Nell’era dell’apparenza e della menzogna non ci stupisce la faccia tosta del Partito Democratico e del Movimento 5 stelle, che in questi giorni a Livorno si stanno accordando per spartirsi il titolo di paladino della storia dei comunisti d’Italia, una storia sulla quale hanno gettato fango e menzogne, da un lato rinnegandone le origini e tradendone i valori, dall’altro, con populismo e demagogia, equiparandoli a fascisti e nazisti.
È di questi giorni la notizia che la Fondazione DS, sorta contestualmente alla nascita del Partito Democratico per tutelare i beni di proprietà dei democratici di sinistra e quindi, ahinoi, anche l’eredità del PCI, ha deciso di donare al Comune di Livorno la storica bandiera rossa del 1921 che segnò la nascita del Partito Comunista d’Italia, dopo la scissione dai socialisti avvenuta al Teatro Goldoni. La bandiera di Gramsci e Bordiga, di Longo, Secchia e Barontini, dei pionieri della lotta di classe e della Terza Internazionale in Italia, della lotta al fascismo e dell’emancipazione delle masse operaie e contadine, era finita nella sezione cittadina del PD, danneggiata dall’acqua e, adesso, nobilmente restaurata dalla Fondazione DS di Ugo Sposetti. E il furbo luogotenente di Grillo nella città labronica, Filippo Nogarin, non si è lasciato sfuggire la ghiotta occasione di speculare su una storia che non gli appartiene per mera propaganda. Ci sorge spontaneo il dubbio che se lui o un altro attendente di campo a 5 stelle fosse sindaco di Predappio si farebbe promotore della storia del duce e del partito nazionale fascista con pari ardore e determinazione, continuando con più impudenza l’opera che i Democratici stanno conducendo sotto traccia, con ancora un briciolo di pudore.
Certo l’intento apparente sembrerebbe nobile: esporre la bandiera in un museo dedicato alla storia del Partito Comunista Italiano proprio nella città in cui questo nacque il 21 gennaio 1921. Questo è ciò che vorrebbero farci credere. In realtà, accanto all’operazione di marketing politico, ne possiamo riscontrare un’altra, più profonda di carattere culturale, ovvero continuare a revisionare la storia del comunismo italiano ed internazionale e neutralizzare la carica simbolica della bandiera rossa richiudendola nella teca di un museo: si rende omaggio ad una storia distorta e deformata del comunismo, “un comunismo che ha avuto dei meriti nel passato, che ha fallito e non è più attuale, moderno” un comunismo inoffensivo, da museo appunto. Un’operazione per di più condotta da chi quotidianamente tradisce i valori e gli ideali racchiusi in quella storia e rappresentati dalla bandiera rossa, la NOSTRA bandiera rossa.
Ironia della sorte, chi oggi può disporre del patrimonio storico e culturale dei comunisti italiani sta distruggendo, mattone dopo mattone, ciò per cui i comunisti hanno lottato e costruito: con il jobs act e la riforma Fornero sono stati dati gli ultimi colpi ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici; con i continui tagli alla spesa sociale si erodono i diritti fondamentali delle classi più deboli; con la “buona scuola” di Renzi si smantella definitivamente la scuola pubblica; con la malagiustizia si assiste ad un giro di vite nella repressione delle lotte sociali; con la riforma elettorale, l’italicum, e la riforma costituzionale si smaschera la vacuità della democrazia rappresentativa borghese, togliendo alle classi subalterne la possibilità di vedersi rappresentate in Parlamento. Tutto ciò non è certo arrivato come un fulmine a ciel sereno: decenni di subdole operazioni revisioniste e pseudoculturali hanno fatto credere non solo agli italiani ma anche a compagne e compagni sinceri che il pensiero unico aveva vinto, che la lotta di classe non aveva più senso perché lavoratori e padroni avevano gli stessi interessi, che bisognava stare sotto l’ombrello della Nato e dell’Unione Europea perché queste portano benessere e prosperità. I 5 stelle potranno continuare la loro farsa mediatica, i democratici potranno vestire i panni dell’erede legittimo, ma solo i comunisti oggi possono essere considerati gli eredi morali, culturali e politici dei valori e degli ideali di quella bandiera che si vuole chiudere in un museo per non farla sventolare più, perché quella bandiera, ancora oggi, rappresenta gli stessi valori per i quali sventolava quasi cento anni fa: pace e lavoro, l’unione di tutti i lavoratori e le lavoratrici del mondo nella lotta di classe contro lo sfruttamento capitalistico e contro l’imperialismo, la lotta per una società comunista nella quale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo sia concretamente abolito.
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