È dalle parole di Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia, che pochi giorni fa definiva la camorra “come dato costitutivo della città di Napoli”, che vogliamo partire. Sentiamo, forte, l’esigenza di ricondurre su un terreno politico concreto tutti i ragionamenti che ci apprestiamo ad esporre, rispetto alla Capitale del Mezzogiorno ed alle forze auto-proclamatesi rivoluzionarie (anche se, da comunisti, ben sapevamo cosa si nascondesse dietro i venti del cambiamento tinti d’arancio) che da quattro anni questa città, più nel male che nel bene, la governano.
Ebbene, in città si sta combattendo una guerra. Una guerra vera, sanguinosa, una guerra sporca, una guerra tesa ad accaparrarsi ed a gestire nuovi territori e, conseguentemente, le relative piazze di spaccio, di usura, di “pizzo”, di rapine e furti, di truffe, ma anche di corruzione e tangenti nei pubblici affari; una guerra condotta dai nuovi e feroci clan, nelle cui fila vengono arruolati giovanissimi soldatini di carta che, qualche volta, purtroppo, uccidono e talvolta muoiono ammazzati.
Ma perché questo succede? Perché dei giovani decidono di arruolarsi ed andare a combattere per una guerra che non appartiene a loro e, spesso, neppure alle loro famiglie proletarie? Perché la camorra, come tutte le mafie, è un’industria, un’industria che, proprio lì dove non c’è nessun orizzonte, nessuna possibilità di emancipazione sociale, mette in profondità le sue radici, perché è l’unica forza economica in grado di offrire riscatto a chi è disperato, l’unica in grado di offrire quella cosa che somigli, anche se in modo aberrante, ad un lavoro. Appare chiaro dunque come in una città come Napoli, con un tasso di disoccupazione relativo alla classe di età 15-19 pari all’ 89.55 (media italiana 50.41%), alla classe di età 20-24 pari al 69.05% (media italiana 28.59%) e alla classe di età 25-29 pari al 47.33% (media italiana 17.18%), stia avvenendo quello che tutti i giorni vediamo davanti ai nostri occhi o dalle nostre televisioni.
Tutto a dimostrazione che, a differenza di quanto detto del presidente Bindi, la camorra non è affatto un dato costitutivo della sola città di Napoli, bensì, proprio come tutte le mafie, proprio come il fascismo, un dato costitutivo del sistema economico capitalistico. Essa è ben dentro le logiche del sistema di produzione e di sfruttamento del capitale, non è affatto un’anomalia da estirpare dalle società borghesi, magari applicando i canoni di una ideologia e di una morale cattolica, o peggio calvinista, che hanno invece fatto da sfondo e da alibi all’affermarsi delle mafie di tutto il mondo, a partire dalla sua capitale New York.
Le responsabilità non sono, quindi, tutte del “Sindaco per Napoli”, ma tutta sua è la responsabilità, da buon demagogo vestito di una falsa toga, di aver seminato altre inutili e false speranze, di aver indotto altri giovani, sin’anche lavoratori, a pensare che si potesse liberare Napoli semplicemente con i buoni sentimenti, con un po’ di onestà, e condotti dall’ennesimo liberatore solitario.
Riprendendo gli slogan che accompagnarono Luigi De Magistris nella scorsa campagna elettorale, ci accorgiamo che già si precostituivano alcune giustificazioni: che ha amministrato la città solo da quattro anni a questa parte, che i disastri del pentapartito prima e poi dell’era bassoliniana erano stati enormi, che anche il quadro delle politiche nazionali era devastante, sia quello dipinto dai governi di centro-destra, sia quello tracciato dai governi di centro – (finta)sinistra.
Nel fare, però, una valutazione concreta di quello che è stata l’amministrazione De Magistris non ci si può esimere, al netto degli slanci propri delle tifoserie, e che dovrebbero essere tenuti ben lontano dalla politica, dal prendere atto di come questa esperienza politico-amministrativa, che negli ultimi tempi, folgorata sulla via di Damasco, si è dichiarata più volte pienamente alternativa al Partito Democratico, in realtà, nella pratica, questa presunta alternatività non l’ha mai dimostrata.
Sulla grande questione del Lavoro, in particolare, per noi comunisti ovviamente fondamentale, l’amministrazione ha brillato per il suo disinteresse, oltre che per una totale incompetenza. Parecchie le fabbriche sotto le quali c’erano stati quelli che oggi, alla prova dei fatti, possiamo unicamente definire “giri turistici”, dove a gran voce si era chiesto sostegno alla classe operaia partenopea, ricevendo in risposta solenni assicurazioni di un impegno attivo a mantenere vive le poche realtà produttive ancora presenti in città. Quelle fabbriche sono oggi chiuse o sono state svendute.
Potremmo portare tanti esempi a riguardo. Uno tra tutti, il caso più emblematico, è quello dell’Alenia di Capodichino, vero gioiello dell’industria aero-spaziale internazionale (lor padroni la definirebbero un’eccellenza), lasciata per anni nel dimenticatoio, dopo la campagna elettorale, da Luigi De Magistris e dai suoi assessori. Oggi ceduta, come sempre svenduta, senza neanche una parola di circostanza, di protesta da parte del sindaco, e regalata niente poco di meno che ai resti dell’ Atitech, già pezzo pregiato dell’industria avanzata pubblica e già regalata dall’ineffabile Finmeccanica a tale signor Gianni Lettieri, candidato del centro-destra alle ultime amministrative proprio contro De Magistris, ma soprattutto con un curriculum di tutto rispetto nel settore del commercio dell’ abbigliamento usato.
Ma sono tanti gli ulteriori esempi che tuttavia hanno un unico minimo comune denominatore: non la totale assenza di un piano industriale per la città di Napoli ( la favola che raccontano i politici borghesi, che il nostro sindaco non ha neppure tentato di recitare ), bensì il totale disinteresse e la conclamata incapacità di un’amministrazione comunale, che ha evidentemente preferito “prestare attenzione ai trucioli e non al pezzo di legno”, qualche decina di posti di lavoro in Comune, mai da disprezzare, anche se in netto sotto organico, ma senza neppure tentare di arginare la deriva verso la quale Napoli velocemente e sempre più inesorabilmente sprofondava.
Eppure non si è trattato di errori, non si è trattato di futili incidenti di percorso. Lo stesso modus operandi è rintracciabile su tutte le questioni nevralgiche e strutturali che l’amministrazione comunale si è trovata ad affrontare: dal Commissariamento di Bagnoli ( sul quale al di là dei grandi proclami, non è ancora stato espletato alcun atto formale interdittivo da parte del Sindaco) alla questione strategica del Porto di Napoli ( su cui gli armatori privati, nazionali ed internazionali, chi in maniera più esposta e scandalosa, chi più sommessamente ed in sordina, stanno facendo razzie, a danno, come sempre accade in questi casi, dei lavoratori); dal Digestore Anaerobico di Scampia, un altro impianto chimico dannoso dipinto da green-economy, all’ennesimo attacco portato ai danni dei quartieri proletari dell’ Area orientale e dell’Area Nord, come da sempre destinati ad ogni sorta di assalto al territorio, e comunque lasciati, in piena soluzione di continuità con chi aveva governato prima, al proprio triste destino di periferia urbana degradata.
A partire da quanto sopra asserito Il Partito Comunista non può che rivendicare di essere stato tra le pochissime forze politiche che capirono, fin dal primo momento, fin da quando De Magistris avanzò per la prima volta la sua candidatura, come quel film dato come inedito , bensì visto più e più volte, sarebbe finito, e che decisero conseguentemente di percorrere altre strade, non prendendo parte a quella che si è poi rivelata una rivoluzione di cartapesta. Noi non ne siamo pentiti, altri forse si !
Da quel momento, sono passati quasi cinque anni ed Il dibattito sulle sorti della città, lasciato languire in orge propagandistiche, si è improvvisamente riaperto … ovviamente in vista delle vicine prossime elezioni. La discussione su chi nel prossimo futuro reggerà Palazzo San Giacomo è ripartita, tra le forze politiche, ma anche tra i movimenti e le associazioni, più o meno veri e più o meno popolari, un teatrino che giorno dopo giorno si sta arricchendo di nuovi personaggi.
Oltre alla probabile ricandidatura dell’ imprenditore Lettieri, alla possibile candidatura-promessa della sempre giovane-promessa Migliore, si aggira lo spettro, ovviamente non comunista, se non anti comunista, addirittura di quel Bassolino, che tanti davano per politicamente morto, e che oggi gli stessi temono assai, specie nel suo PD. E infine c è ormai la certa la ricandidatura dell’attuale Sindaco di Napoli, oggi formalmente alternativa al PD, almeno sulla carta. La candidatura che, solo dopo il formale sostegno di Civati & C. fuori dal PD, ma anche dopo le rassicurazioni della (finta) sinistra dentro lo stesso PD, si è avvalsa del furbesco artifizio retorico della “ Napoli, città derenzizzata “, prontamente ed opportunisticamente sostenuto dall’alleanza di comodo con un movimento fintamente conflittuale, e completamente acritico verso le scelte e gli atti politici dell’amministrazione comunale. Un movimento che sembra, con qualche apprezzabile esitazione, volersi sommessamente accodare, coprendo così il fianco sinistro di uno schieramento che sempre più va somigliando alla famigerata Syriza della Grecia, in cambio di una più che mediata libertà di azione sul territorio, volta a preservare i soliti interessi particolari e qualche residua agibilità politica. Buoni ultimi, non potevano mancare i resti della multicolore federazione della sinistra, che rischiano di ridurre tanti pur generosi militanti a veri e propri questuanti, con il cappello in mano fuori dalle porte di Palazzo S. Giacomo.
Ma intanto le alleanze con gli ex-dentro-fuori-pd e con le associazioni e i movimenti napoletani al sindaco, da sole, potrebbero non bastare e quindi, dopo aver ascoltato le incredibili dichiarazioni di Di Maio, nuovo infant prodigy della borghesia italiana, che parlando degli eletti del M5S in regione Campania, fa capire tra le righe che il Movimento 5 Stelle non avrebbe candidati adeguati a concorrere alla poltrona di Sindaco, apre prontamente anche a questa forza, proponendo un inedito quanto impresentabile “patto di resistenza” per salvare la città.
È quindi questo il possibile scenario che ci troveremo davanti: le ennesime operazioni puramente elettoralistica, tutte interne al solito, noto ceto politico napoletano, più o meno riciclato, che dirà una cosa ed il giorno successivo alle elezioni farà l’esatto contrario.
Dal canto nostro non possiamo che rivendicare di essere forse gli unici che non hanno cambiato e non cambieranno punto di vista sullo scenario politico borghese e piccolo-borghese napoletano.
Non è neppure inutile ripetere che per i comunisti, in coerenza con le impostazioni leniniste, la presenza nelle istituzioni borghesi è sostanzialmente finalizzata all’ utilizzo del diritto di tribuna, ad un relativo allargamento e potenziamento della efficacia politica del Partito Comunista, che però vanno assicurati in prima istanza dal radicamento nella classe operaia e dalla costruzione e presenza nei conflitti di classe, e quindi dal perseguimento di limitati obiettivi tattici, che non vanno mai contrabbandati per quelle grandi conquiste strategiche che solo il socialismo-comunismo potrà assicurare, così come ci insegna l’esperienza moderna del Partito Comunista di Grecia (K.K.E.).
Nessun pastrocchio, quindi, ci vedrà mai attori qui a Napoli come in tutto il Paese, e laddove valuteremmo essere utile per le masse popolari la nostra presenza alle elezioni borghesi lo faremmo sempre con liste di lavoratori, di soli lavoratori, in primo luogo di operai, con impostazioni di lotta ed in sintonia piena con il movimento operaio ed i suoi stretti interessi di classe.
http://www.partitocomunistacampania.it/?p=478