Intensifichiamo la lotta contro la privatizzazione e mercificazione della scuola

Intensifichiamo la lotta contro la privatizzazione e mercificazione della scuola

Da anni l’Unione europea ha attuato una strategia volta alla totale subordinazione dei sistemi educativi dei diversi paesi europei agli interessi del grande capitale, i monopoli.

I piani dell’UE, attuati in modo differenziato dai governi di ogni paese, rappresentano un’aggressione costante contro gli studenti e le famiglie operaie e popolari, che hanno sempre maggiori difficoltà ad accedere all’istruzione superiore a causa dell’elevato costo di questa, e anche contro gli insegnanti, le cui condizioni di lavoro stanno peggiorando in quanto la partecipazione del capitale privato nei sistemi educativi viene estesa e rafforza la mercificazione dell’istruzione.

Il sistema educativo che viene attuato nei diversi paesi dell’UE non è finalizzato all’istruzione completa, allo sviluppo personale, culturale e sociale della personalità degli studenti, ma a una conoscenza astratta e frammentata, finalizzata alla generazione di forza lavoro a basso costo, così come serve al capitale. La generalizzazione di fenomeni come stage e tirocini non retribuiti implica una situazione di assoluto sfruttamento che inoltre genera una pressione al ribasso sui salari degli altri lavoratori, così come la creazione di livelli salariali doppi o tripli all’interno delle aziende, approfondendo la divisione della classe operaia a beneficio dei capitalisti.

Nei curricula e nei contenuti dei diversi livelli di istruzione viene inoltre rafforzata la diffusione dell’ideologia capitalista e anti-comunista. Non solo il capitalismo viene promosso come l’unico possibile percorso di sviluppo, presentando i processi di privatizzazione e mercificazione sotto maschere come “imprenditorialità”, competitività, la cosiddetta Idea Europea a livello generale; ma vengono anche promosse visioni manipolate e distorte della storia, che operano propagandisticamente contro i processi di costruzione socialista in Europa e nel resto del mondo. È chiaro quindi che i figli e le figlie della classe operaia ignorino la storia, il contributo e le lotte della loro classe e assumano come propri i postulati ideologici della borghesia, i loro interessi e la loro visione reazionaria del mondo.

In molti paesi questa situazione è aggravata da una forte presenza della religione o di principi religiosi nelle scuole e nei centri educativi. Cresce la promozione di posizioni irrazionali e anti-scientifiche e ciò favorisce lo sviluppo in Europa di posizioni politiche reazionarie e xenofobe, le cui spregevoli conseguenze vediamo oggi in molti paesi.

Il Segretariato dell’Iniziativa Comunista Europea si rivolge agli studenti di tutti i livelli, alle famiglie di estrazione operaia e popolare e ai lavoratori dell’educazione, così come al movimento operaio e popolare nel suo insieme, per continuare e intensificare la lotta contro la privatizzazione e la mercificazione del sistema educativo, per l’espulsione dei capitali privati ​​da scuole e università, l’aumento dei finanziamenti per le scuole statali, per sistemi educativi esclusivamente pubblici e gratuiti, per un’educazione reale basata sulle conquiste della scienza e della tecnologia in opposizione agli interessi economici capitalistici e la visione del mondo borghese. Il raggiungimento dell’obiettivo di un tale sistema educativo è indissolubilmente legato alla lotta per un’altra società senza lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, il socialismo.

*Dichiarazione del Segretariato dell’Iniziativa Comunista Europea sul nuovo anno scolastico

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Messaggio al PC e al popolo del Vietnam

Messaggio al PC e al popolo del Vietnam

Il Partito Comunista invia le proprie condoglianze al Partito Comunista e a tutto il popolo vietnamita per la prematura scomparsa del compagno Tran Dai Quang, presidente della Repubblica Socialista del Vietnam. Il PC esprime la propria  vicinanza al popolo vietnamita in questo momento di lutto, riaffermando la propria solidarietà antimperialista e la ferma volontà del rafforzamento delle relazioni tra i nostri partiti, nella comune lotta per il socialismo e contro l’imperialismo.

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Intensifichiamo la lotta contro la Nato e la guerra.

Intensifichiamo la lotta contro la Nato e la guerra.

Dichiarazione dell’Iniziativa Comunista Europea

“Intensificare la lotta contro le guerre e gli interventi imperialisti, contro la NATO e l’UE, per l’immediata rimozione di tutte le basi militari straniere dai nostri paesi, contro la partecipazione delle Forze armate dei nostri paesi alle missioni all’estero”.

L’imperialismo ha una lunga storia di aggressioni, ingerenze, occupazioni e guerre.

L’imperialismo ha rovinato la vita di milioni di persone nell’interesse dei monopoli. La crescente aggressività dell’imperialismo nelle attuali condizioni rappresenta una minaccia reale e imminente per gli interessi di tutta l’umanità. La militarizzazione della società capitalista, la presenza di massicci eserciti e un crescente complesso militare-industriale – che assicura che le conquiste scientifiche e tecnologiche vengano utilizzate su scala senza precedenti per lo sviluppo e la creazione di terrificanti armi di distruzione di massa – ha prodotto l’aumento delle aggressioni da parte degli stati capitalisti per l’attuazione dei loro pericolosi piani e interessi e profitti senza precedenti per il capitale anche attraverso la produzione militare e la guerra.

La NATO è un’alleanza militare aggressiva che agisce negli interessi dell’imperialismo, le classi borghesi dei suoi stati membri. La storia della NATO non può esser separata dallo sfruttamento, dall’oppressione, dall’ingerenza e dalla guerra.

Sia con il pretesto dell’esistenza degli stati socialisti in Europa, sia dopo il loro rovesciamento controrivoluzionario, la NATO ha sempre costituito uno strumento militare dell’imperialismo. La NATO con le decisioni anche del suo più recente vertice a Bruxelles promuove la militarizzazione e la continuazione della corsa agli armamenti. Opera e mantiene una vasta rete di basi militari in territori stranieri in tutto il mondo.

La ratifica del Trattato di Lisbona da parte dell’Unione Europea nel 2009 nel mezzo di tante contrapposizioni ha segnato un ulteriore sviluppo nel processo di integrazione Europea degli stati membri dell’UE in una alleanza imperialista attraverso la cosiddetta Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC). L’Unione Europea ha partecipato alle guerre imperialiste in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libia insieme agli Stati Uniti e alla NATO, e ha svolto un ruolo di primo piano negli interventi, bombardamenti e minacce contro la Siria e l’Iran. La cooperazione tra la NATO e l’UE, unitamente alle richieste di un Esercito Europeo, è concepita per aumentare la capacità di intervento militare.

Molte missioni PSDC e UE sono pianificate e condotte in una crescente collaborazione con la NATO. Vi è una massiccia espansione del finanziamento dell’UE per la ricerca militare e lo sviluppo dei piani imperialisti. Il Fondo Europeo per la Difesa, l’Organizzazione Europea per la Difesa, il meccanismo per la valutazione della promozione della militarizzazione negli stati membri CARD, il Servizio Europeo per l’Azione Esterna, i programmi di finanziamento come gli apparati “Athina”, “Orizzonte 2020” e altri apparati dell’Unione Europea si stanno sviluppando con miliardi di euro per promuovere gli interessi imperialisti a spese dei popoli, che nello stesso momento vengono colpiti da dure misure antioperaie, tagli, pesanti tasse.

L’UE è un grande sostenitore del commercio di armi e gli stati membri dell’UE esportano grandi quantità di armi per i loro pericolosi piani imperialisti. Questa pericolosa linea perseguita dall’UE è stata aggiornata attraverso il suo accordo formale per stabilire la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) nel 2017.

Contemporaneamente, la NATO si è ampliata rapidamente e in modo significativo, progettando un mandato globale per le sue operazioni. Si sforza costantemente di espandere la sua influenza sia in termini di ampiezza dei suoi programmi che della sua portata globale, concentrandosi sull’accerchiamento della Russia nel quadro degli intensi antagonismi internazionali. Il ruolo della NATO e dell’UE, attraverso il dispositivo della PSDC, pone sempre nuovi pericoli per l’Europa e oltre.

La crisi del capitalismo intensifica l’aggressione imperialista, la competizione sull’energia, sulle sue rotte di trasporto, le quote di mercato. Il capitalismo non ha la volontà né la capacità di risolvere i problemi che esso stesso crea. Aumento della disuguaglianza, povertà, privazioni, disoccupazione, mancanza di abitazioni, di protezione contro le inondazioni, incendi e terremoti, decadimento ambientale insieme a una miriade di problemi sociali, economici e politici che il capitalismo non è in grado di risolvere fanno parte della barbarie capitalista. Mentre gli stati capitalisti hanno un interesse strategico comune, cioè la riproduzione del sistema capitalista, la storia ha mostrato le feroci rivalità imperialiste tra i gruppi monopolistici e la loro volontà di imporre i loro interessi con la forza.

I partiti della Iniziativa Comunista Europea chiamano all’intensificazione della lotta contro l’imperialismo e gli interventi e guerre imperialiste. Ciò necessita un’intensificazione delle dimostrazioni attraverso mobilitazioni e iniziative in ogni paese contro la NATO e l’UE e il cosiddetto Partenariato per la Pace (PfP), per:

–       Il diritto dei popoli di scegliere il percorso in base ai loro interessi, compreso il diritto di ritirarsi da queste unioni imperialiste;

–       Il rifiuto della PESCO e ripudio di ogni partecipazione alle missioni imperialiste nell’ambito della PSDC;

–       La chiusura di tutte le basi militari nei territori stranieri e lo smantellamento dei sistemi anti-missile USA e NATO; la fine delle spese militari per i piani di guerra della NATO; l’abolizione delle armi nucleari e altre armi di distruzione di massa; il ritiro immediato di tutte le forze NATO/UE coinvolte nell’aggressione e nell’occupazione militare; fine delle minacce, intimidazioni, destabilizzazione e interventi imperialisti e guerre contro i popoli.

 

https://www.initiative-cwpe.org/en/news/Statement-of-the-European-Communist-Initiative/

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L’Europarlamento vota contro Orban. Ma l’Unione Europea ne è la causa.

L’Europarlamento vota contro Orban. Ma l’Unione Europea ne è la causa.

«Il voto favorevole del gruppo europarlamentare del Partito Comunista di Grecia alla risoluzione del Parlamento Europeo sul Governo Orban è una presa di posizione contro la politica anticomunista del governo ungherese, la sua politica razzista contro rifugiati e immigrati e tutti i tipi di discriminazione razziale.

Il KKE combatte costantemente da molti anni l’Unione Europea e la sua politica antipopolare, ha votato contro l’Unione Europea, non la riconosce, ma ha sempre condannato il suo intervento negli affari interni dei paesi membri e dimostrato nei fatti che l’Unione Europea è un’associazione internazionale contro i popoli.

La risoluzione contro il Governo Orban e i riferimenti agli immigrati e ai rifugiati non possono rimuovere la politica anti-immigrati dell’Unione Europea, il suo coinvolgimento nelle guerre imperialiste che crea e alimenta immigrazione e flussi di rifugiati.

L’Unione Europea ha adottato l’anticomunismo come ideologia ufficiale trascurando la verità storica e avendo grandi responsabilità per l’ascesa dell’estrema destra».

*Dichiarazione di voto letta da Sotiris Zarianopoulos, europarlamentare del KKE e rappresentante dell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa al Parlamento Europeo.

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RIZZO: «DA DI MAIO SOLO SPOT. SERVE RIDUZIONE ORARI DI LAVORO E STRAORDINARI».

RIZZO: «DA DI MAIO SOLO SPOT. SERVE RIDUZIONE ORARI DI LAVORO E STRAORDINARI».

«Quello di Di Maio è l’ennesimo spot di un movimento cinque stelle in crisi di consenso. Non serve la chiusura parziale dei centri commerciali la domenica ma ridurre gli orari di lavoro e il ricorso agli straordinari a parità salariale. Così si aumenterebbe l’occupazione costringendo le imprese e le grandi catene commerciali ad assumere nuovi lavoratori migliorando i diritti e assicurando a tutti più tempo libero, non costringendo tra l’altro i lavoratori a fare la spesa la domenica». Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista in una nota.

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Non solo la domenica. Ridurre l’orario di lavoro e aumentare i diritti dei lavoratori.

Non solo la domenica. Ridurre l’orario di lavoro e aumentare i diritti dei lavoratori.

La proposta della chiusura domenicale degli esercizi commerciali avanzata dal ministro Di Maio, sebbene apprezzabile per aver contribuito a innescare un dibattito positivo che finalmente riguarda il tema del lavoro e dei diritti dei lavoratori, è una risposta parziale e insufficiente per affrontare la questione, perché finirebbe per riguardare solo una parte dei lavoratori interessati e non risolvere la maggior parte dei loro problemi. La vera problematica, infatti, non è tanto l’apertura o meno dei negozi, quanto la condizione contrattuale a cui sono sottoposti i lavoratori, sottopagati e spesso costretti ad ore di straordinari, nell’impossibilità di rifiutare una prestazione lavorativa nelle giornate festive sotto il ricatto del licenziamento, ancora più facile con le riforme di Renzi.

Negli ultimi anni il lavoro nei giorni festivi è cresciuto sempre di più, non solo nel settore commerciale. Sono circa 5 milioni i lavoratori in servizio nei giorni e nei periodi tradizionalmente festivi [1] Le ragioni sono varie. Dalla necessità del mantenimento dei servizi essenziali di carattere pubblico, alla crescita del settore dei trasporti, alle peculiarità del sistema economica italiano con la forte incidenza nell’economia nazionale del settore turistico, della ristorazione, del settore alberghiero, dei lavori stagionali nel settore agricolo e turistico, l’apertura dei poli museali, fino alla tendenza strutturale della società capitalistica a concepire il tempo libero dei lavoratori essenzialmente come tempo di consumo, con conseguente apertura festiva di negozi e centri commerciali.

Da tempo il Partito Comunista ritiene necessario per la difesa degli interessi dei lavoratori, per ridurre lo sfruttamento e la disoccupazione, la riduzione generalizzata degli orari di lavoro, con mantenimento dei livelli salariali. Attraverso l’approvazione della legge sulle 32 ore settimanali e fissando per legge un tetto massimo agli straordinari, si avrebbe come conseguenza il necessario incremento dell’occupazione e una maggiore turnazione settimanale, con aumento del tempo libero per i lavoratori di tutti i settori, equamente distribuito nei giorni feriali e nei periodi festivi. Avere più tempo libero durante la settimana significa più tempo per le proprie relazioni sociali, per la cura della propria persona e dei propri familiari, più tempo per le necessarie attività che di fronte ai turni massacranti imposti dal lavoro oggi, vengono tutte inevitabilmente relegate ai giorni festivi. Significa anche non obbligare i lavoratori a dover impegnare le loro domeniche, o le ore notturne, per fare la spesa e provvedere alle esigenze proprie e delle proprie famiglie con evidente conflitto con gli interessi di altri lavoratori.

Limitarsi alla chiusura domenicale degli esercizi commerciali quindi non risolverebbe il problema, interesserebbe solo una parte dei lavoratori, finendo addirittura per diventare un provvedimento a vantaggio dell’e-commerce (distribuzione via internet, che in Europa cresce ad un tasso del 14% annuo e sul quale sarebbe necessario l’immediato incremento della tassazione) con ulteriore riduzione dei posti di lavoro, e un alibi per una nuova ondata di licenziamenti in molti settori.

Al contrario, ridurre gli orari di lavoro con mantenimento dei livelli salariali obbligherebbe la grande industria e la grande distribuzione, ma anche tutti gli altri settori, a nuove assunzioni, riducendo la disoccupazione, migliorando allo stesso tempo la qualità di vita dei lavoratori sia sul lavoro che aumentandone il tempo libero. A causa della sfrenata concorrenza l’incremento dei costi non si scaricherebbe in questo caso sui prezzi, ma solo sui profitti della grande distribuzione e ridarebbe fiato alle piccole ditte familiari. Il provvedimento inoltre riguarderebbe tutti i settori, anche quelli pubblici nei quali oggi le assunzioni sono frenate dai vincoli di bilancio. Lavorare meno, lavorare tutti, lavorare meglio. Oggi è possibile solo il capitalismo lo impedisce.

I lavoratori, infine, non devono ignorare le vere ragioni di questo annuncio, a cui con tutta probabilità non corrisponderà alcun provvedimento seriamente incisivo. Il Movimento 5 stelle, in calo di consensi e schiacciato mediatamente dalla Lega di Salvini, reduce dal tradimento consumato sull’Ilva, tenta di ricostruire la propria immagine come partito a favore degli interessi dei lavoratori; strizza l’occhio per convenienza elettorale al Vaticano e ai settori cattolici che da sempre, per motivi religiosi, difendono la chiusura domenicale. Di Maio e Salvini così preparano la propria campagna elettorale per pesarsi a vicenda spartendosi i temi: alla Lega l’immigrazione, ai cinque stelle le politiche sociali. Gli annunci mediatici, a cui il più delle volte non seguono neanche i fatti, non mutano il carattere di questo governo che in realtà è contro gli interessi dei lavoratori tanto quanto i precedenti.

Ufficio Politico, Partito Comunista

[1] fonte rapporto CGIA di Mestre anno 2016.

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È mancato il compagno Gian Maria Pavan, dirigente comunista.            (Commento di Marco Rizzo).

È mancato il compagno Gian Maria Pavan, dirigente comunista. (Commento di Marco Rizzo).

La notizia è arrivata all’improvviso da Milano, prima di un’accentuarsi della sua malattia e, poco dopo, della scomparsa. Gian Maria Pavan è morto.

A nome mio personale e del Comitato Centrale del Partito Comunista voglio dare alla famiglia e a tutti i comunisti di Milano le nostre più sentite condoglianze. Gian Maria Pavan era un militante ed un dirigente comunista. Coniugava un pensiero analitico di altissimo livello ad una pratica militante rigorosa.

La sua lunga storia di comunista è testimoniata dall’affetto che in queste ore si sta manifestando dinnanzi a questa tragica notizia. Conoscevo Gian Maria da oltre trent’anni. Un periodo di tempo che è volato, ma che lo ha sempre visto battersi coerentemente per tenere aperta e viva l’ipotesi comunista in Italia.

Ci mancherai Gian Maria, ci mancherà la voce roca per l’ennesima sigaretta con cui accompagnerai un originale suggerimento per la nostra comune causa.

Ci accompagnerai in questa battaglia irriducibile per ricostruire il Partito Comunista e una società alternativa a quella capitalista. Gian Maria, la terra Ti sia lieve, le nostre idee non moriranno mai.

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RIZZO: «ILVA. L’ACCORDO DI MAIO-CALENDA E’ FATTO»

RIZZO: «ILVA. L’ACCORDO DI MAIO-CALENDA E’ FATTO»

«Il cambio di linea del M5S è strepitoso. Il decreto governativo viene mantenuto e permane anche l’immunità penale per gli inquinatori. Nessun piano ambientale, tanto meno di riconversione, restano gli impianti fuori norma e il lavoro viene comunque umiliato. Dei 13522 dipendenti di Taranto, se il lavoro è assicurato per 10.700 (con o senza Art.18? Tutti e subito o in progressione?) ne mancano all’appello 2822 che sarebbero parcheggiati in cassa integrazione, riceverebbero un incentivo o dal 2023, l’anno che verrà, verrebbero riassorbiti sulla base di un aumento della produzione (e della tossicità?) da parte della Mittel. Plaudono i sindacati concertativi corresponsabili del disastro. Esultano Calenda e Di Maio ovvero la continuità tra PD e M5S. Un vero capolavoro di ipocrisia».

Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista.

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FIRENZE. RIZZO (PC): «RICETTA SALVINI E’ USARE POLIZIOTTI CONTRO STUDENTI»

FIRENZE. RIZZO (PC): «RICETTA SALVINI E’ USARE POLIZIOTTI CONTRO STUDENTI»

«La nuova “ricetta” del ministro Salvini è usare i poliziotti contro gli studenti che manifestano per un’università accessibile a tutti al posto di pensare a mafia, corruzione e ai reali problemi». Così Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista in solidarietà agli studenti della gioventù comunista fermati a Firenze. «Fermi e perquisizioni per un semplice volantinaggio sono atti di natura chiaramente intimidatoria, fatti ancora più gravi se si pensa che sono stati attuati contro studenti che manifestavano davanti ad un’aula universitaria. Siamo di fronte ad un’involuzione autoritaria che deve essere fermata. Chiediamo un immediato incontro con il Prefetto di Firenze perché ci illumini sulle ragioni dell’accaduto».

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DISASTRO AUTOSTRADA A10 GENOVA, NESSUNA FATALITÀ MA PRECISE RESPONSABILITÀ. (Dichiarazione di Marco Rizzo segretario del Partito Comunista)

DISASTRO AUTOSTRADA A10 GENOVA, NESSUNA FATALITÀ MA PRECISE RESPONSABILITÀ. (Dichiarazione di Marco Rizzo segretario del Partito Comunista)

Prima di tutto vogliamo fare le condoglianze alle famiglie delle vittime del disastro, che però non è certo il frutto dell’imponderabilità della natura. Le cause generali sono dovute ai processi di privatizzazione delle infrastrutture strategiche. Nel particolare, quel tratto autostradale è tra quelli a   massimo pedaggio e a massima redditività. Per chi? Per i privati che gestiscono le autostrade. E cioè per chi aveva e ha l’obbligo di compiere le manutenzioni straordinarie ed anche le sostituzioni (i ponti quando sono vetusti si ricostruiscono).                                     Solo l’ingordigia del capitalismo (oggi globalizzato) può imporre un modello in cui i servizi fondamentali di una nazione (trasporti, sanità, istruzione ecc.) debbano esser vincolati al profitto di privati e non al benessere pubblico. Il problema è che, da almeno trent’anni, la maggioranza degli italiani (colpevole soprattutto la finta sinistra che ha sposato in pieno il liberismo) credono a questa favola. Forse tragedie come quella di Genova possono iniziare a fare riflettere. La soluzione non è quella di nuovi padroni (buoni, meno voraci ed efficienti) bensì l’espropriazione, la collettivizzazione e una gestione puntuale di questi settori, insieme a quelli della produzione industriale strategica (grande manifattura, acciaio, alluminio…). Pare che su quel maledetto ponte passassero 25 milioni di utenti all’anno. Quanti miliardi di € si sono intascati i privati infischiandosene evidentemente della sicurezza? La tragedia è simile a quella occorsa nelle Marche nel 2017. Questi “signori del mercato” privatizzano i loro profitti scaricando pericoli e insicurezza su tutto il popolo. A volte non sono neanche multinazionali ma, come in questo caso, “padroni” italiani, a riprova che il problema non è la sovranità bensì il mercato. Il problema è il capitalismo. Bisogna appunto espropriare, nazionalizzare e, con le risorse riacquisite, allestire un grande piano di manutenzione (anche del territorio) che garantisca sicurezza e centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, rompendo tutti i vincoli di compatibilità UE. Riprendiamoci il maltolto. Per fare questo serve lo Stato.Uno Stato diverso da quello borghese.Per fare questo serve il Socialismo.Chissà se il “cambiamento” passerà anche da Genova?

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Marchionne il santo del mercato – Commento di Marco Rizzo

Marchionne il santo del mercato – Commento di Marco Rizzo

Adesso che la notizia della morte (almeno quella ufficiale, su perfetta dettatura al passo coi tempi borsistici)  è acclarata, credo si possa e si debba fare un bilancio di quello che è stata la sua azione al di là dei processi di santificazione in atto. Chi ha avuto l’opportunità anche solo di seguire le sue interviste, che hanno attraversato a reti unificate i palinsesti televisivi e giornalistici in questi giorni, si è reso conto che il suo unico valore (anche onesto nella sua crudezza) era il business, il mercato, la globalizzazione capitalistica e che, ad essi, era utile sacrificare ogni libertà sociale ed anche individuale. Un vero e proprio paradigma con cui riscaldare gli animi spenti degli uomini e donne “senza qualità” che, in modi contraddittori, osannano e, al tempo stesso, subiscono il governo della modernità globalizzata. Marchionne ha sempre seguito la linea filo-governativa della Fiat sin dai tempi del nonno dell’Avvocato, secondo l’assioma di “socializzare le perdite e  privatizzare i profitti”. Dopo essersi appropriato di qualsiasi tipo di finanziamento pubblico ha trasferito la sede legale e fiscale all’estero, lasciando in Italia stabilimenti vuoti dopo aver prospettato un “progetto Italia”, usato come leva di ricatto per vincere il referendum a Pomigliano d’Arco e Mirafiori,  grazie alla complicità dei sindacati confederali e al forte sostegno di tutto il vertice del PD, nazionale e locale, da Veltroni a D’Alema (Renzi non era ancora arrivato), da Fassino a Chiamparino. Un passaggio fondamentale nell’azzeramento dei diritti e della forza dei lavoratori in Italia, fungendo da apripista al Jobs Act Renziano.

Il “modello Marchionne” ha costituito le basi per l’attacco definitivo al contratto di lavoro nazionale, condito con caratteri coercitivi e repressivi, come le minacce di licenziamento ai militanti comunisti e sindacali così come ai dipendenti in malattia, i turni massacranti, le pause praticamente azzerate (coi dipendenti di fatto obbligati a urinarsi addosso) e poi i reparti confino, i riposi forzati e la cassa integrazione.

La dottrina Fiat ha sempre violato i diritti e le libertà fondamentali nei confronti dei propri dipendenti. Sin dai tempi di Valletta (quando l’Avvocato giocava ancora a fare il play-boy) è sempre stata negata l’agibilità ai comunisti, la libertà di iscriversi al sindacato (quando era ancora conflittuale e di classe),  di scioperare, di dire come la si pensava sui modelli e metodi di produzione, sulla possibilità di avere idee in conflitto con quelle della proprietà e delle gerarchie aziendali. A tutti i livelli della Fiat “fare carriera” era  possibile solo dimostrando fedeltà da suddito verso chi  comanda. La logica del “ruffian”, un piemontesismo che spiega bene come l’unico “merito” che vigeva in Fiat, e oggi in Fca, sia quello del servilismo verso i vertici. Chi protestava e protesta è sempre stato accomunato ai malati, agli invalidi, a tutti quelli che sono stati definiti non sufficientemente produttivi. A tutti costoro la Fiat ha saputo dispensare punizioni, emarginazione, e licenziamenti. Sin dagli anni ’50 per arrivare all’ottobre 1980, esser licenziati dalla Fiat ha sempre significato la cancellazione della possibilità di ottenere qualsiasi altro posto di lavoro. Si finiva nelle liste nere di quelli da non assumere mai più in nessun altro luogo di lavoro. E chi non veniva licenziato finiva nei “reparti confino”. Luoghi della fabbrica con attività e scopi sostanzialmente inventati, la cui unica  vera missione  era quella di tenere assieme coloro che l’azienda voleva emarginare, ma che, ancora, non poteva licenziare.

Un tassello di storia rappresentato negli anni ’50 appunto dall’ Officina Stella Rossa, col nome stesso con cui gli operai comunisti la apostrofarono e che, alla fine,  fu chiusa con il licenziamento totale di tutte le maestranze.

Negli anni ’80, dopo la “lotta dei 35 giorni” e la  “marcia dei 40mila” furono adottate le Unità Produttive Accessorie -UPA-  dove furono appunto confinati i malati e gli attivisti politici e sindacali non consoni ai dettami dall’azienda, guidata all’epoca da Cesare Romiti. La stessa logica sotto la gestione di Sergio Marchionne per gli operai di Pomigliano, che si sono ritrovati nei reparti confino di Nola , con l’unica differenza di avere un nome non più italiano -World Class Logistic- è il termine ufficiale con cui si definivano quei reparti. A Pomigliano, come a Torino, l’azienda gioca duro contro gli operai ribelli, il conto finale è costituito da decine di suicidi. Marchionne ha costruito quella che si può definire una ‘linea’ concreta fino allo stremo, uno ‘stile nuovo’, come si sono affrettati a dichiarare in molti. Il tutto finalizzato al business, al profitto, alla produzione.

Incurante di ogni aspetto che non sia quello di accrescere gli utili, ridurre le spese, azzerare i costi “superflui”. Come diceva Marx: i capitalisti sono condannati, per così dire, a non mollare mai, devono andare avanti, devono raccogliere denaro per produrre profitto, devono investire denaro per produrre altro profitto e raccogliere altro denaro, e questo deve accadere anche quando il denaro è virtuale, anche quando si costruiscono gli imperi finanziari sui debiti, e alla fine si è incuranti degli uomini, dell’ambiente, dei valori e della morale, di tutto. Al di là di quanto abbia lavorato, e di quanto abbia guadagnato, Marchionne è stato ripagato infine con la sua stessa “valuta”: i vertici aziendali, con in testa la proprietà e l’alto management, hanno immediatamente provveduto ad “archiviare la pratica”, ossia a considerarlo morto prima che morisse (sarebbe avventato scommettere sulla data del decesso) in ossequio al valore dei titoli Fca, Ferrari ecc. Insomma, conta il business, conta il mercato. E Marchionne può diventarne solo un  santo. Subito, perché il mercato è un inferno che non ammette ritardi e debolezze.

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