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LA SITUAZIONE IN SIRIA
Abbiamo esitato a esternare dichiarazioni durante le fasi concitate che hanno portato alla caduta della Repubblica Araba di Siria, perché gli avvenimenti si susseguivano in modo troppo veloce e portavano a modificare l’analisi di ora in ora.
Nel frattempo abbiamo seguito con attenzione le dichiarazioni ufficiali che i principali attori coinvolti hanno espresso e come si è evoluta la situazione sul terreno. Mentre non ci siamo meravigliati che tanti geostrateghi della domenica siano stati contraddetti dalla realtà man mano che questa procedeva.
Partiamo dai dati di fatto precedenti.
La Siria rappresenta il punto di collegamento terrestre tra Iran, Iraq e Libano – quindi l’asse antisionista più forte. È stato un alleato strategico importantissimo per la Russia che possiede qui le uniche basi (una aerea e una marittima) nel Mediterraneo. Negli ultimi mesi era stata riammessa nella Lega Araba e quindi tutto faceva ben sperare che l’asse della resistenza si potesse catalizzare positivamente, soprattutto dopo i due clamorosi successi diplomatici che la Cina aveva messo a segno: la ripresa dei rapporti tra gli arcinemici di ieri, Iran e Arabia Saudita, e l’incontro a Pechino di luglio di 14 delegazioni di organizzazioni palestinesi.
Tuttavia i presupposti del disfacimento siriano erano già presenti. Le azioni criminali israeliane che violavano ogni diritto umano e internazionale restavano impunite. Gli USA presi dalla campagna elettorale o benvolenti senza doversi scoprire troppo, l’Iran troppo preoccupata a non cadere nel tranello della guerra totale con intervento massiccio degli USA, la Russia fin troppo presa dal conflitto già pluriennale ai propri confini, i paesi arabi a continuare la propria politica di attendismo.
Il disfacimento dell’esercito arabo siriano, che ha combattuto gloriosamente per l’integrità di quel paese per 15 anni contro i nemici esterni e i terroristi interni, non può non avere cause endogene.
Fino a qualche giorno prima della catastrofe, Iraq e Iran assicuravano il massimo del sostegno militare, l’aviazione russa avrebbe fornito la copertura necessaria. Eppure gli eventi sono stati fulminei.
Ciò che lascia basiti non è la prima fase delle azioni militari che si è svolta nel nord del Paese, troppo esposto e difficilmente difendibile. (Ricordiamo che Aleppo fu riconquistata alla fine del 2016 dopo oltre quattro anni di guerra.) Ma è la continuazione che ha portato ancor più rapidamente gli “insorti” alle porte di Damasco e alla sua caduta quasi senza resistenza.
Il presidente turco Erdogan è stato additato dai già citati commentatori della domenica come l’artefice principale di questa disfatta. Tuttavia, Erdogan ha dichiarato che ripetutamente aveva offerto collaborazione a Assad e che questi l’aveva rifiutata ponendo come condizione preliminare l’abbandono del territorio siriano da parte di tutte le truppe turche presenti. Una richiesta legittima ma che mal si conciliava con il realismo imposto dalla situazione sul terreno. Alla fine dei conti, tra una Siria ai propri confini spezzettata in diversi feudi bellicosi, governati da personaggi improponibili ed esposti ai ricatti imperialisti, e una Siria più forte e in grado di contrastare efficacemente i terroristi entro i propri confini, non c’è dubbio che qualunque dirigente turco preferisca la seconda soluzione.
Ancor di più deve dirsi della Russia, non foss’altro per garantire le proprie basi.
Chi invece non ha nascosto la soddisfazione per la successione dei drammatici eventi è stato spudoratamente il governo israeliano, che non si preoccupa di osannare elementi che fanno parte della lista dei terroristi riconosciuti internazionalmente e persino dagli Stati Uniti. Ma si sa che ci sono i terroristi buoni e quelli cattivi: quelli buoni sono i “nostri”. E tanto per violare ancora una volta il diritto internazionale, hanno occupato una fascia ancora più ampia di territorio siriano, oltre quello che occupano illegalmente dal 1967, ai piedi delle Alture del Golan, fascia che di strategico non ha proprio nulla.
Persino gli Stati Uniti e gli Europei – questi ultimi per quello che contano ormai – sono stati un po’ più prudenti almeno formalmente.
Le cose che leggiamo nelle ultime ore sono le seguenti:
– L’agenzia di stampa iraniana Fars ha pubblicato un articolo in cui spiega perché l’Iran non ha inviato truppe in Siria: «Nel corso del tempo… il popolo siriano non sostiene più l’esercito siriano nella lotta contro i terroristi come prima. Inoltre, prima dell’inizio della guerra in Libano, l’Iran ha ripetutamente avvertito Assad del rafforzamento dei terroristi e gli ha persino presentato le proposte necessarie, ma non è stato ascoltato. Assad ha commesso un errore strategico affidandosi alle promesse di altri paesi arabi e dell’Occidente.»
– l’ANSA comunica che è stata concessa l’amnistia a tutti i militari che servivano nell’esercito dissoltosi
– ancora secondo l’ANSA esponenti del nuovo governo hanno rassicurato la Russia in merito alle proprie basi militari
Ora, da tutto questo emerge che:
– la strada per resistere all’imperialismo sionista-americano sia ancora lunga e irta di ostacoli e drammatiche cadute. Il nemico, per quanto screditato internazionalmente, non ha intenzione di ritirarsi e mostra capacità di reazione violente ed efficaci
– ben consapevoli di ciò, i principali attori si guardano bene dall’esporsi ad azioni simili a una spregiudicata mano di poker che potrebbe rivelarsi fatale
– i proclami che parlano di “tradimento” e di “opportunismo” – sebbene alcuni di tali atteggiamenti presenti dentro le alte sfere militari siriane abbiano certamente concorso all’esito finale – dovrebbero essere molto più prudenti
– non c’è dubbio però che, se è possibile, la situazione per la resistenza palestinese e di quella libanese si sia fatta ancora più problematica.
Tuttavia, se un anello debole della catena viene meno e si scopre la sua fragilità, non è la fine della catena, ma può e deve essere un nuovo inizio su basi più solide.