Costituzione, la Dien Bien Phu di Renzi.

Costituzione, la Dien Bien Phu di Renzi.

Articolo di Armando Zenorini.

Ai comunisti nella storia non è quasi mai stato dato di scegliere il terreno di lotta.E’ quasi sempre l’avversario di classe a reagire alla sola possibilità di una rivoluzione socialista e, conseguentemente, ad iniziare la lotta nei modi e luoghi che egli ritiene al momento più opportuni.

La stessa storia dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti è principalmente storia di difesa dagli assalti revanscisti del capitalismo, aggressione nazista del 1941 in primo luogo; ma non solo.
La cosiddetta “corsa al riarmo” della cosiddetta “guerra fredda” vide sempre l’URSS dotarsi di un determinato tipo d’arma dopo che gli USA (e l’Occidente in generale) l’avevano già fatto.
Vedi per quanto riguarda l’armamento nucleare, o i cosiddetti “missili di teatro”.
E pure gli altri Paesi Socialisti seguirono questo stesso principio.
Ad esempio, pochi sanno che la Repubblica Democratica Tedesca nacque come reazione alla proclamazione ad Occidente, da parte di USA, Francia e Gran Bretagna, della Repubblica Federale, che l’esercito della DDR (Nationale VolksArmee) fu costituita dopo la formazione della Bundeswehr ad ovest, e che, comunque, il servizio militare fu volontario fino al 1962, e cioè fin dopo l’erezione del famigerato “Muro di Berlino”. Furono sempre reazioni ad atti ostili, provocatori e di minaccia dell’Occidente.

Ma tutto questo vi chiederete cosa c’entri con il titolo che vi propongo.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato nella sua conferenza stampa di fine anno (e se non si fosse capito, lo ha ribadito con un’intervista uscita due giorni dopo sul “Mattino” di Napoli) che, sul referendum confermativo alle modifiche (stravolgenti) della Costituzione, si gioca tutto, mentre minimizza l’eventuale (e probabile) “patatrac” alle Amministrative del prossimo Giugno.

Il messaggio che si vuol trasmettere è chiaro: per il complesso sociale e finanziario che sostiene il peggior governo della storia repubblicana per gli interessi generali (ma finora tremendamente efficiente per gli interessi di classe che rappresenta) la “madre di tutte le battaglie” è in Autunno sul Referendum sulla Costituzione e, in prospettiva, sul cosiddetto “Italicum”, la legge elettorale, per il quale in primavera comincerà la raccolta firme per chiederne l’abrogazione. E su questo passaggio istituzionale che Renzi ed i suoi supporter e/ispiratori sperano di sbaragliare ogni opposizione presente e prossima ventura, per poi passare alla fase finale dello stravolgimento (già in uno stadio avanzato, peraltro) della Carta Costituzionale: quello che riguarderà la prima parte della stessacosì come chiesto, tra gli altri, dalla banca d’affari J.P. Morgan già oltre due anni fà, ancora all’epoca dell’esitante (e per questo velocemente rimosso) Enrico Letta.

E’ ovvio che, data anche l’importanza internazionale, economica, sociale e politica ancora attuale (forse temiamo non per molto) del nostro Paese, passare definitivamente in Italia su forma dello Stato e sulla legge elettorale farebbe da battistrada per passare egualmente anche, e non solo, nel resto del continente europeo. Cesserebbe di fatto ogni resistenza e barriera, anche solo formale, al dominio del complesso delle Multinazionali nel cosiddetto Mondo Occidentale, con l’obbiettivo esplicito di conquistare anche il resto del pianeta.
Quindi in ballo non c’è solo un diverso modo di riorganizzazione e ricollocazione delle forze del capitalismo: c’è un conseguente attacco a quel poco di socialmente accettabile che resta della nostra come in qualche altra Costituzione di alcuni paesi europei, ad esempio il Portogallo.
In ballo c’è un arretramento che non potrà, se pienamente attuato, che rendere ancora più difficoltosa la nostra azione di ricomposizione del fronte di classe e popolare, non solo in Italia. Avendo potuto scegliere (magari riuscendo a far scendere dall’Avventino le forze dell’allora opposizione democratico-borghese) Gramsci nel 1924, avrebbe sicuramente dato battaglia anche su quel terreno.
Era Bordiga che ne sosteneva l’inutilità.

Noi dobbiamo cogliere quest’occasione politica, come i compagni Vo Nguyen Giap e Ho Chi Minh colsero quella della decisione dei Francesi nel 1953 di trincerarsi a Dien Bien Phu per distruggere il loro dominio coloniale.
Come oggi Renzi è convinto che le modifiche costituzionali siano il terreno politico ove sbaragliare qualsiasi residuo di eredità della Resistenza in Italia, così all’epoca lo Stato Maggiore Francese in Indocina era convinto che avrebbe potuto paralizzare le attività dei “Viet-Mihn” nel Tonchino, e nell’intera Indocina, attirandoli poi nella trappola di una battaglia sul campo in una zona che le forze armate coloniali di Parigi avevano ritenuto a loro massimamente favorevole.
Come finì ce l’ha detto la storia.

Ovviamente la storia allora in Vietnam ed Indocina non finì li, né oggidì sarà il tramonto personale di Renzi (conseguente alla possibile e sperabile sconfitta al “referendum confermativo” sullo stravolgimento costituzionale della “Renzi-Boschi”) a costituire una qualche definitiva vittoria per le sorti delle classi proletarie e proletarizzate in Italia.
Come ai Francesi sconfitti succedettero gli Americani, così aspettiamoci che la lotta, dopo la sconfitta auspicabile di Renzi, sia ancora più dura con altri, nominalmente diversi, avversari.
Sempre meglio per noi, però, cominciarla con una vittoria.

Non è tempo di Aventino, dunque, né di attese messianiche di bordighiana memoria,
 né d’aspettarsi “riposi vittoriosi” dopo questa tappa; che rimane però ineludibile.
Oggi come fù allora sarà solo l’inizio di una lunga serie di battaglie per invertire il corso che le forze del grande capitale mondiale vorrebbero imporre all’Italia come nel resto del Mondo.
Vorremmo qui solo, comunque, far presente che, affinché la sperabile vittoria contro Renzi ed i suoi padroni non sia una vittoria di Pirro (come lo fù quella al Referendum anti-privatizzazione dell’acqua del 2011) c’è l’assoluta necessità che i Comunisti mettano in campo, la propria strategia del “dopo” Referendum. E, nell’attuale quadro politico nazionale, questo lo può realmente proporre il nostro Partito Comunista. 

E per il Partito Comunista il “dopo” non può essere altro, in questo caso, il mettere in campo quelle lotte ed iniziative per affermare che la Costituzione Italiana deve trovare la sua autentica attuazione nel recuperarne quelle parti che, per trovare il consenso delle parti borghesi e clericali rappresentate nella Costituente degli anni 1946-48 furono abbandonate per trovare un per l’epoca buon, ma sempre tale, compromesso. Che poi le forze reazionarie si siano messe in moto fin dal 2 Gennaio 1948 per renderla inerte, questa è un’altra storia,anzi, è questa storia. E si deve aggiungervi la tematica ambientale, che all’epoca (ma non può più essere così oggi) non emergeva come una questione di importanza tale da meritarne il pieno riconoscimento ed inserimento costituzionale.

A partire dall’Art. 1, che per noi deve suonare come “
L’Italia è una Repubblica democratica” che deve essere “fondata sui Lavoratori“. 
Proseguendo questa minima pre-analisi (che non vuole essere esaustiva, ma solo una prima proposta indicazioni politiche che devono poi trovare veste giuridica), si può continuare con le richieste:
– dell’abolizione del 2° comma dell’Art. 7 (Patti Lateranensi);
– dell’inserimento, all’Art. 9, della necessità una effettiva e cogente difesa dell’ambiente da parte della Repubblica;
– di una riformulazione dell’Art. 11 che non ci renda schiavi, così come fino ad oggi l’ha interpretato la Corte Costituzionale, dei “diktat” degli organismi Internazionali (ad Es. l’U.E.);
– di una più rigorosa definizione, nel Titolo III°, delle tutele dei Lavoratori; vedi ad es. gli Art. 39 & 40, affinché i diritti di associazione sindacale e di sciopero siano resi effettivi e fruibili;
– dell’inserimento, nell’Art. 44, del concetto di difesa del territorio, rendendolo prevalente su quello di mero “razionale sfruttamento del suolo”:
– della previsione, nell’Art. 46, della possibilità di istituzione di “aziende del Popolo gestite dai Lavoratori”;
– di un ritorno alla stesura originaria dell’Art. 81.

Ma, soprattutto, il Partito Comunista deve assicurare ai lavoratori ed ai proletari, vecchi e nuovi (quelli che stanno proletarizzando i “padroni del vapore”), che sarà la forza che si batterà comunque e ovunque per il rispetto dei tanti principi fondamentali che restano largamente inattuati nella nostra Carta Fondamentale.
Questa è una premessa fondamentale per riportare, per quanto possibile, larghe masse del popolo e dei lavoratori italiani ad una battaglia per l’affermazione dei propri diritti e per la conquista del potere. 
Masse che l’azione di resa incondizionata alle esigenze del Capitale internazionale (mascherata da “esigenze oggettive”, che erano tali solo nell’ottica di riconsegna del potere ai padroni) messa ai campo dai liquidatori del Partito Comunista Italiano, da Ochetto a Bertinotti, ha reso apatiche, disilluse e pericolosa preda dei predoni politici alla Salvini o alla Le Pen. Senza questa “discesa in campo”, che solo un Partito Comunista riconosciuto come tale può credibilmente rappresentare e guidare, la partita è persa per la democrazia borghese.
Ma è persa, come insegna l’esperienza di tutte le sconfitte subìte dal movimento comunista ed operaio, anche per noi Comunisti e per i decenni a venire.

Saremo noi, che ci proponiamo di principiare il rilancio del Partito Comunista in Italia, all’altezza del compito che la storia ci ha posto? Vale a dire la riconquista della fiducia delle Masse proletarie e popolari nel progetto Socialista-Comunista e di rappresentarne conseguentemente il soggetto motore?
Per dirla con il Poeta Bertolt Brecht, ognuno di noi deve saper che: “Non” (puoi) “aspettarti altra risposta, oltre la tua”.

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