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Gli immortali insegnamenti di Lenin e il problema delle nazionalità
Cari amici e cari compagni,
oggi celebriamo una data che è nel cuore di tutti i comunisti e degli oppressi del mondo. Cento anni fa moriva V. I. Lenin. L’ideatore della forma partito a cui ci ispiriamo, dell’Internazionale Comunista, dell’URSS. Colui che ha sviluppato il marxismo in tutti i suoi aspetti: nell’ideologia, nella lotta di classe e nell’organizzazione, nella fase in cui il capitalismo assumeva la forma attuale di capitalismo monopolistico con la fusione del capitale bancario e industriale nel capitale finanziario.
Questa forma, ben lontana nei nostri paesi dalle forme progressive che aveva avuto ai suoi albori descritte da Marx ed Engels nel Manifesto del Partito comunista del 1848, oggi assume i più oscuri obiettivi che un gruppo di potere abbia mai svolto nella storia dell’umanità. Guerre, saccheggi, oppressione sono perpetrate ai danni di popoli interi e della stragrande maggioranza della popolazione di tutta la Terra solo a beneficio di gruppi di persone che governano un “pugno di grandi potenze” – come le definiva Lenin – che ora non vogliono dominare soltanto il mondo intero, non solo basano il loro profitto sulla disperazione di miliardi di esseri umani, ma stanno minacciando la sopravvivenza del genere umano e del Pianeta in cui viviamo.
Lenin vive ancora non solo nel ricordo di coloro che a lui si ispirano, ma soprattutto nei suoi immortali insegnamenti.
Questa data anche per il nostro partito è particolarmente importante. Collegandoci al 21 gennaio del 1921, data di fondazione dello storico PCd’I, che ruppe con l’opportunismo e diede al proletariato italiano il suo partito profondamente internazionalista, anche noi in Italia dieci anni fa, il 19 gennaio, abbiamo fondato il nostro Partito. Esso continua e continuerà a unirci e a essere il nostro strumento di organizzazione e militanza politica.
Siamo passati da tante vicissitudini, abbiamo cercato – aderendo al più importante insegnamento di Lenin di fare “l’analisi concreta della situazione concreta” – di adeguare la nostra azione ai compiti immani che si pongono ai comunisti in Italia. La situazione internazionale va cambiando con velocità inusitata e di conseguenza anche quella nazionale e pertanto anche noi abbiamo dovuto essere pronti a scelte rapide e spesso difficili. Ma ricordiamoci che l’unico modo di far finta di non sbagliare è quello di non fare niente, di restare immobili, mentre la storia ci travolge.
Osserviamo come il mondo oggi ha molti tratti in comune con quello precedente l’Ottobre. E quindi il nostro studio del marxismo e del leninismo non è e non dev’essere solo una ripetizione di frasi vuote e sconnesse dalla realtà, la recita di una litania senza senso.
Nei tanti e fruttuosi incontri internazionali che abbiamo sviluppato in questi ultimi anni, che tanto prestigio hanno portato al nostro partito, abbiamo sintetizzato la nostra esperienza, abbiamo offerto le nostre elaborazioni teoriche, lette, ascoltate e apprezzate da tanti compagni e partiti fratelli.
Per esempio, nell’ultimo Incontro dei Partiti Comunisti e Operai (Solidnet), svoltosi a Smirne, abbiamo sviluppato ampiamente il nostro punto di vista sull’imperialismo nella sua situazione attuale. Un lungo documento in cui si delinea la profonda attinenza agli insegnamenti leninisti della critica del mondo unipolare a guida USA, della speranza concreta che un mondo multipolare possa frenare i pericolosi venti di guerra che sta mettendo in opera che quel “pugno di predoni” che non si rassegna a perdere i propri privilegi. Abbiamo ospitato a Roma un importante incontro tra partiti fratelli europei e questa occasione si ripeterà a Budapest all’inizio del mese di marzo.
Oggi è mio desiderio analizzare un atro importante contributo che Lenin diede al marxismo e che riveste una particolare importanza alla luce dei rivolgimenti in cui il mondo di oggi è trascinato.
Sto parlando del problema delle nazionalità.
Si vedrà come quelle analisi, formulate oltre cento anni fa, non solo sono di una attualità sconvolgente, ma ci possono guidare nella tattica che dobbiamo attuare oggigiorno.
Il primo testo che vorrei prendere in considerazione è del 1914, “Sul diritto delle nazioni all’autodecisione” [Prosvestcenie, n.4-5-6, 1914].
Lenin inizia dandoci subito le coordinate entro cui muoverci, un cardine del materialismo storico:
«Per analizzare una questione sociale qualsiasi, la teoria marxista esige assolutamente che essa sia posta in un quadro storico determinato e, in seguito, se si tratta di un solo paese (per esempio del programma nazionale relativo ad un paese dato), che si tenga conto delle particolarità concrete che differenziano questo paese dagli altri nello stesso periodo storico.»
Lenin ci dice:
«La borghesia, che interviene naturalmente come egemone (dirigente) all’inizio di ogni movimento nazionale, chiama azione pratica l’appoggio a tutte le aspirazioni nazionali. Ma nella questione nazionale (come del resto in tutte le altre questioni), la politica del proletariato appoggia la borghesia solo in una direzione determinata, senza mai coincidere con la politica della borghesia. La classe operaia sostiene la borghesia solamente nell’interesse della pace nazionale (che la borghesia non può dare pienamente e che è realizzabile solo con la democratizzazione completa), nell’interesse dell’eguaglianza dei diritti e per assicurare delle condizioni migliori per la lotta di classe. Ecco perchè, nella questione nazionale, al praticismo della borghesia i proletari contrappongono la politica dei principi e sostengono sempre la borghesia soltanto condizionatamente. Nella questione nazionale, ogni borghesia cerca o dei privilegi o dei vantaggi esclusivi per la propria nazione; ciò si chiama “pratico”. Il proletariato è contro ogni privilegio, contro ogni esclusivismo. Esigere da esso del “praticismo”, significa lasciarsi guidare dalla borghesia, significa cadere nell’opportunismo.
Quindi la prima cosa che impariamo da Lenin è quali sono le condizioni per potersi alleare su questioni specifiche – come in questo caso, quella delle aspirazioni all’indipendenza – con settori della borghesia. Mai la rinuncia ai principi del proletariato, ma sostegno condizionato al raggiungimento di obiettivi specifici. Questo è il discrimine con l’opportunismo.
«In quanto la borghesia della nazione oppressa lotta contro quella della nazione che opprime, noi siamo sempre, in tutti casi, più risolutamente di ogni altro, in favore di questa lotta, perchè noi siamo i nemici più implacabili, più coerenti dell’oppressione. In quanto la borghesia della nazione oppressa difende il proprio nazionalismo borghese, noi siamo contro di essa. Lotta contro i privilegi e le violenze della nazione che opprime; nessuna tolleranza per l’aspirazione della nazione oppressa a conquistare dei privilegi.
Ecco quindi che in questo quadro in cui si delineano le nazioni oppresse da quelle che opprimono e i differenti rapporti che il proletariato di quelle nazioni deve assumere rispetto alle rispettive borghesie. Ciò portò nel 1920 al II Congresso dell’Internazionale comunista a modificare la parola d’ordine della Prima. “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” con “Proletari di tutti i paesi e popoli oppressi, unitevi!”
Possiamo ancora una volta riconoscere questa parola d’ordine nell’appoggio che il nostro partito insieme alla stragrande maggioranza del movimento comunista internazionale dà al multilateralismo.
«In tutti i casi l’operaio salariato rimarrà un oggetto di sfruttamento, e per lottare con successo contro questo sfruttamento, il proletariato dev’essere esente dal nazionalismo; i proletari debbono essere, per così dire, completamente neutrali nella lotta della borghesia delle diverse nazioni per la supremazia. Il minimo appoggio dato dal proletariato di una qualsiasi nazione ai privilegi della “sua” borghesia nazionale susciterà inevitabilmente la sfiducia del proletariato dell’altra nazione, indebolirà la solidarietà internazionale di classe degli operai, li dividerà con gran diletto della borghesia. Negare il diritto all’autodecisione o alla separazione, significa inevitabilmente, in pratica, sostenere i privilegi della nazione dominante.
Che la questione nazionale sia subordinata alla “questione operaia”, è cosa indiscutibile per Marx. Ma la sua teoria è lontana come il cielo dalla terra dall’ignorare i movimenti nazionali.
La deduzione che si trae da tutte queste osservazioni critiche di Marx è chiara: la classe operaia può, meno di qualsiasi altra, farsi un feticcio della questione nazionale. Ma, dal momento che sono sorti dei movimenti nazionali di massa, infischiarsi di essi, rifiutare di appoggiare quanto vi è in essi di progressivo, significa, in realtà, cedere a pregiudizi nazionalistici.
Abbiamo quindi una guida su un’altra questione fondamentale. Quale dev’essere il rapporto tra l’organizzazione politica del proletariato, ossia il partito comunista, e i movimenti di massa.
Il servizievole Trotski è più pericoloso di un nemico! Trotski presenta i “marxisti polacchi” come gente senza onore e senza coscienza, che non sa nemmeno rispettare le proprie convinzioni e il programma del proprio partito. Il servizievole Trotski! Finora, Trotski non ha mai avuto opinioni ferme su nessuna questione importante del marxismo egli “si insinuava sempre attraverso la fessura” aperta da questo o quel dissenso, passando da un campo all’altro.
Il secondo testo che prendo in considerazione è Il proletariato rivoluzionario e il diritto di autodecisione delle nazioni dell’anno dopo (ottobre 1915)
Lenin ci dice:
Il proletariato non può vincere se non attraverso la democrazia, cioè realizzando completamente la democrazia e presentando, ad ogni passo della sua lotta, rivendicazioni democratiche nella formulazione più recisa. È assurdo contrapporre la rivoluzione socialista e la lotta rivoluzionaria contro il capitalismo ad una delle questioni della democrazia, nel nostro caso alla questione nazionale. Dobbiamo unire la lotta rivoluzionaria contro il capitalismo al programma rivoluzionario e alla tattica rivoluzionaria per tutte le rivendicazioni democratiche. Finché esiste il capitalismo, tutte queste rivendicazioni sono realizzabili soltanto in via d’eccezione e sempre in forma incompleta, snaturata.
Quindi le battaglie per la difesa dei diritti democratici, dei diritti dei lavoratori, dei diritti sociali vanno perseguite nel modo più coerente. Mostrando ai lavoratori come il recinto del diritto e della legalità borghese non può mai far ottenere una democrazia completa e reale.
Certo, oggi il sistema di controllo sociale della borghesia nei nostri paesi si è fatto più sottile e penetrante di cento anni fa. Oggi vi sono importanti battaglie sui diritti civili che sono state sussunte dalla borghesia e anzi vengono usate come arma di distrazione di massa contro l’unità del proletariato. Pensiamo alla sacrosanta lotta delle donne lavoratrici che ha caratterizzato il movimento operaio fin dalla sua nascita. Vediamo come essa oggi viene distorta e usata diabolicamente contro le stesse donne, trasformandola da uno dei tasselli fondamentali della lotta di classe che unisce lavoratori e lavoratrici, in un grimaldello per contrapporre gli uni alle altre, perfino dentro le stesse famiglie, dentro gli stessi affetti. E così assistiamo a un imbarbarimento e svuotamento generale del contenuto di classe anticapitalistico di battaglie storiche, come i diritti delle minoranze, le lotte per la salute ambientale e sul lavoro. Dobbiamo essere in grado di smascherare puntualmente questi camuffamenti della borghesia.
Appoggiandoci alla democrazia già attuata, rivelando che essa è incompleta in regime capitalista, noi rivendichiamo l’abbattimento del capitalismo, l’espropriazione della borghesia, come base indispensabile per l’eliminazione della miseria delle masse e per l’introduzione completa e generale di tutte le trasformazioni democratiche.
È … assolutamente inconcepibile che il proletariato, come classe storica, possa vincere la borghesia se a questo non si sarà preparato attraverso l’educazione nello spirito del democratismo più coerente e più decisamente rivoluzionario.
Quindi anche la battaglia per la difesa della Costituzione, che noi sappiamo essere stata un punto di compromesso tra varie forze, deve essere perseguita senza tentennamenti.
Qui si pone un altro problema molto grave che è quello per cui nelle nostre battaglie ci possiamo trovare come “compagni di processione” certi nostri nemici che si mascherano da democratici e, grazie anche alla loro potenza mediatica, prendono la testa di certi movimenti. Mi riferisco esplicitamente all’antifascismo da operetta, a giorni alterni, dei due pesi e due misure, che il partito più atlantista, europeista, sionista, filopadronale che c’è in Italia – mi riferisco ovviamente al PD – mette in campo per mettere in scena il teatrino in favore di telecamera nel tentativo di riprendere l’egemonia sul movimento democratico.
Ma anche in questo ci soccorre Lenin nello stesso scritto.
L’imperialismo è l’oppressione sempre maggiore dei popoli del mondo da parte di un pugno di grandi potenze, è un periodo di guerre tra queste potenze per l’estensione e il consolidamento dell’oppressione delle nazioni, è un periodo di inganno delle masse popolari da parte dei socialpatrioti ipocriti, di coloro i quali – col pretesto della “libertà dei popoli”, del “diritto delle nazioni all’autodeterminazione” e della “difesa della patria” – giustificano e difendono l’oppressione della maggioranza dei popoli del mondo da parte delle grandi potenze.
È quindi vecchia la storia dell’ipocrisia dei traditori che si ammantano di parole accattivanti per condurre il proletariato al disastro. Qui Lenin scrive già nel secondo anno di guerra del colossale massacro di proletari che fu la Prima Guerra mondiale. Quando i “patrioti” che difendevano la propria borghesia consentirono che l’Europa precipitasse nell’immane fornace e la Seconda Internazionale naufragò definitivamente in seguito all’incapacità di comprendere fino in fondo il marxismo.
E i socialdemocratici delle nazioni oppresse debbono considerare come fatto di primaria importanza l’unità e la fusione degli operai dei popoli oppressi con gli operai delle nazioni dominanti, poiché altrimenti questi socialdemocratici diverranno involontariamente degli alleati dell’una o dell’altra borghesia nazionale, che tradisce sempre gli interessi del popolo e della democrazia che è sempre pronta, a sua volta, ad annettere e ad opprimere altre nazioni.
Il terzo testo di Lenin che prendo in considerazione è La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, del gennaio-febbraio 1916
L’imperialismo è lo stadio più alto di sviluppo del capitalismo.
L’imperialismo costringe le masse a questa lotta acuendo enormemente gli antagonismi di classe, peggiorando le condizioni delle masse sia sul piano economico – trust e caro vita – sia sul piano politico – crescita del militarismo, guerre frequenti, aumento della reazione, rafforzamento e estensione dell’oppressione nazionale e del saccheggio coloniale.
La rivoluzione socialista non è un atto unico, non è una battaglia unica su un unico fronte; ma tutta un’epoca di intensi conflitti di classe, una lunga serie di battaglie su tutti i fronti, cioè di battaglie attorno a tutti i problemi dell’economia e della politica, che possono culminare solo nell’espropriazione della borghesia.
Sarebbe un errore fondamentale supporre che la lotta per la democrazia possa distogliere il proletariato dalla rivoluzione socialista, oscurarla, metterla in ombra, ecc. Al contrario, proprio come il socialismo non può vincere se non introduce la democrazia completa, così il proletariato non potrà prepararsi alla vittoria sulla borghesia se non intraprenderà una lotta multilaterale, coerente e rivoluzionaria per la democrazia.
A differenza dei democratici piccolo-borghesi, Marx considerava tutte le rivendicazioni democratiche senza eccezione non come un’espressione assoluta, ma come un’espressione storica della lotta delle masse popolari, guidate dalla borghesia, contro il feudalesimo. Non esiste una sola rivendicazione democratica che non possa servire e non sia servita, in determinate condizioni, come strumento della borghesia per ingannare i lavoratori. In pratica, il proletariato potrà conservare la propria indipendenza solo se subordinerà la sua lotta per tutte le rivendicazioni democratiche, non esclusa quella della repubblica, alla lotta rivoluzionaria per il rovesciamento della borghesia.
Il quarto testo è La discussione sull’autodeterminazione in sintesi del luglio 1916.
(1) che gli interessi della liberazione di un certo numero di nazioni grandi e molto grandi in Europa sono più importanti degli interessi del movimento per la liberazione delle nazioni piccole; (2) che la domanda di democrazia non deve essere considerata isolatamente ma su scala europea – oggi dovremmo dire mondiale.
nessuna nazione può essere libera se opprime altre nazioni.
Le molteplici rivendicazioni della democrazia, inclusa l’autodeterminazione, non sono un assoluto, ma solo una piccola parte del movimento democratico generale (ora: socialista generale) mondiale. È possibile che il movimento repubblicano in un paese sia semplicemente uno strumento degli intrighi clericali o monarchici finanziari di altri paesi; se è così, non dobbiamo sostenere questo movimento particolare e concreto, ma sarebbe ridicolo cancellare per questi motivi la rivendicazione della repubblica dal programma della socialdemocrazia internazionale.
Ecco quindi un’altra lezione fondamentale che ci impartisce Lenin: ogni situazione va valutata nel “bilancio generale” (come poi si esprimerà Stalin) nel complesso della lotta internazionale contro l’imperialismo. Quella lotta aiuta il movimento di liberazione di popoli oppresi o l’ostacola?
Il sistema attuale è costituito da una manciata di “Grandi” Potenze imperialiste (cinque o sei in numero), ciascuna delle quali opprime altre nazioni: e questa oppressione è una fonte per ritardare artificialmente il crollo del capitalismo e sostenere artificialmente l’opportunismo e il socialsciovinismo nel sistema imperialista di nazioni che dominano il mondo.
L’idea che la parola d’ordine della rivoluzione socialista possa essere “messa in ombra” collegandola ad una posizione coerentemente rivoluzionaria su tutte le questioni, compresa la questione nazionale, è certamente profondamente antimarxista.
Un cambiamento riformista è quello che lascia intatte le basi del potere della classe dominante ed è semplicemente una concessione che lascia intatto il suo potere. Un cambiamento rivoluzionario mina le basi del potere.
Per essere un socialdemocratico internazionalista non bisogna pensare soltanto alla propria nazione, ma anteporre ad essa gli interessi di tutte le nazioni, la loro comune libertà e uguaglianza.
Qui viene ora una riflessione generale di estrema attualità.
Immaginare che la rivoluzione sociale sia concepibile senza rivolte delle piccole nazioni nelle colonie e in Europa, senza esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia con tutti i suoi pregiudizi, senza un movimento delle masse proletarie e semiproletarie politicamente incoscienti contro oppressione da parte dei proprietari terrieri, della Chiesa e della monarchia, contro l’oppressione nazionale, ecc.: immaginare tutto questo significa ripudiare la rivoluzione sociale.
Chi si aspetta una rivoluzione sociale “pura” non vivrà mai abbastanza per vederla. Una persona del genere aderisce formalmente alla rivoluzione senza capire cosa sia la rivoluzione.
La rivoluzione russa del 1905 fu una rivoluzione democratico-borghese. Consisteva in una serie di battaglie alle quali partecipavano tutte le classi, i gruppi e gli elementi scontenti della popolazione. Tra questi c’erano masse imbevute dei pregiudizi più grossolani, degli scopi di lotta più vaghi e fantasiosi; c’erano piccoli gruppi che accettavano il denaro giapponese, c’erano speculatori e avventurieri, ecc. Ma oggettivamente il movimento di massa rompeva il giogo dello zarismo e apriva la strada alla democrazia; per questo motivo la guidarono gli operai coscienti.
La rivoluzione socialista in Europa non può essere altro che lo scoppio della lotta di massa da parte di tutti gli elementi oppressi e scontenti. Inevitabilmente vi parteciperanno settori della piccola borghesia e degli operai arretrati – senza tale partecipazione la lotta di massa è impossibile, senza di essa non è possibile alcuna rivoluzione – e altrettanto inevitabilmente porteranno nel movimento i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze hanno fatto scivolare gli errori. Ma oggettivamente attaccheranno il capitale, e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva di una lotta di massa variegata e discordante, eterogenea ed esteriormente frammentata, sarà in grado di unirla e dirigerla, di conquistare il potere, sequestrare le banche, espropriare i trust che tutti odiano (anche se per ragioni difficili!), e introdurre altre misure dittatoriali che nel loro insieme equivarranno al rovesciamento della borghesia e alla vittoria del socialismo, che però non porterà in alcun modo “purgarsi” immediatamente dalle scorie piccolo-borghesi.
Saremmo dei pessimi rivoluzionari se, nella grande guerra di liberazione del proletariato per il socialismo, non sapessimo utilizzare ogni movimento popolare contro ogni disastro provocato dall’imperialismo per intensificare ed estendere la crisi.
Non importa quali possano essere le “buone” intenzioni soggettive di Trotsky e Martov, la loro evasività sostiene oggettivamente il socialimperialismo russo.
Come possiamo fare tesoro di queste preziose parole nell’azione concerta che stiamo perseguendo?
Il nostro partito, dal suo IV Congresso nazionale è entrato e si fa parte dirigente in un movimento di massa che – pur con le sue contraddizioni – esprime quello che di meglio la nostra nazione riesce a esprimere da decenni. Un movimento certo eterogeneo nell’ideologia, ma coeso al massimo possibile nell’azione politica, con parole d’ordine nelle quali il nostro partito si riconosce interamente. Un movimento che, contrariamente a tutte le altre esperienze dapprima portate avanti, ha nella contrapposizione frontale alla NATO, all’Unione Europea, alle politiche antipopolari di privatizzazioni e di distruzione dei diritti e del tenore di vita dei lavoratori la propria caratterizzazione. Lavoratori interpretati, come ci insegna Lenin, nella sua accezione più vasta, ossia – diciamo noi – “chi vive del proprio lavoro”. Questo è indispensabile per unire un fronte sociale che unisca tutti gli oppressi: lavoratori dipendenti pubblici e privati e autonomi, donne, giovani, anziani, italiani e stranieri, minoranze schiacciate e vilipese dal potere dei gruppi dominanti di questa società.
Abbiamo individuato gli elementi coagulanti di questo movimento
nella difesa dei diritti personali e sociali di chi coscientemente rifiuta i diktat di un sistema sostenuto da un potere mediatico sempre più piegato alla propaganda di regime
nei pericoli di guerra, fomentati dall’imperialismo a guida statunitense, che si articola nell’accensione di micidiali e sanguinosissimi focolai in diversi teatri: dall’Ucraina, alla Palestina, dall’Oceano Pacifico al Sudamerica. Ci sia consentito in questa sede di inviare un messaggio fraterno di solidarietà ai popoli dell’Africa che si stanno liberando del giogo del neocolonialismo, alla Repubblica Popolare Cinese, alla Repubblica Democratica Popolare di Corea, alla lotta eroica del popolo martoriato della Palestina, al popolo del Venezuela e alla gloriosa resistenza del popolo cubano contro l’infame bloqueo. Tutte queste resistenze, che si stanno unificando nella visione multipolare, non sarebbero possibili se esse non fossero guidate da dirigenze (per la maggior parte espresse da partiti marxisti-leninisti) che incarnano i più radicati sentimenti dei propri popoli.
nel cannibalismo del capitalismo monopolistico che sta desertificando il nostro Continente, relegando perfino i subimperialismi europei, contro i quali comunque noi lottiamo indefessamente, in una posizione sempre più subordinata agli interessi d’oltre Oceano. Che sta “proletarizzando” vasti strati sociali che fino al passato godevano ancora di un certo benessere relativo.
nella lotta per la difesa dello stato sociale – o di ciò che ne resta – costruito coi sacrifici delle generazioni precedenti e baluardo contro l’avidità dei predoni privati e scudo vitale per tutte le classi oppresse
nella lotta per la difesa della democrazia – o di ciò che ne resta – quella vera, per quanto incompleta, della Costituzione antifascista. Rifuggiamo dal ribellismo che non conosce quali siano i percorsi di aggregazione delle forze rivoluzionarie. Rifuggiamo dalla logica del “tanto peggio, tanto meglio” che non è mai stata vera. Rifuggiamo dallo sterile astensionismo, che maschera spesso solo l’irrilevanza politica di chi lo pratica.
I comunisti hanno vinto solo quando si sono messi dentro i larghi movimenti di massa, “nuotando tra le masse come il pesce nel lago”, come ci ha insegnato il Presidente Mao. Quando hanno saputo guadagnare tra di esse il riconoscimento della propria capacità di interpretare la realtà e dirigere con la propria capacità, esperienza e perseveranza quei movimenti, sapendone guadagnare l’egemonia, come ci ha insegnato il nostro Antonio Gramsci.
Egemonia è il contrario di direzione burocratica, scaturisce dalla costante azione politica dentro il movimento sociale. Va guadagnata e non pretesa. Va riconosciuta spontaneamente dalle masse.
La forza e la coesione organizzativa del nostro partito deve essere in grado di svolgere questo compito enorme, a vederlo tutto insieme, ma ogni lunga marcia comincia con un primo passo.
La rivoluzione non va attesa, va preparata.
La rivoluzione avviene quando quelli che stanno sopra non possono più comandare come prima e quelli che stanno sotto non vogliono più essere comandati come prima.
Prepariamoci per questo compito storico ed esaltante.
Viva il pensiero di Lenin, fonte di ispirazione immortale per i comunisti e i popoli oppressi.