LA CORTINA FUMOGENA DEI TAGLI Lo sfondo essenziale del DEF presentato dal Governo Meloni riguarda l’inflazione programmata. L’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato che per esempio serve come parametro per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, stimato al 2,1% per quest’anno e all’1,8% per i due anni successivi, nelle tabelle del consiglio dei ministri va per il 2023 al 5,9% e al 2,8% l’anno prossimo e al 2,1% nel 2025. L’inflazione generale viaggia solo pochi decimali più in basso. La politica monetaria restrittiva decisa dalla Bce porterà a una spesa per interessi fino a quota 100 miliardi all’anno (la spesa per interessi cumula fra 2023 e 2025 66,9 miliardi in più di quanto previsto 12 mesi fa, e sfonda i 100 miliardi annui nel 2026). Nonostante questo salasso, provocato dal criminale aumento dei tassi e di fondo dalla gabbia monetaria costituita dall’euro, arriva la conferma del ritorno dell’avanzo primario, cioè dei risparmi “forzati” nel saldo calcolato al netto delle spese per interessi, nel tentativo non molto riuscito nel passato di contenere il rapporto fra debito e PIL. L’avanzo primario torna a partire dal 2024, (circa sei miliardi, lo 0,3% del Pil), poi destinato ad aumentare negli anni successivi, in modo netto sia nel 2024 (1,2% del Pil, circa 26 miliardi di euro) sia nel 2025 (2%, quasi 45 miliardi). La cortina fumogena alzata dal governo però consiste nell’introdurre «un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi di oltre 3 miliardi a valere sull’anno in corso», come annunciato il ministero dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’intervento «sosterrà il potere d’acquisto delle famiglie» e allo stesso tempo «contribuirà alla moderazione della crescita salariale». Quindi, le richieste degli aumenti salariali vengono spenti grazie alle tasse che pagano tutti i contribuenti e non erodendo i profitti delle grandi aziende. Bravo Robin Hood! Quanto alle pensioni, le promesse elettorali si vanno a fare friggere. Il capogruppo delle Lega alla Camere Riccardo Molinari: «Con pochi miliardi quota 41 non si fa, questo è chiaro».


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LA CORTINA FUMOGENA DEI TAGLI

Lo sfondo essenziale del DEF presentato dal Governo Meloni riguarda l’inflazione programmata.
L’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato che per esempio serve come parametro per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, stimato al 2,1% per quest’anno e all’1,8% per i due anni successivi, nelle tabelle del consiglio dei ministri va per il 2023 al 5,9% e al 2,8% l’anno prossimo e al 2,1% nel 2025. L’inflazione generale viaggia solo pochi decimali più in basso.
La politica monetaria restrittiva decisa dalla Bce porterà a una spesa per interessi fino a quota 100 miliardi all’anno (la spesa per interessi cumula fra 2023 e 2025 66,9 miliardi in più di quanto previsto 12 mesi fa, e sfonda i 100 miliardi annui nel 2026). Nonostante questo salasso, provocato dal criminale aumento dei tassi e di fondo dalla gabbia monetaria costituita dall’euro, arriva la conferma del ritorno dell’avanzo primario, cioè dei risparmi “forzati” nel saldo calcolato al netto delle spese per interessi, nel tentativo non molto riuscito nel passato di contenere il rapporto fra debito e PIL. L’avanzo primario torna a partire dal 2024, (circa sei miliardi, lo 0,3% del Pil), poi destinato ad aumentare negli anni successivi, in modo netto sia nel 2024 (1,2% del Pil, circa 26 miliardi di euro) sia nel 2025 (2%, quasi 45 miliardi).
La cortina fumogena alzata dal governo però consiste nell’introdurre «un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi di oltre 3 miliardi a valere sull’anno in corso», come annunciato il ministero dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’intervento «sosterrà il potere d’acquisto delle famiglie» e allo stesso tempo «contribuirà alla moderazione della crescita salariale».
Quindi, le richieste degli aumenti salariali vengono spenti grazie alle tasse che pagano tutti i contribuenti e non erodendo i profitti delle grandi aziende. Bravo Robin Hood!
Quanto alle pensioni, le promesse elettorali si vanno a fare friggere. Il capogruppo delle Lega alla Camere Riccardo Molinari: «Con pochi miliardi quota 41 non si fa, questo è chiaro».

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