“Infoiberemo tutti quelli che non parlano di Dante la favella” (Giuseppe Cobol, segretario del Fascio di Trieste e ministro dei Lavori pubblici, “Gerarchia”, 1927).
Il 30 marzo 2004, grazie alla convergenza bipartizan delle forze di destra e di centrosinistra all’interno del Parlamento, cala defintivamente il sipario sulla matrice antifascista dell’Italia Repubblicana. Da allora in avanti l’unico antifascismo accettato sarà quello di maniera, quello di facciata, mentre sarà vilipeso e duramente condannato quello genuino, quello militante.
E’ la data in cui viene approvata una delle più sconcertanti e oltraggiose disposizioni di legge nel nostro paese: quella dell’istituzione del giorno del ricordo.
Quello che sconvolge non sono tanto le falsificazioni sul numero e qualifica delle vittime, che tra l’altro ogni anno che passa aumentano sui report di giornali e televisioni di regime, che ha fomentato e fomenta il brodo politico culturale da cui ha tratto linfa il suddetto provvedimento legislativo. Quello che sconvolge è l’opera di revisionismo che è stata compiuta, trasfigurando il senso stesso della storia. Chi è uscito vincitore dal secondo conflitto mondiale, chi è riuscito a imporsi sulla belva nazifascista che aveva dato origine alla guerra, è stato con questa legge trasformato in carnefice, viceversa diventano vittime e meritevoli di medaglia al valore i criminali che avevano sparso terrore nelle regioni della Benetia e del territorio slavo. Tutto questo è stato fatto grazie all’atteggiamento supino per non dire colluso degli eredi del glorioso partito comunista, strumentalizzando i dolori e le sofferenze dei molti che effettivamente pagarono il conto al termine della guerra per colpe non loro, ma di quel delirio nazionalistico che permeava la dittatura fascista. L’immane tragedia dei profughi, esperienza attuale e comune a troppi altri popoli, pure a quelli che a differenza degli italiani non sono colpevoli di fronte alla storia, è stata vergognosamente strumentalizzata: gli italiani dell’Istria e della Dalmazia infatti non furono scacciati dalle loro terre – come la cultura di regime vuole fare intendere – ma spontanemante le abbandonarono – terre che peraltro non erano le loro, ma che condividevano con i popòli slavi – perchè scelsero la cittadinanza italiana. Scelta che fu condivisa soprattutto dalle classi più agiate, dai proprietari terrieri che vivevano delle rendite di proprietà, perchè – è questo i nazionalisti di ritorno nostrani omettono sempre di ricordarlo – si scappava dalla Jugoslavia, non in quanto italiani, o comunque non soltanto, ma soprattutto per non condividerne l’esperienza collevista che oltre confine si stava attuando. Alla base dell’oltraggiosa legge 92/2004 sta infatti l’idea, falsa, che esodo e foibe abbiano rappresentato lo strumento di deitalianizzazione forgiato dai comunisti jugoslavi. Non fu affatto così; comunità italiane di significativa entità rimasero oltre confine, e tutt’ora la Croazia e la Slovenia sono abitate da italiani, e beneficiarono dei diritti riconosociuti a tutte le minoranze del mosaico jugoslavo, prima e più importante fra tutti quella di mantenere la lingua e cultura di origine. Altro e ben diverso significato assume il fatto che dopo la guerra gli italiani di Istria e Dalmazia abbiano dovuto pagare un conto, pure per colpe non completamente loro: un conto salato a fronte di una spietata politica di italianizzazione forzata dei popoli slavi attuato nel ventennio (altro che garantire l’uso della ligua), di, queste si vere, migliaia di morti, decine di migliaia di internati, di distruzione, incendi e saccheggi di villaggi. Era il conto che purtroppo paga chi ha scatento l’orrore di una guerra e che si paga con gli interessi se si sceglie politicamente di non consegnare le centinania di criminali di guerra, macchiatesi dei più orrendi delitti, formalmente richiesti dalle autorità jugoslave. Autorità, che per dirla tutta, avendo combattuto contro il nazifascismo era da considerarsi, e effettivamente lo era per il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, un alleato dell’Italia post bellica.
Ma l’aspetto più sconcertante è quello delle foibe. A sentire i media mainstream sembra che centinaia di migliaia di italiani siano stati ammazzati, infoibati addirittura vivi, nell’attuazione di un piano di pulizia etnica operato dai partigiani comunisti jugoslavi, oltraggioso piano al quale presero parte – tanto per accentuare le colpe comuniste – anche delle formazioni garibaldine. E’ sufficiente leggere il dettato normativo della l. 92/2004 per comprendere come si sia potuti arrivare a questa vergognosa opera revisionistica. Posto che le ispezioni nelle foibe, effettuate anche dagli alleati anglo americani, da quelle del carso a quelle istriane, hanno portato al rinvenimento di poche decine di resti umani, con l’art. 3 della suddetta legge sono stati assimilati agli infoibati gli scomparsi e coloro che furono soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Cioè infoibati e quindi vittime della politica di Tito sono anche tutti coloro che furono regolarmente processati, internati, condannati a morte durante i 40 giorni di occupazione militare di Trieste; occupazione ben inteso non usurpata, ma che i partigiani jugoslavi si erano conquistata sul campo di battaglia. Condannati, non in quanto italiani, ma in quanto riconosciuti colpevoli di collaborazionismo con i nazifascisti. La legge approvata dal Parlamento Italiano infatti considera vittime della repressione jugoslava tutti morti dal 8 settembre 1943, non soltanto quelli del dopoguerra; con l’aggravante che l’8 settembre nelle regioni orientali non significa Repubblica di Salò, che già non sarebbe poco, in quanto tali territori dal 18 settembre diventano Adriatisches Kustenland facente parte direttamente del III Reich. La ferocia contro la resistenza in quelle terre vide protagonisti a fianco dei tedeschi numerose forze collaborazioniste italiane, fra cui la tristemente nota banda Collotti. Quando si parla di foibe bisogna quindi avere ben in mente quale sia il reale quadro storico nel quale sono maturati tali avvenimenti. Innanzitutto è fuorviante assimilare agli infoibati, tutti colro che morirono in prigionia e comunque dopo regolare processo, ma soprattutto non si può non tenere conto di cosa significarono veramente quegli anni. Nel breve periodo successivo all’armistizio dell’ 8 settembre ci furono effettivamente spontanee rappresaglie, che non furono però portate indiscriminatamente contro gli italiani, ma contro i rappresentanti del potere fascista gerarchi, podestà, polizia, cioà tutti coloro che avevano perpetrato atti criminali ai danni della popolazione slava prima e soprattutto dopo l’invasione jugoslava da parte delle forze dell’Asse: dopo il 1941 Lubiana divenne provincia Italiana e numerosissimi e accertati furono i crimini di guerra compiuti dall’esercito italiano. Nel breve volgere di pochi giorni dopo l’8 settembre l’intera zona tornò direttamente sotto scontrollo tedesco e vi si perpetrò una repressione feroce, ancor più che nella confinante Repubblica di Salò, della resistenza partigiana.
I nazifascisti tennero Trieste fino al 1 maggio 1945, quando venne liberata dai partigiani jugoslavi, nelle cui fila trovarono posto d’accordo con il CLNAI anche compagnie di garibaldini. Ovviamente nei successivi 40 giorni di governo jugoslavo vennero processati tutti coloro che si erano macchiati di orrendi crimini, ma non in quanto italiani, ma in quanto fascisti e collaborazionisti del governo nazista.
Il fatto che la legge istitutiva del giorno del ricordo faccia riferimento ai morti italiani sino al 1950, ben oltre quindi i 40 giorni jugoslavi di Trieste, dimostra come si sia chiaramente voluto qualificare come vittime di una presunta ferocia anti italiana tutti coloro che furono processati, internati e condannati a morte dalle autorità jugoslave.
Che in tutto questo ebbero a patire maltrattamenti, sofferenze e morti anche vittime innocenti è senz’altro vero, ma questo è purtroppo il conto salato di ogni guerra; altra cosa è strumentalizzare la tragedia delle vere vittime, la colpa della quale non può che ricadere interamente nelle mani insanguinate del nazionalismo e razzismo della belva fascista. Accade invece che la maggior parte delle onorificenze sia stata assegnata proprio a coloro che si macchiarono di tali orrendi crimini, sacrificando la realtà storica a vantaggio di una neo cultura che di antifascismo non ha più nulla, ma che è al contrario tutta orientata a santificare un concetto di italianità che invero già tante tragedie ha provocato in un non lontano passato, e a oltraggiosamente equiparere nazifascismo e comunismo.
Con l’istituzione del giorno del ricordo si è sovvertito completamente il senso della storia, travisando fra vittime e carnefici, fra chi scatenò gli orrori della seconda guerra mondiale e chi fermò e sconfisse l’orda nazifascista. E’ come se le borme atomiche di Hiroshima e Nagasaki, o il bombardamento di Dresda restituissero legittimazione al III Reich o all’Impero del Sol Levante. Le bombe atomiche sganciate sul Giappone ammazzarono centinaia di migliaia di persone, e al loro significato oggettivo di morte indiscrirminata di civili, vi era da aggiungere quello soggettivo e non meno agghiacciante, di strumento di minaccia contro lo scomodo alleato sovietico: i documenti desecretati americani ci informano di come le autorità USA nell’immediato dopoguerra, fino al raggiungimento della parità atomica da parte dei sovietici, portarono concretamente avanti piani di aggressione dell Unione Sovetica con la bomba atomica. Il bombardamento di Dresda, la potenza di piombo calata dal cielo fu superiore a Hiroshima, fu probabilmente una vendetta dell’aviazione inglese più che un legittimo atto di guerra. Ciò non toglie che questi drammatici eventi, sui quali giustamente gli storici devono fare la loro parte come pure sulla questione delle foibe, non spostino minimamente il senso della seconda guerra mondiale. Nessuna santificazione di una presunta giapponesità o germanicità vilipesa dalle tragedie del secondo conflitto mondiale ha diritto di trovare spazio fra le pagine della storia, così come esodi e foibe, tra l’altro colpevolmente appesantiti nel significato loro attribuito dalla storiografia revisionista, potranno mai assolvere le colpe fasciste.
Mentre si fa tanto un parlare di crimini negazionisti, chi dovrebbe applicare tale norma nel panorama legislativo italiano si è già macchiato a sua volta di negazionismo consentendo al revisionismo storico di assumere vesti istituzionali. Perfetta sintesi di revisionismo e neo nazionalismo italiano è il monumento di Basovizza, il pozzo minerario portato a simbolo delle foibe, dove al suo interno furono ritrovati dagli anglomericani i resti di una decinda di persone, per lo più soldati tedeschi caduti in battaglia, e dove ogni anno, il 10 febbraio, in barba alla vuota retorica nazionale, sono soprattutto i gruppi di nazifascisti italiani a ritrovarsi per rendevi omaggio con il loro saluto romano.Tanto gli dovevamo!
Federico Milano, responsabile associazionismo e movimenti Federazione di Torino Partito Comunista.