Intervento di Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista
Cari compagni,
Il Partito Comunista (Italia) saluta i delegati dei partiti fratelli presenti a questo incontro internazionale e ringrazia, in particolare, il Partito Comunista di Grecia – KKE per l’organizzazione di questo importante evento. Il tema in discussione è molto impegnativo e richiede uno sforzo analitico che non può certo esaurirsi in questa sede. Crediamo che i Partiti debbano approfondire in modo scientifico e sistematico l’analisi di ciò che è oggi la classe operaia e di quale sia la sua reale situazione nel capitalismo monopolistico. Troppo spesso se ne sente parlare in un modo astratto, puramente referenziale, che non tiene conto delle trasformazioni che la classe ha subito, non solo in termini quantitativi, ma anche dal punto di vista della coscienza di classe. Altre volte, soprattutto da parte opportunista, se ne sente parlare in modo liquidatorio, come di una specie in via di estinzione, a fronte del presunto emergere di “nuovi soggetti”, individuati in base al genere o all’orientamento sessuale, senza alcun approccio di classe.
L’analisi scientifica della realtà operaia richiede che venga affrontato, con uno sforzo di studio collettivo, il problema della difficoltà a quantificare le categorie marxiste utilizzando i dati ufficiali della contabilità nazionale e degli istituti di statistica, che utilizzano criteri non marxisti di classificazione ed elaborazione dati. Nonostante la sostituzione tecnologica e le delocalizzazioni all’estero della produzione, la classe operaia in Italia (quasi 9.000.000 di salariati ufficialmente censiti in tutti i tre macro-settori) rimane la classe sociale relativamente più consistente, costituendo quasi il 50% dei lavoratori dipendenti e, dal 2011, presenta una stabile tendenza alla crescita (+11,43% rispetto al 2011). La potenziale forza costituita dal numero è, tuttavia, compensata dalla bassa concentrazione, che rappresenta un serio fattore di debolezza. Solo il 22,06% della forza-lavoro è impiegato in aziende con più di 250 dipendenti, mentre il 45,35% è disperso in piccole e micro- imprese con meno di 10 dipendenti. Questo è, purtroppo, un grave fattore di debolezza. La dispersione rende i lavoratori più deboli nei confronti del padronato e più facilmente ricattabili, anche tenuto conto del fatto che, nelle aziende con meno di 15 dipendenti, viene meno la tutela giuridica dello Statuto dei Lavoratori. Inoltre, la bassa concentrazione della forza lavoro tende a sostituire il senso di appartenenza alla classe con il senso di appartenenza al territorio (come dimostrato dal voto popolare alla Lega Nord e da episodi di contrapposizione localistica tra lavoratori dello stesso settore o addirittura di stabilimenti diversi della stessa azienda). La frammentazione e la dispersione territoriale generano serie difficoltà nell’organizzazione dell’attività del Partito all’interno della classe operaia e nella costruzione di un combattivo sindacato di classe. Il nostro Partito, comunque, ritiene indispensabile costituire cellule comuniste innanzitutto nelle fabbriche, ma più generale, nei luoghi di lavoro, operando per la ricomposizione e il rafforzamento della coscienza di classe, per l’intensificazione della conflittualità e l’innalzamento del livello politico delle lotte.
Dal punto di vista retributivo, i salari hanno subito una sensibile riduzione, aggravata dalla crisi, ma dovuta sostanzialmente alla tendenza, endemica al capitalismo, alla compressione del salario. La debolezza politica e organizzativa della classe operaia e la collusione dei sindacati riformisti con il padronato spiegano la diminuzione, pari a 1,42% secondo i dati OCSE, addirittura dei salari nominali nel periodo 2005 – 2017. Più forte ancora è stata la diminuzione dei salari reali, la cui variazione annua si è costantemente mantenuta al di sotto del tasso d’inflazione reale, ad esclusione del periodo 2014 – 2016. Anche il salario relativo è diminuito nello stesso periodo, come dimostrano le nostre elaborazioni delle statistiche ufficiali. Infatti, il capitale ha risposto alla crisi incrementando la produttività, cioè lo sfruttamento della forza lavoro. Del valore aggiunto (categoria dell’economia borghese che più si avvicina a quella di plusvalore) prodotto dall’aumento di produttività si è appropriato quasi interamente il capitale. Infatti, nel periodo 2005 – 2017, la quota di valore aggiunto destinata ai salari ha subito una diminuzione pari a -4,44%, mentre quella destinata ai profitti è aumentata dell’8,36%. Possiamo dire, quindi, che si è accresciuto il divario sociale tra la classe operaia, che si è impoverita e i capitalisti, che si sono arricchiti nonostante la crisi. La crisi capitalistica, tuttavia, ha colpito in modo ancora più duro, in proporzione, ampi settori di piccola borghesia: i dati confermano una caduta verticale delle retribuzioni di impiegati, quadri e dirigenti, dei redditi di artigiani, piccoli imprenditori e di alcune categorie di liberi professionisti, confermando la previsione scientifica marxiana circa la proletarizzazione dei ceti medi. La devastazione sociale, creata dal capitalismo in decadenza, apre spazi immensi al lavoro dei Comunisti per l’aggregazione intorno alla classe operaia di un blocco sociale alternativo a quello oggi dominante, che si prefigga l’obbiettivo dell’abbattimento rivoluzionario degli attuali assetti del potere della borghesia e del modo di produzione capitalistico.
Il nostro Partito deve saper parlare anche agli strati popolari, non proletari o in via di proletarizzazione, vittime non solo della crisi capitalistica, ma anche della ristrutturazione e della “ripresina” capitalistica. Come avanguardia della classe operaia dobbiamo essere capaci di formulare linee politiche e proposte che siano in grado di organizzare e aggregare questi ceti, conquistandone il consenso, facendo loro capire l’universalità degli interessi della classe operaia, trasformandoli in suoi alleati nel processo rivoluzionario di abbattimento del capitalismo e di successiva costruzione del nuovo stato proletario e dell’economia socialista. In questo senso il nostro Partito contribuisce alla creazione di organizzazioni di massa, orientate in senso anticapitalistico, che possano raggruppare questi strati sociali, sottraendoli alla nefasta influenza della destra razzista, xenofoba e fascista.
Teniamo a precisare che parliamo qui delle alleanze sociali della classe operaia, mentre respingiamo con estrema fermezza qualsiasi ipotesi di alleanze politiche tra partiti, sia a fini elettorali, che – peggio ancora -, a sostegno di governi sedicenti di “sinistra”, ma pur sempre borghesi. Il movimento operaio italiano ha pagato duramente queste linee di collaborazione e compromesso con i partiti riformisti, di orientamento cristiano o socialdemocratico che fossero. L’eurocomunismo, che nella sua variante italica potremmo definire come “berlinguerismo”, una degenerazione revisionista e opportunista, basata su stravolgimenti e falsificazioni del pensiero di Gramsci, rinnegando il marxismo-leninismo, ha sancito lo snaturamento del PCI, portandolo prima all’aperto sostegno del governo borghese con l’unità nazionale degli anni ‘70, poi all’accettazione della NATO e della nascente CEE, alla rottura con il Movimento Comunista Internazionale e, infine, alla sua autodissoluzione. La fine ingloriosa di quello che era stato il più forte partito comunista del mondo capitalistico dovrebbe fare riflettere tutti, anche quei partiti che, nel nostro paese, hanno cercato di raccogliere formalmente l’eredità del PCI, senza la debita analisi critica e autocritica dei danni del compromesso eurocomunista con lo stato borghese. Anche nel loro caso, la partecipazione, interna ed esterna, ai governi borghesi e alle coalizioni di centro-sinistra, li ha resi complici dell’approvazione delle peggiori misure antipopolari, invisi alle masse e, infine, privati da anni del loro consenso e, quindi, della rappresentanza parlamentare. Là, dove l’eurocomunismo aveva attecchito, i pur forti partiti comunisti sono scomparsi o quasi. A risultati simili hanno portato i tentativi di altri partiti comunisti di creare coalizioni “di sinistra”, in nome di questo o quell’obiettivo contingente, o della “emergenza nazionale”. Crediamo che queste posizioni siano una manifestazione della teoria opportunista delle “tappe graduali”, intermedie tra il capitalismo e il socialismo e che, comunque, conducano alla sconfitta e alla scomparsa dei partiti proletari dalla scena politica.
Con altrettanta fermezza, sempre sulla base dell’esperienza storica, respingiamo le teorie del “socialismo di mercato”, ricordando come la parabola discendente che ha portato alla temporanea vittoria della controrivoluzione in URSS e nei paesi socialisti sia stata determinata dall’introduzione di elementi di capitalismo, che hanno restituito al mercato la funzione di regolatore dell’economia a scapito della pianificazione centralizzata. Parliamo della privatizzazione dei mezzi di produzione in agricoltura, ceduti dallo stato ai kolkhoz nel 1958, della concessione di autonomia a regioni e aziende, dell’introduzione del concetto di redditività (profitto) basato sullo scambio anziché sull’uso, del ripotenziamento dello scambio mercantile-monetario. Parliamo, in sostanza, delle riforme controrivoluzionarie, avviate da Khrusciov al XX° Congresso del PCUS e proseguite da Kosygin negli anni a venire. “A cosa ha portato questa inversione di tendenza?” -, dovrebbero chiedersi quei partiti che oggi guardano con favore il “socialismo di mercato”. Ha portato alla restaurazione del capitalismo, alla controrivoluzione, ad un peggioramento netto delle condizioni di vita delle masse lavoratrici.
Il Partito Comunista (Italia), basandosi sull’analisi delle esperienze negative di cui sopra, esclude con fermezza qualsiasi alleanza partitica, qualsiasi partecipazione a coalizioni elettorali di “sinistra”, qualsiasi sostegno a governi borghesi, comunque definiti e, mentre opera per sviluppare al massimo le alleanze sociali della classe operaia di cui è avanguardia, innalza orgoglioso la bandiera rossa con la falce e il martello, sotto la quale chiama a raccolta e alla lotta tutti i comunisti italiani, per l’abbattimento del capitalismo nel nostro paese, l’instaurazione della dittatura proletaria, la costruzione del socialismo-comunismo.
VIVA IL MOVIMENTO COMUNISTA INTERNAZIONALE!
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!