanti stanno conducendo in tutta Italia nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università. In questi sessant’ani l’Unione Europea ha:

–       rafforzato il potere dei monopoli finanziari (banche, grandi imprese) riducendo ovunque i margini della sovranità popolare, stracciando anche le temporanee e parziali conquiste che le classi oppresse avevano ottenuto con le costituzioni successive alla mobilitazione popolare contro il fascismo;

–       creato un mercato unico a immagine e somiglianza del grande capitale, grazie al pilastro comunitario della libera circolazione dei capitali, delle merci e dei servizi con i quali le grandi aziende hanno ottenuto la possibilità di scegliere la sede legale negli stati più favorevoli fiscalmente, diminuendo le tasse pagate e incrementando i profitti, de localizzando la produzione nei paesi più convenienti. Tutto questo ha favorito i processi di concentrazione e centralizzazione del capitale, il trasferimento di ricchezze dalle classi popolari ad un’aristocrazia finanziaria che con poche decine di società controlla ricchezze sempre maggiori;

–       con la creazione dell’euro ha creato un sistema monetario saldamente nelle mani delle banche private per il tramite della BCE che ha acuito le contraddizioni capitalistiche e la crisi a tutto danno della classe operaia e delle classi popolari. Attraverso la leva del debito pubblico gli istituti finanziari hanno guadagnato sulle spalle dei popoli europei e le politiche dei governi sono state commissariate nella direzione di svendite del patrimonio comune, privatizzazioni, riduzione delle politiche sociali;

–       peggiorato le condizioni di lavoro in tutti i Paesi aderenti, mettendo in concorrenza i lavoratori al fine di diminuirne salari e di cancellare le conquiste frutto delle lotte del movimento operaio nel secolo scorso. La UE ha sostenuto la precarizzazione del lavoro, con l’introduzione di nuove forme contrattuali a danno dei lavoratori; sostenendo la libertà di delocalizzare ha imposto un mercato unico della forza lavoro in cui la minaccia dello spostamento delle sedi produttive all’estero è utilizzata per importare il peggioramento delle condizioni di lavoro e dei salari. Ha incrementato la disoccupazione, e in modo particolare la disoccupazione giovanile, con la conseguenza di centinaia di migliaia di giovani che emigrano per cercare lavoro, convertendosi in manodopera a basso costo, doppiamente sfruttata;

–       assoggettato ogni settore economico alle logiche capitalistiche e agli interessi dei monopoli, come dimostra la direttiva Bolkenstein il cui impatto comporta il peggioramento delle condizioni di settori popolari (mercati, piccoli commercianti ecc…);

–       imposto la privatizzazione e conseguente trasformazione dei servizi sociali in privilegi su base economica e strumenti di creazione di profitto privato, imponendo una concorrenza del tutto favorevole ai grandi gruppi economici. Così ha sostenuto e indirizzato le politiche di privatizzazione della sanità e la dismissione del sistema sanitario nazionale, determinato le riforme delle scuole e delle università;

–       attraverso la creazione di un mercato unico e di accordi sempre più vasti a livello globale, la UE è responsabile del peggioramento della condizione dell’agricoltura, della concentrazione della proprietà terriera e agricola, dell’impoverimento di migliaia di contadini e del peggioramento della qualità dei beni prodotti (si pensi alla direttiva sugli oli deodorati, o alle conseguenze del CETA e dell’eventuale stipula del TTIP per la produzione di cereali e altri beni agricoli);

–       mentre si dice che la UE ha promosso la pace si dimentica che essa ha sostenuto ogni intervento imperialista condotto dai propri paesi membri e nella cornice delle alleanze militari come la Nato. Sostenendo l’azione dei propri monopoli la UE ha contribuito allo sfruttamento delle risorse in Africa e Medio Oriente, all’impoverimento delle classi popolari di quei paesi, non disdegnando ove necessario il sostegno all’intervento militare di propri paesi al fine di ottenere maggiori fette di mercato e controllo di risorse economiche e rotte commerciali strategiche. Ciò, oltre a contraddire ogni ipotetica funzione della UE come fattore di pace e stabilizzazione, comporta il dramma di milioni di persone costrette ad emigrare per salvarsi dalla guerra e dalla miserie o migliorare la propria condizione di vita, finendo per convertirsi a loro volta in manodopera a basso costo da poter sfruttare.

Per tutte queste ragioni nel 1957 il Partito Comunista fu l’unico partito italiano a votare in Parlamento contro l’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune Europeo. Oggi che la destra fa dell’antieuropeismo la sua bandiera, noi comunisti abbiamo il dovere di rimarcare la nostra posizione contro un’unione europea espressione diretta degli interessi della finanza e promotrice delle politiche antipopolari che opprimono i lavoratori e le classi popolari del continente.

I comunisti non si uniscono a quella parte della sinistra che si nutre di illusioni sulla riformabilità della UE, e peggio ancora, illude le classi popolari sulla natura del processo unitario europeo contribuendo a mascherarne la reale essenza, ossia il carattere di strumento degli interessi del grande capitale. La vicenda greca ha dato ragione a chi coerentemente non ha riposto alcuna fiducia nell’idea di poter cambiare il sistema europeo dall’interno, come la capitolazione del governo Tsipras e delle illusioni della sinistra europea ha ampliamente dimostrato.

Allo stesso tempo, come comunisti, abbiamo il dovere di indicare una via d’uscita in senso progressista e favorevole agli interessi dei lavoratori e delle classi popolari, dal sistema della UE. Solo in questo modo sarà possibile arginare l’avanzata della destra nei settori popolari, combattere la visione reazionaria che utilizza l’antieuropeismo come mero pretesto per riaffermare un sistema di sfruttamento su base nazionale, fondato sul potere dello stesso capitale nazionale che è responsabile e primo fautore dell’adesione dell’Italia al mercato comune. I comunisti combattono la visione di chi critica la UE, ma poi non ne chiede l’uscita unilaterale, di chi si scaglia contro l’immigrazione ma poi è pronto a sostenere le politiche imperialiste e la permanenza dell’Italia nella Nato, utilizzando l’immigrazione come pretesto per scatenare una guerra tra poveri il cui ultimo risultato è distrarre le classi popolari dal comune nemico, mettere i lavoratori gli uni contro gli altri sulla base della nazionalità e della provenienza etnica, salvando quel sistema di sfruttamento capitalistico e il potere dei monopoli.

Il Partito Comunista, insieme ai partiti membri dell’Iniziativa Comunista Europea si batte per l’uscita dell’Italia dalla Ue e dalla Nato, per la creazione di un governo dei lavoratori in un’Italia libera e socialista. L’Unione Europea non è riformabile, la lotta dei lavoratori e delle classi popolari dei paesi europei non può che indirizzarsi per la sua rottura, attraverso l’uscita unilaterale di ciascun paese fino alla dissoluzione delle alleanze imperialiste. Né illusioni di sinistra, né ricette reazionarie di destra. Per uscire dalla crisi, per conquistare il proprio avvenire, i lavoratori e la gioventù lottano contro la UE, per il potere popolare, per il socialismo.

Il 25 marzo tutti in piazza a Roma, per il comizio del Partito Comunista ore 16.00 Piazzale Tiburtino, quartiere San Lorenzo (raggiungibile con la metro B fermate Tiburtina o  Castro Pretorio; con il treno con fermata a Roma Termini o Roma Tiburtina)

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8 MARZO DI LOTTA

8 MARZO DI LOTTA

Ciò   che   sta   avvenendo oggi a danno delle donne, dallo sfruttamento ai licenziamenti, dai femminicidi ai maltrattamenti, è il segno chiaro dei tempi di una crisi sociale ed economica, dove tutto ciò che era stato conquistato prima, con decenni di lotta e di rivendicazione di classe, sempre più velocemente scivola via. Senza freni si arriva alla costruzione di un contesto sociale dove arretramento ed imbarbarimento dei rapporti umani, in generale e anche dentro le classi popolari sono sempre peggiori, improntati alla violenza ed alla prevaricazione e dove permangono concezioni patriarcali organiche ad una società improntata ai valori fondanti del capitalismo, quelli dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’accaparramento del profitto in capo a pochi individui.

Con la concentrazione in poche mani della ricchezza economica e finanziaria e l’aumento esponenziale della proletarizzazione del ceto medio, di concerto si immiserisce la qualità della vita di classi sociali che oggi non hanno nemmeno la consapevolezza di essere sfruttate, e all’ interno delle quali la condizione di vita delle donne proletarie peggiora ulteriormente. Non solo le donne sono private del lavoro per prime, sono sottopagate a parità di impiego, sono costrette a svolgere gratuitamente pesanti lavori in supplenza di servizi sociali divenuti inaccessibili, ma, all’ interno della famiglia e in un contesto sociale di classe senza coscienza, subiscono violenza, maltrattamento, isolamento e deprivazioni che, per le donne proletarie, sembrano diventate una condanna senza appello.

L’attuale debolezza del movimento operaio esige uno sforzo enorme per la ricomposizione di classe il rilancio delle lotte proletarie. Il partito, sul piano politico e il sindacato di classe, sul piano economico, devono essere in grado di tradurre l’elaborazione teorica, per altro valida ed avanzata, in concrete proposte di lotta e obiettivi tattici per ristabilire quei diritti e quelle conquiste di cui i lavoratori sono stati privati negli ultimi decenni.

In un mondo, dove è sancita per legge la parità di genere, sono stati introdotti istituti civili avanzati e paritari, sono stati  previsti servizi per la tutela delle donne, delle madri e della famiglia ed è stato cambiato persino il lessico, assistiamo al (finto) paradosso di donne che muoiono di fatica, lavorando in campagna fino allo sfinimento per 3 € all’ora, o di altre donne che non possono abortire presso le strutture pubbliche, occupate da medici obiettori per convenienza  (se il primario è obiettore), che non cercano più lavoro perché si sono stancate di incassare rifiuti, che non accedono alla scuola perché non se la possono permettere, che subiscono condizioni di convivenza violente perché non sanno dove andare e soprattutto di avere diritti. Le risposte che dà l’attuale sistema sociale, in tal senso, sono palliativi, specchietti per le allodole, documenti infarciti di pseudo-teorie di genere che hanno addirittura distorto il contenuto vero delle lotte di genere e di classe contro padroni e patriarcato per trasformarle in kermesse mediatiche, appaltate a chi ha derubato la classe persino delle parole d’ordine, appropriandosene e stravolgendole.

I partiti della sinistra borghese e i sindacati collaborazionisti utilizzano la differenza di genere per offuscare la coscienza della differenza di classe. La condizione delle donne proletarie non è certo uguale a quella delle donne borghesi.  La donna che cerca un lavoro e non lo trova, che viene licenziata o brutalmente sfruttata sul lavoro, che vive senza sostegno la maternità, la malattia e la vecchiaia, che subisce violenza, che viene espulsa dal ciclo formativo, ha interessi in totale contrasto  con  quelli  delle donne della classe dominante. Non c’è affinità, né vi può essere comunanza di problematiche e solidarietà, tra queste e le donne proletarie, tra chi esercita   l’oppressione   di   classe   e   chi   la   subisce.   L’oppressione   di   genere   è   conseguenza dell’oppressione di classe, di una divisione del lavoro ad essa funzionale. Pertanto, l’emancipazione femminile non può essere raggiunta che attraverso la più generale emancipazione del lavoro.

I partiti borghesi e i sindacati collaborazionisti pongono, invece, l’accento sulla violenza “fisica” sulle donne per nascondere la generalizzata violenza che la produzione e le società capitalistiche sistematicamente esercitano su di esse. La violenza sulle donne è uno dei sintomi della decadenza del capitalismo anche sul piano della civiltà, origina dal suo degrado sociale, morale e culturale. Il diritto al lavoro, ad una retribuzione e a una pensione dignitose, alla salute e alla maternità assistita, all’istruzione, oggi negato, deve tornare ad essere al centro delle lotte delle donne, come parte della più generale lotta di classe e nella consapevolezza che la liberazione della condizione femminile passa   necessariamente   attraverso   la   liberazione   dell’intera   società   dallo   sfruttamento,   che   la violenza,  fisica  e  sociale,  sulle  donne  può cessare  solo  con  un  “cambio  di  civiltà”,  cioè  con l’abbattimento del capitalismo e l’affermazione del socialismo-comunismo. Questa verità è confermata dalla storia. Cento anni fa, la Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre per la prima volta realizzava pienamente l’uguaglianza di diritti, ruoli e responsabilità della donna nella società, nel rispetto e nella valorizzazione della differenza di genere.L’8   Marzo  non   deve   essere,   quindi,   una   semplice   ricorrenza,   ma   una   giornata   di   impegno   e mobilitazione che segni l’inizio della ripresa delle lotte per la riconquista dei diritti delle donne e degli uomini del lavoro e per un mondo libero dallo sfruttamento. E’ con questo spirito, con questo appello alla mobilitazione per i nostri obiettivi comuni, che salutiamo le lavoratrici d’Europa e del mondo.

Il documento è stato redatto dalla compagna Monica Perugini e dalla compagna Federica Savino (resp donne FGC) dalle compagne della Commissione Donne del Partito, è stato assunto per la discussione nell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e operai d’Europa

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UNITA’ COMUNISTA. I PUNTI DELLA DISCUSSIONE.

UNITA’ COMUNISTA. I PUNTI DELLA DISCUSSIONE.

«Unità con chi e per cosa?» Questa domanda che si poneva Pietro Secchia, dirigente di primo piano del movimento comunista italiano, è ancora oggi la domanda fondamentale da porsi quando si discute di unità comunista. Il tema è molto sentito e a ragione, ma spesso semplificato e banalizzato. Per discutere seriamente bisogna partire da una premessa di fondo.

Oggi nel movimento comunista internazionale, e certamente nel nostro Paese, esistono serie differenze di vedute strategiche tra le forze comuniste presenti, di cui l’attuale frammentazione è un riflesso diretto. Ogni ragionamento sull’unità dei comunisti deve partire dal riconoscimento di questa realtà, comprendendo che lo stato attuale non è semplicemente il prodotto di personalismi e incomprensioni o volontà di difendere piccoli “orticelli” ma il risultato delle scelte e delle contraddizioni accumulate in anni nonché delle divergenze strategiche presenti.

Non basterebbe semplicemente rimettere tutti insieme, esperienza già provata con Rifondazione Comunista nel 1992 (le differenze, diceva Bertinotti sono una ricchezza, ma alla fine hanno, nell’accezione migliore, solo determinato confusione) o peggio ancora legare la questione dell’unità comunista a scadenze elettorali, come fatto dalla Federazione della Sinistra nel 2009.

Per l’unità comunista è presupposto un dibattito serrato su questioni di carattere strategico e un’unità nel conflitto di classe. Il II congresso del Partito Comunista ha licenziato le tesi politiche che sono consultabili all’indirizzo: http://ilpartitocomunista.it/wp-content/uploads/DOCUMENTO-II-CONGRESSO-PC-2017.pdf in cui esprimiamo la nostra analisi e la strategia del Partito, ed in particolare cosa significhi la costruzione di un partito rivoluzionario in una fase non rivoluzionaria e in che modo intendere correttamente questa ultima espressione.

All’Unità comunista è dedicata la chiusura del nostro documento con parole chiare che delineano la nostra posizione. «La questione comunista – si legge nel documento – è la questione dell’unità dei comunisti realmente marxisti-leninisti, che rompe con le forme di opportunismo e rifiuta qualsiasi riduzione a generiche connotazioni elettoralistiche e aggregazioni con le forze della “sinistra”, che relegano i comunisti ad una funzione di subalternità storica e di classe. È la questione dell’indipendenza comunista rispetto alle forze borghesi, del profilo autonomo degli interessi del proletariato nello scontro di classe nazionale e nella sua proiezione internazionale, nello scontro interimperialistico che lo rende irriducibile ad alcuno dei campi in lotta Il Partito deve levare in alto la parola d’ordine dell’unità invitando ad un cammino comune con tutti quei compagni che si pongono su questo terreno. Aumentando le iniziative di discussione e dibattito, non temendo il confronto, ma valorizzando nella dialettica delle posizioni le prospettive concrete di avanzamento. L’unità è nulla se ad essa non corrisponde unità ideologica e di visione strategica».

L’unità è un obiettivo da perseguire e per il quale vogliamo contribuire con alcuni punti che, nell’ottica di unità e ricostruzione diventano irrinunciabili. In particolare:

1)    l’autonomia politica dei comunisti e la totale indipendenza dai partiti che accettano come orizzonte il sistema capitalistico. La costruzione del partito comunista non può essere ridotta ad un’opinione più radicale interna al sistema politico borghese, di sue coalizioni o raggruppamenti di sinistra. Costruire il partito comunista significa realizzare lo strumento che scardina quel sistema. In pratica rifiutare ogni forma di alleanza elettorale con il Partito Democratico, ed uscire da qualsiasi visione antistorica di “unità delle forze democratiche costituzionali”. Un rifiuto netto, indipendentemente da chi guida il PD, e espresso tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale. Rifiutare l’alleanze con il PD a livello nazionale ma poi praticarla a livello locale si chiama opportunismo. Questo vale anche per forze cosiddette di sinistra (da D’Alema, a Pisapia, passando per Vendola) che ora possono anche distinguersi tatticamente dal PD ma che in prospettiva vogliono crescere per poi allearsi nuovamente con il PD);

2)    la centralità dell’analisi leninista dell’imperialismo, come fase suprema del capitalismo. L’imperialismo non può essere ridotto ad una delle sue fenomenologie, ossia l’aggressione militare. il movimento comunista non può prendere parte strategicamente per uno o per un altro schieramento di forze imperialiste in lotta e che la lotta dei comunisti è rivolta, prima di tutto, alla liberazione dallo sfruttamento capitalistico e all’uscita dei propri paesi dall’Unione Europea, dalla Nato e da ogni alleanze imperialista;

3)    la necessità di abbandonare ogni illusione sulla riformabilità della UE delle sue istituzioni e dei meccanismi economici che ne sono alla base. I comunisti devono in Italia avere come posizione l’uscita del proprio Paese dalla UE. Non basta parlare di semplice lotta per la dissoluzione delle alleanze imperialiste, non specificando come tale dissoluzione possa avvenire. Serve assumere la responsabilità di praticare questa rottura nel solo modo possibile, ossia attraverso la lotta per l’uscita unilaterale dalle alleanze imperialiste. Allo stesso tempo non appartengono ai comunisti ragionamenti sull’Europa a due velocità, su alleanze dei paesi del Sud Europa, sulla semplice uscita dall’euro senza anche uscire dalla UE. Tutte opzioni politiche solo apparentemente alternative ma che in realtà sarebbero favorevoli a settori del capitale e finirebbero per peggiorare la condizione della classe operaia e delle masse popolari;

4)    la consapevolezza, che discende direttamente dai punti precedenti, che l’autonomia politica dei comunisti deve essere tale anche nei confronti delle forze di “sinistra”. Non esiste una sinistra anticapitalista al di fuori dei comunisti: parlare di antiliberismo non è sinonimo di anticapitalismo, ma indica diverse visioni interne alle logiche del capitalismo. Sostenere la riformabilità della UE come fa il Partito della Sinistra Europea e le forze che ad esso aderiscono, rende quelle posizioni incompatibili con quelle dei comunisti. Quindi unità dei comunisti e unità della sinistra non sono sinonimi, e non sono neanche processi che possano marciare insieme. Non bisogna mischiare queste due parole d’ordine con tanta leggerezza, perché dietro ad esse esistono prospettive incompatibilmente divergenti. Pensare di unire i comunisti per poi unirsi con forze di sinistra che hanno prospettive strategiche opposte alle nostre è opportunismo della peggior specie;

5)    contrapposta al rifiuto delle alleanze elettorali, la più grande apertura sul piano delle alleanze sociali. Il lavoro dei comunisti deve essere orientato completamente al sostegno e alla direzione della lotta di classe, e in primo luogo nel lavoro per incrementare la coscienza di classe dei lavoratori, la loro partecipazione alla lotta. I comunisti devono essere capaci di creare un blocco sociale attorno alle rivendicazioni più avanzate della classe operaia, unendo ad essa gli strati sociali a rischio di impoverimento e proletarizzazione, che nella fase del dominio dei grandi monopoli diventano sempre maggiori;

6)    sul piano del conflitto la critica all’operato del sindacalismo confederale e in particolare al ruolo della CGIL deve essere netta e spietata. La prospettiva strategica dei comunisti non può impantanarsi in un impossibile ritorno della CGIL su posizioni di classe, ma deve operare per la costruzione del sindacato di classe, legato internazionalmente alla FSM, che rappresenti effettivamente gli interessi dei lavoratori, che sappia guidare i lavoratori nelle lotte senza cedere a compromessi al ribasso che nel caso del sindacalismo confederale sono ormai sfociati in una posizione di aperto collaborazionismo filo-padronale;

7)    la stretta connessione della ricostruzione comunista con i processi di riorganizzazione del movimento comunista internazionale. Noi riteniamo che in questa fase sia necessaria una maggiore unità d’azione dei comunisti a livello internazionale per rispondere all’attacco padronale, anche a costo di cedere alcuni elementi di direzione politica ad un più stringente coordinamento internazionale. L’adeguamento dialettico alle condizioni nazionali, che pure deve essere presente nell’elaborazione tattica dei partiti, non può portare a torsioni strategiche che finiscono con il giustificare tutto e il contrario di tutto, in nome di presunte vie nazionali al socialismo;

8)    la necessità di fare i conti con l’esperienza del movimento comunista del nostro Paese e in particolare con la storia del Partito Comunista Italiano. Sarebbe un pessimo servizio al processo di ricostruzione comunista quello di chiudersi in una visione religiosa della storia del PCI e non analizzarne gli errori. In particolare non riteniamo possibile nessuna unità comunista senza una chiara condanna dell’eurocomunismo, dell’accettazione dell’ “ombrello della nato”, della politica del compromesso storico e della solidarietà nazionale, elementi centrali del processo di trasformazione del PCI in una forza socialdemocratica.  Allo stesso tempo serve un’autocritica spietata sul periodo che segue allo scioglimento del PCI, e al processo di costruzione del PRC. Serve una critica all’eclettismo e all’opportunismo dominante in quegli anni, ed in particolare al riconoscimento dell’errore storico della partecipazione dei comunisti nei governi di centrosinistra.

9)    non legare l’unità comunista a prospettive meramente elettorali. Questo non significa che i comunisti oggi, in totale autonomia e indipendenza dalle altre forze politiche, non possano e debbano utilizzare lo strumento delle elezioni, ed eventualmente le posizioni nelle istituzioni, come megafono della propria azione nel conflitto di classe. Essere autonomi e indipendenti significa anche non delegare ad altre forze (come fatto da alcune organizzazioni comuniste con i Cinque Stelle o con forze di sinistra) la rappresentanza delle proprie battaglie. In poche parole utilizzare le elezioni, gli spazi mediatici, le istituzioni per la costruzione del partito e il rafforzamento della lotta di classe.

10) dichiarare con chiarezza che il fine dei comunisti è il rovesciamento del sistema capitalistico e la costruzione del socialismo, e operare coerentemente con questa dichiarazione. I comunisti non limitano la loro azione alla difesa di conquiste temporanee, ma legano ogni lotta concreta al processo di accumulazione di forze in chiave rivoluzionaria. Non esistono alternative tra capitalismo e socialismo e non esistono fasi intermedie.

A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre siamo coscienti delle grandi difficoltà dei comunisti proprio nel momento in cui appaiono così chiare le contraddizioni del capitalismo, nel mondo e nel nostro Paese. Il capitalismo oggi non è in grado di assicurare ai popoli nessun futuro se non sfruttamento, disoccupazione, peggioramento delle condizioni salariali e di vita, guerra, contrasto insanabile con l’ambiente e il carattere finito delle risorse del pianeta. L’attualità della questione comunista è anche sforzo per l’unità dei comunisti, a patto che tali processi siano orientati nella direzione opposta rispetto a quanto fatto in questi anni. Noi vogliamo l’unità dei comunisti, a partire da una coerenza strategica e ideologica, che ha come premessa la critica degli errori passati. Ma respingiamo al mittente ogni proposta di unità o dialogo con forze di sinistra e centrosinistra, magari sotto elezioni.  Una prospettiva che significherebbe relegare i comunisti alla coda di progetti perdenti, che illudono i lavoratori, e che sono perfettamente allineati al potere capitalistico ai diktat della UE e alla Nato, in cambio di qualche posto nelle istituzioni.

Su queste condizioni e a partire da un lavoro comune concreto abbiamo impostato l’unità tra il Partito e il Fronte della Gioventù Comunista e questo riteniamo sia il modello da seguire in futuro. Coscienti della insufficienza delle forze esistenti, a partire da noi, siamo pronti a mettere in discussione la nostra organizzazione a patto che ciò determini un avanzamento e non un passo indietro su quanto, anche se ancora insufficiente, faticosamente è stato costruito in questi anni. Unità con i comunisti, non con quanti vorrebbero trascinare nuovamente i comunisti nel pantano. L’unità senza principi è, al meglio, confusione.

Roma 22 febbraio 2017

UFFICIO POLITICO

PARTITO COMUNISTA

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RIZZO (PC): «L’ULIVO 4.0 NON CI INTERESSA. TRA RENZI E D’ALEMA NESSUNA DIFFERENZA»

RIZZO (PC): «L’ULIVO 4.0 NON CI INTERESSA. TRA RENZI E D’ALEMA NESSUNA DIFFERENZA»

«Il Partito Comunista non è interessato ad alcuna tipo di alleanza che vada nella direzione della ricostruzione del centrosinistra». Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista sulla proposta avanzata da Bersani. «Quella stagione storica è stata un grande errore per i comunisti e non esiste alcuna condizione per la collaborazione con forze che portano la responsabilità delle politiche antipopolari di questi anni, che sostengono la permanenza dell’Italia nella UE e nella Nato. Questi personaggi che oggi vorrebbero guidare la sinistra sono gli stessi che hanno votato il pareggio di bilancio, il jobs act, la riforma della scuola e che prima ancora promossero analoghe riforme nei governi precedenti. Renzi non è altro che il prodotto finale dei Bersani, D’Alema, di chi ha contribuito a spostare la linea politica del PCI, a scioglierlo e poi a capitolare agli interessi della finanza. Oggi – conclude Rizzo – è questione costitutiva per definirsi comunisti la totale indipendenza rispetto al PD, da ogni ipotesi di nuovo centrosinistra, e dalle forze della cosiddetta sinistra che difendono lo stesso modello di sistema e gli stessi poteri. Questo vale a livello nazionale, quanto regionale e locale. Chi facesse il contrario non potrebbe definirsi comunista».

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NOTA DEL PC SULL’ARRESTO SEGRETARIO SI-COBAS.

NOTA DEL PC SULL’ARRESTO SEGRETARIO SI-COBAS.

Il Partito Comunista esprime solidarietà ai compagni lavoratori del Si-Cobas per l’arresto del loro Coordinatore Nazionale, avvenuto nella giornata di ieri. Le circostanze dell’arresto e le spiegazioni addotte dall’autorità giudiziaria, così come il video diffuso dalle stesse autorità, non appaiono in linea con le accuse, lasciando interrogativi sulle motivazioni di questa misura, anche in relazione con i palesi interessi delle aziende interessate da settimane di lotte.

È cosa nota a tutti che nella logistica, oggi settore fondamentale dell’economia capitalista, dove è particolarmente impegnato il Si Cobas, si concentrano rapporti di lavoro di tipo schiavistico che coinvolgono migliaia di lavoratori delle cosiddette cooperative. L’utilizzo del caso da parte dei media ha il sapore di un tentativo di vasta delegittimazione del sindacalismo conflittuale, che oggi si oppone alla deriva collaborazionista dei sindacati confederali. Il risultato ultimo di queste misure è di piegare la resistenza dei lavoratori della logistica, favorendo una soluzione dei conflitti in atto nella direzione più vantaggiosa alla classe padronale.

Il Partito Comunista invia la propria solidarietà ai lavoratori in sciopero, e a quanti in queste ore stanno continuando a lottare e resistere. Solo l’organizzazione può dare ai lavoratori la forza per cambiare, in meglio, non solo il proprio posto di lavoro ma anche la società in cui viviamo.

 

 

 

 

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RIZZO: «SENZA BERTINOTTI I COMUNISTI STAREBBERO MEGLIO».

RIZZO: «SENZA BERTINOTTI I COMUNISTI STAREBBERO MEGLIO».

«Ho l’ultima immagine di Bertinotti con un crocefisso ad un tavolo di conferenze di comunione e liberazione. Oggi in una trasmissione dice che nessuno deve parlare per vent’anni di comunismo. Bene. Se solo lo avesse detto nel 1994 non lo avremmo fatto segretario e oggi le cose per l’Italia e i comunisti andrebbero molto meglio». Così Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista.

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Risultati del II congresso nazionale

Risultati del II congresso nazionale

Si è concluso il 2° Congresso Nazionale del Partito Comunista dopo due giorni di discussione tra i delegati con l’approvazione a larghissima maggioranza del documento politico nazionale, delle modifiche allo statuto e del nuovo regolamento finanziario. Il congresso ha inoltre eletto il nuovo Comitato Centrale, la commissione di garanzia e controllo che sarà presieduta dal compagno Tulli. La prima riunione del Comitato Centrale ha eletto  a voto segreto e all’unanimità, il compagno Marco Rizzo a Segretario Generale ed il compagno Canzio Visentin a Tesoriere Centrale e responsabile legale del Partito.

Saranno presto disponibili sul sito del partito i documenti, gli ordini del giorno ed il materiale approvato al congresso. Il riassunto delle iniziative dei due giorni, gli interventi saranno pubblicati sul sito di Riscossa.

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ATTENTATO A BERLINO (Dichiarazione di Marco Rizzo, Segretario del PARTITO COMUNISTA).

ATTENTATO A BERLINO (Dichiarazione di Marco Rizzo, Segretario del PARTITO COMUNISTA).

 Oltre al dovuto cordoglio per le famiglie delle vittime, non possiamo per l’ennesima volta limitarci alle solite raffazzonate e ripetitive analisi. (Abbiamo usato le stesse parole dopo le stragi del Bataklan e a Nizza). Stupiti e nauseati dall’abitudine con cui cominciamo a vedere il sangue ovunque, crediamo sia necessario a questo punto ribadire subito alcuni punti fermi.
1. Le origini del terrorismo islamico (a partire dai mujaidin afghani contro l’Armata Rossa per finire alle cosiddette “primavere arabe) sono frutto di azioni sconsiderate dell’Occidente, come ha recentemente “confessato” Hillary Clinton. Non riconoscerlo e rinnegarlo diventa un suicidio.
2. L’imperialismo USA e UE continua imperterrito a saccheggiare risorse prime dai paesi poveri del mondo, esportando guerra e finanziando (tramite paesi suoi alleati come l’Arabia Saudita) il terrorismo dell’Isis. Altro che “esportazione della democrazia”.
3. Gli ultimi bastioni di Stati laici (ieri la Libia di Gheddafi oggi la Siria di Assad) sono stati sottoposti a devastanti golpe i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.
4. Le possenti migrazioni , dovute a guerra ma anche molto alla fame e alle condizioni di vita, sono funzionali, per l’Unione Europea e la globalizzazione capitalistica alla costituzione di un “esercito industriale di riserva” teso a cancellare i residui diritti dei lavoratori nel continente europeo (è’ di poche ore fa la proposta di elargire 10mila euro per l’allocazione di ogni migrante). In conclusione le uniche cose sensate che si possono auspicare sono: A) Fine di ogni intervento militare e di ogni finanziamento diretto o indiretto dell’Occidente alle formazioni estremiste islamiche. Rottura immediata di ogni relazione politica ed economica con i paesi che aiutano il terrorismo come Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo. C) Istituzione di una legge italiana ed europea sul “salario minimo”, cioè nessun lavoratore (autoctono o straniero) può scendere al di sotto di un livello di salario prestabilito per legge, evitando così razzismo e guerre tra poveri. D) Fine dello sfruttamento e commercio diseguale delle materie prime tra Occidente e Terzo Mondo. Tutto il resto è “fuffa” politica, in attesa della prossima strage oppure della terza guerra mondiale ( l’attentato dell’ambasciatore russo in Turchia potrebbe esser il nuovo causus bellis alla Sarajevo 1914) verso cui ‘galoppiamo’ velocemente.

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