La fine di miti e illusioni

La fine di miti e illusioni

Per affrontare il presente e preparare il domani 

Siamo nel mezzo della pandemia del nuovo coronavirus che minaccia il nostro popolo, i popoli di tutto il mondo. Il nostro Partito affronta con alto senso di responsabilità questa nuova vicenda per il nostro popolo. Fin dal primo momento, abbiamo sospeso tutte le nostre iniziative pubbliche, adattato il funzionamento e l’azione delle organizzazioni del Partito nel quadro di prevenzione e protezione della salute pubblica. Allo stesso tempo, abbiamo richiesto che fossero prese immediatamente tutte le misure necessarie per proteggere la salute del popolo ed i diritti dei lavoratori. 

Il contenuto dell’intervento del nostro Partito in queste difficili condizioni è adeguatamente illustrato dallo slogan: 

“Rimaniamo forti, non rimaniamo in silenzio” 

Proteggiamo noi stessi, la nostra famiglia, i nostri compagni e amici, i nostri colleghi. 

Non rimaniamo in silenzio di fronte alle carenze del sistema sanitario pubblico. Evidenziamo e rivendichiamo tutto ciò che avrebbe dovuto esser fatto per contrastare la pandemia. 

Stiamo evidenziando in particolare la necessità di assunzione di migliaia di operatori sanitari, la requisizione immediata del settore sanitario privato, per la protezione di coloro che soffrono nei luoghi di lavoro per produrre il necessario per la sopravvivenza del popolo, nonché la protezione dei lavoratori della sanità che stanno combattendo una battaglia titanica con spirito di sacrificio negli ospedali, in tutti i luoghi della sanità, per proteggere la nostra salute e la nostra vita. 

RIMANIAMO FORTI, non ammainiamo la bandiera della resistenza, della rivendicazione, della solidarietà nei luoghi di lavoro e nei quartieri, tenendo sicuramente conto delle misure di protezione e delle circostanze speciali. 

Non restiamo silenziosi di fronte all’arbitrarietà padronale ed alla politica del governo, che cerca di caricare anche questa crisi sulle spalle dei lavoratori. 

Rompiamo il silenzio che, governo e grande padronato, vogliono imporre in nome del “tutti insieme superiamo anche questa crisi”, un riflesso dell’etica ipocrita borghese. Molto semplicemente perché non possiamo “tutti insieme” assumere operatori sanitari, requisire il settore privato, adottare misure preventive e protettive, fornendo tutti i mezzi e gli strumenti necessari alla protezione dei lavoratori. Tutto questo, nei limiti di questo sistema, deve essere fatto dallo Stato che dirige insieme alla classe che ha il reale potere e la proprietà. 

E questo fino a quando la classe operaia, gli strati popolari, “tutti insieme” e uniti, li toglieranno di mezzo definitivamente e irrevocabilmente per costruire una società in cui i beni sociali saranno prioritari, in contraddizione con il profitto capitalistico che porta alla morte i nostri simili. 

RIVENDICHIAMO MISURE di sostegno per i lavoratori dipendenti e per i lavoratori autonomi che sono stati colpiti dalle misure restrittive imposte. 

Pretendiamo la cancellazione dei circa 40.000 licenziamenti e le dannose modifiche precedenti. 

Non legittimiamo le misure che si stanno adottando in risposta all’epidemia, ma con l’obiettivo di una loro stabilizzazione, come quelli riguardanti l’ulteriore “flessibilizzazione” del lavoro. 

NON NEGHIAMO LA RESPONSABILITA’ INDIVIDUALE. Ma questa si consolida quando uno stato si assume la sua responsabilità primaria. 

La strategia comunicativa di N.D. (Nuova Democrazia, il partito la governo– N.d.T.) di condurre tutto sulla “responsabilità individuale” è subdola, proprio perché nasconde la grande verità al popolo. 

Mira a nascondere le enormi mancanze del sistema sanitario pubblico per le cui carenze è responsabile la politica generale dell’Unione Europea, accettata e approvata da tutti i governi greci. Nonché dalla politica di declassamento, della mercificazione e dei tagli seguita nel tempo da tutti i governi, prima quelli di ND-PASOK e poi SYRIZA. 

Ma non è stata la stessa politica comunicativa di “responsabilità individuale” che ha seguito anche il governo SYRIZA quando attribuiva alle responsabilità individuali le grandi tragedie di Mandra e Mati? (tragedie di frane e incendi con centinaia di vittima tra la popolazione N.d.T). 

L’ipocrisia dell’attuale governo si dimostra anche sulla questione delle necessarie misure restrittive, perché queste misure si fermano fuori dai cancelli dei luoghi di lavoro, degli ospedali, dei supermercati, delle fabbriche dove i lavoratori si affollano senza le necessarie misure precauzionali. 

E tutto questo, mentre esiste l’esempio della vicina Italia, dove si denuncia, come la diffusione del virus è in grande parte dovuta al fatto che, sotto la responsabilità degli industriali e del governo, la grande zona industriale del Nord non ha interrotto le sue attività, diventando il focolaio principale della diffusione virale. 

Per tutto questo sopraddetto, “facciamo i conti” da ora, sia col governo di N.D., sia con la sfrenatezza del grande capitale. Non lo lasceremo per il dopo, in nome delle condizioni speciali che impongono oggi una spuriaconcordia” come sostengono SYRYZA e gli altri partiti borghesi, chiedendo sostanzialmente al popolo pieno disarmo e sottomissione. E ciò riguarda il pensiero, la coscienza, la chiara ottica di classe. 

Riguarda anche la prassi, l’atteggiamento di lotta nella vita quotidiana, in modo che nessuno e nessuna persona si senta solo/sola in queste difficili condizioni. 

La nostra concordia, la concordia della classe operaia e del popolo sofferente, è quella che si costruisce quotidianamente, con pazienza e perseveranza, con fermezza, frontalmente e contro le politiche della UE, del grande capitale e dei suoi governi che mettono a rischio la vita del popolo e dei suoi figli. 

In particolare, l’opposizione dei partiti, come quella di SYRIZA rimarrà nella storia come l’opposizione che “ una mano” in ogni passo pericoloso che in definitiva colpisce gli interessi del popolo greco. 

Dalle relazioni pericolose con gli USA e la NATO, alle relazioni greco-turche fino all’affronto dell’aggressività imperialista che si sviluppa insieme e al fianco delle provocazioni e dell’aggressività turca, fino alla gestione del dramma dei profughi/migranti e la gestione della stessa pandemia, SYRIZA, a causa della sua strategia di condivisione e accordo, dà una mano al governo di N.D., su tutte le questioni fondamentali per la vita del popolo. Tutto questo, insieme al la liquidazione del sistema sanitario pubblico fino ai grandi ospedali arrivati alla situazione limite senza aspettare l’esplosione della pandemia, porta anche il suo marchio: il precedente governo di ND ha chiuso gli ospedali, SYRIZA li ha lasciati chiusi. 

Il partito di ND stava riducendo i fondi per la salute e SYRIZA li ha ridotti ulteriormente. 

Nessuno di loro ha fatto le necessarie assunzioni di personale medico e sanitario. 

Insieme favoleggiavano dicendo al popolo che il settore privato avrebbe potuto contribuire al “potenziamento” del settore della sanità pubblica. 

Se un mito sta crollando nei giorni della pandemia del coronavirus è il mito della coesistenza armoniosa del settore pubblico con il settore privato nel contribuire ad affrontare la situazione, poiché questo mito viene sbugiardato dalla corsa ai profitti dei centri sanitari privati tramite i test virali. Test disponibili per quelli che possono pagare ma che sottraggono dalla pianificazione statale risorse preziose aumentando nel contempo il rischio di ulteriore diffusione del virus. 

Questo mito è anche screditato dal fatto che lo stato dipenda per le forniture di importanti materiali e medicinali dalla “guerra” condotta sul mercato mondiale da parte delle grandi compagnie che hanno trovato l’opportunità di fare affari d’oro. 

Si sta dimostrando in modo drammatico la necessità di un sistema sanitario esclusivamente pubblico e gratuito accompagnato dall’abolizione dell’azione imprenditoriale. 

Anche ora che tutti gli occhi sono puntati sul sistema sanitario pubblico, le assunzioni di personale sanitario annunciate dal governo sono insufficienti a soddisfare anche i bisogni di base in periodi normali e tanto meno in condizioni di emergenza pandemica. 

Le condizioni odierne impongono di: 

  • Procedere immediatamente con la requisizione delle unità sanitarie private ed il loro inserimento nella pianificazione statale centrale. 
  • Fornire gli ospedali di tutti gli strumenti necessari richiesti dagli stessi operatori sanitari che conoscono meglio di chiunque altro le reali necessità e bisogni, ora e subito. 
  • L’apertura di tutte le Unità di Terapia Intensiva. 
  • L’assunzione di tutto il personale sanitario necessario. 

Né il governo, né SYRIZA osano proporre la reale e immediata requisizione del settore privato. 

IL SECONDO MITO CHE STA CROLLANDO è quello riguardante il “ritorno alla normalità” ed ai tassi di alta crescita. 

Tutto ciò ora si trasforma nell’ammissione del fatto che l’economia greca sta entrando in una profonda recessione. 

Questa era stata ovviamente preceduta dal rallentamento dell’economia nell’UE ed in altre importanti economie capitaliste aumentando il rischio di una nuova crisi economica capitalistica. 

Naturalmente, l’attuale pandemia non è la sua causa principale ma ne è solo il suo catalizzatore. È un dato di fatto che l’economia greca sarà colpita grazie anche alla “monocoltura” del turismo, facendo fare una pessima figura a coloro che sbandierano l’estroversione dell’economia greca. 

Le misure adottate dalla UE e dai governi dei suoi stati-membri, che perseguono misure protezionistiche, chiudono le frontiere, finanziano i propri gruppi monopolistici, non fermeranno questo processo. 

Questo intervento di tipo keynesiano, così come il tanto pubblicizzato alleggerimento della morsa fiscale per sostenere l’economia capitalista dobbiamo saperlo verranno pagati ancora una volta dai lavoratori che saranno chiamati a colmare le nuove lacune della finanza pubblica ed i nuovi prestiti. 

La famosa “solidarietà europea” è sentita come una barzelletta anche tra i circoli filo-borghesi del paese. Specialmente dopo che nell’Unione Europea di “libera circolazione delle merci” la Germania e la Francia hanno addirittura vietato l’esportazione del materiale sanitario necessario in altri paesi. 

Si dimostra in questo modo, e persino in tempi tragici per i popoli d’Europa, che l’UE non è l’unione dei popoli, ma “un’alleanza di lupi” ed una “tana dei leoni”, un’unione imperialista di stati, evidenziando la necessità, non solamente di una posizione più dura nei suoi confronti – come sostengono vari partiti borghesi quando sono all’opposizione – ma di una scelta politica e strategica che indirizzi allo svincolamento da essa, con la classe operaia, il popolo di ogni paese detentore del potere e della proprietà (dei mezzi di produzione N.d.T.). 

Soprattutto, la pandemia mette sempre più in luce i limiti del sistema capitalista. 

Si dimostra che i bisogni contemporanei, i beni sociali, come quello della salute non possono essere lasciati alla mercé dei mercati e dei profitti. 

Questo marciume non può essere nascosto da definizioni aggressive che alcuni danno al sistema capitalista, comeil capitalismo neoliberista”, “il capitalismo estremo” e così via solamente, in ultima analisi, per nascondere il fatto che sostengono, anima e corpo, lo stesso sistema capitalista. 

Situazioni oltraggiose, con i medici costretti a scegliere chi vivrà e chi morirà, esistono sia in paesi con governi neoliberisti” come in Italia, ma anche in paesi come la Spagna dove le finte “alleanze progressiste” stanno governando. 

Oggi il capitalismo stesso è in bancarotta, la stessa economia di mercato in tutte le sue versioni annulla ogni possibilità per la classe operaia, per il popolo di godere i benefici di alto livello in materia di salute in linea con l’evoluzione della scienza e della tecnologia, proprio perché ha come criterio principale il profitto capitalista. 

Anche in condizioni di pandemia, tutto è soggetto alla redditività del capitale. Ecco perché gli operai delle industrie del Nord Italia hanno lavorato nonostante i divieti, senza misure di protezione con i noti effetti tragici. Ecco perché sta aumentando la concorrenza tra i monopoli internazionali su chi brevetterà il nuovo vaccino, in un momento in cui dovrebbero esserci cooperazione e sforzi comuni dei migliori tra scienziati e centri di ricerca di tutto il mondo. 

Ecco perché, anche adesso, la grande impresa sta distruggendo qualsiasi diritto del lavoro rimasto, sta provando nuove forme di sfruttamento come il telelavoro e mette in atto licenziamenti di massa. 

Di fronte al marciume del capitalismo in bancarotta, emerge la superiorità del socialismo che ha assicurato la salute, la cura per tutti. E stiamo parlando del secolo scorso e dei paesi che hanno iniziato la costruzione del Socialismo in condizioni di grande ritardo su tutti i livelli. 

I dati della Russia Sovietica di 30 anni fa sono inesorabili: oltre 1,1 milioni di medici, assistenza sanitaria gratuita per tutta la popolazione, 1387 letti d’ospedale per 10.000 abitanti, numeri che non possono nemmeno essere paragonati con la situazione prevalente nel nostro paese e nei paesi dell’UE. 

Ancora oggi l’invio di medici cubani in Italia, l’esistenza di infrastrutture sanitarie in paesi come la Germania (che al tempo della presenza della DDR fu costretta dal sistema sanitario socialista ad adeguarsi anche all’ovest) e anche la gestione della pandemia nella Cina capitalista che rivela i suoi residui socialisti, mostrano che il socialismo ha lasciato la sua forte impronta sociale anche oggi, tre decenni dopo il suo rovesciamento. 

Quindi, in queste condizioni senza precedenti, rimaniamo forti, lottiamo per misure di protezione della vita e dei diritti dei lavoratori, promuoviamo l’unica prospettiva per la classe operaia e la maggioranza del nostro popolo: la nuova società, il socialismo. 

La tangibile superiorità del socialismo, della proprietà sociale e della pianificazione scientifica centralizzata è la grande eredità per il giorno dopo. Ciò prevalga nei pensieri e nell’azione politica di tutti noi, in questi giorni di “quarantena”. Rifiutiamo la “quarantena” politica, combattiamo la “quarantena” del pensiero. 

Pensiamo, studiamo e agiamo, affrontando oggi l’attualità, adattando la nostra azione, con lo sguardo però al domani, preparando il domani. 

Dimitris Koutsoumpas 

Segretario Generale del C.C. del KKE 

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IL PARTITO COMUNISTA IN CORSA PER LE ELEZIONI EUROPEE 2019.

IL PARTITO COMUNISTA IN CORSA PER LE ELEZIONI EUROPEE 2019.

Il Partito Comunista ha depositato questa mattina il contrassegno elettorale per la partecipazione alle elezioni europee 2019. Correremo in tutte le circoscrizioni senza necessità di raccogliere le firme in quanto membri dell’Iniziativa Comunista Europea, rappresentata al Parlamento Europeo da due deputati del KKE, e grazie al consenso apprestato dai compagni greci all’inserimento del loro simbolo nel nostro contrassegno elettorale al fine di rafforzare il presupposti stabiliti dalla legge italiana per il diritto a tale esonero. Il gesto del KKE è una testimonianza di vero internazionalismo, la prova della forza e della solidità dei legami internazionali che il Partito Comunista ha costruito in questi anni con i propri partiti fratelli.

La raccolta delle sottoscrizioni sarebbe stata uno scoglio impossibile da superare altrimenti. La legge richiede infatti 145.000 firme con quote regionali altissime (3.000 nella sola Valle d’Aosta), e dei costi ingenti necessari per le autenticazioni. Si tratta di una legge antidemocratica che ha come unico e chiaro scopo quello di favorire le forze politiche già presenti in Parlamento, spingere i partiti ad accordi forzati e innaturali, coalizzandosi con le forze maggioritarie, impedire la riorganizzazione di forze popolari alternative ai partiti esistenti.

La partecipazione alle elezioni europee non muta il nostro giudizio sulla natura irriformabile dell’Unione Europea, e delle sue istituzioni. Utilizzeremo queste settimane di campagna elettorale per denunciare la reale natura dell’Unione Europea, senza ipocrisie e opportunismi di sorta. Così come abbiamo già fatto nelle elezioni politiche del 2018, diremo chiaramente ai lavoratori e alle lavoratrici che il voto al Partito Comunista è un voto al rafforzamento della prospettiva storica di abbattimento della società capitalista e di accumulazione di forze nella direzione della costruzione di una società socialista.

L’Europa dei lavoratori e dei popoli che noi vogliamo realizzare, potrà essere costruita solo al di fuori dell’Unione Europea che è un’alleanze imperialista al cui timone ci sono le grandi società della finanza. L’Unione Europea è il principale promotore delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori e delle classi popolari, protagonista di guerre e responsabile della crisi. Non esiste spazio per la creazione di una società che metta in primo piano i diritti sociali nella gabbia dell’Unione Europea e dell’euro. Non esiste alcun futuro di progresso, di giustizia e di pace per le nuove generazioni in un sistema antidemocratico che mira a schiacciare i diritti e la condizione dei popoli in favore del profitto di pochi.

Crediamo sia necessario rafforzare il processo di ricostruzione comunista per dare ai lavoratori e alle classi popolari una reale alternativa alla falsa scelta tra le forze di governo e di opposizione, tra europeisti e nazionalisti, divisi nella propaganda ma sempre uniti nella difesa degli interessi della finanza e nell’approvazione di politiche antipopolari. Un’alternativa che non può essere rappresentata da liste elettorali di sinistra, prigioniere di contraddizioni politiche e prive di qualsiasi prospettiva, funzionali solo alla conservazione di vecchi gruppi dirigenti, che puntualmente si presentano a ogni elezione con nomi e simboli diversi, contribuendo solo a disorientare il proprio popolo.

Un’alternativa che dobbiamo realizzare prima di tutto nel nostro Paese, ma coordinandoci e unendoci a livello internazionale con i Partiti Comunisti per rendere più forte la nostra azione. Siamo consapevoli che la presenza del Partito Comunista alle elezioni europee è un importante segnale di rafforzamento dell’Iniziativa Comunista Europea e di tutti i partiti che, nelle difficili condizioni dell’Europa di oggi, stanno portando avanti il processo di ricostruzione comunista. Insieme con i nostri partiti fratelli e sulla base delle linee comuni che ci siamo dati affronteremo questa sfida.

Solo il rafforzamento dei comunisti può creare in Italia e in Europa i presupposti di una reale svolta politica. Per questa ragione invitiamo a votare il 26 maggio per il Partito Comunista e a prendere da subito contatto con le nostre federazioni e con i nuclei del Partito per sostenere la nostra azione.

Roma, 8 aprile 2019

Ufficio Politico
Partito Comunista

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Iniziative del Partito Comunista per il G7

Iniziative del Partito Comunista per il G7

Il 27 maggio, in occasione del G7 che si terrà a Taormina il Partito Comunista promuove una mobilitazione di classe e antimperialista. Di seguito le principali iniziative:
– ore 11:00 Convegno Internazionale “G7: Nè terra, nè mare, nè aria per gli imperialisti” con Eduardo Corrales (segreteria politica del PCPE), Sotiris Zarianopoulos (eurodeputato del KKE) e Marco Rizzo (segretario generale Partito Comunista) presso la Sala meeting dell’Assinos Palace Hotel Via Consolare Valeria 33 Giardini Naxos (ME)
– ore15 Corteo spezzone PC e FGC terminal bus di via Dionisio Recanati-Giardini Naxos (ME)

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Intervento di Rizzo all’incontro internazionale di Madrid

Intervento di Rizzo all’incontro internazionale di Madrid

di Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista in Italia.

Da marxisti dobbiamo sempre partire dall’analisi della situazione economica. Alcuni dati ci aiutano a comprendere la crisi in cui si trova oggi il capitalismo internazionale. Quando si realizzò in Francia il primo (allora) G6, nel 1975, la quota di Prodotto Lordo Mondiale dei paesi partecipanti superava il 50% mondiale, oggi il G7 rappresenta una quota di circa il 35-37%. A fronte di ciò abbiamo la conseguente crescita della quota delle cosiddette potenze emergenti, i BRICS – sebbene anch’essi soffrono dal 2006 della crisi data da rallentamento (CINA), frenata (INDIA e RUSSIA) o recessione (BRASILE). In particolare gli investimenti cinesi all’estero sono raddoppiati dal 2011 al 2015 piazzandosi ormai per esempio in Italia al terzo posto per investimenti, ex aequo con la Francia dopo USA e GB (2015). Un secondo dato riguarda la capacità di generare profitti da parte del capitalismo. La crisi economica porta a disinvestire nelle attività “reali” e a investire di più nella pura speculazione finanziaria, creando le “bolle” a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Come insegna Marx, la crisi si genera nel settore produttivo, ma si scarica e si manifesta nel settore finanziario, ma non è quest’ultimo a generare la crisi, che è sempre crisi di sovrapproduzione che diventa crisi di sovraccumulazione.

Dal 2004 al 2016 i principali paesi del G7 hanno aumentato la quota di capitalizzazione di borsa rispetto al PIL, ossia quanta moneta gira in borsa rispetto al prodotto reale. Dopo la crisi del 2009, oggi la situazione è peggiore a quella di prima. La bolla si carica quindi soprattutto nei paesi più forti, mentre i paesi dove la crisi è stata più acuta e ancora non si riesce a venir fuori, come Spagna e Italia, si è più indietro a recuperare la distruzione di capitale del 2009. Come fa il capitalismo a generare profitti sempre crescenti, che devono soddisfare la necessità di valorizzazioni sempre più elevate per capitali in espansione, in una economia che vede incrementi di PIL molto bassi? Questa è la base della crisi irrisolubile in cui si dibatte il capitalismo occidentale. La sua risposta è sempre più arrogante e bellicosa, ma nasconde la crisi mostruosa in cui esso è avviluppato. Ribadiamo però che il militarismo e il bellicismo non è la caratteristica unica dell’imperialismo, ma ne è solo una sua particolare manifestazione.

Gli altri paesi capitalisti, oltre a quelli occidentali, esportatori di capitali e che vivono sempre più la concentrazione monopolistica, sono anch’essi nella fase imperialistica, anche se più o meno sviluppata, e non potrebbe essere diversamente nell’era dell’imperialismo, come ci insegna Lenin. Tutto ciò porta a improvvisi rimescolamenti dei rapporti di forza internazionali nella competizione per l’egemonia economica, politica e strategica e conseguenti riposizionamenti dei paesi all’interno della piramide imperialista, che modificano la politica all’interno e tra le alleanze interstatali imperialiste con la destabilizzazione delle relazioni internazionali. Il capitalismo non è nuovo a questi violenti scossoni. Ricordiamo che essi furono la causa che portò alla Prima Guerra mondiale: crisi e riposizionamento delle alleanze. Le multinazionali hanno la propria rappresentanza nazionale sempre presso un grande stato imperialista. Tra i rimescolamenti assistiamo anche a importanti ricollocazioni internazionali, per esempio la FIAT si è andata a mettere sotto l’ala dell’imperialismo americano, trasferendo la propria sede in Olanda, ma fondendosi con la Chrysler. Quindi è chiaro che le grandi borghesie dei paesi europei traggono grande profitto dal partecipare al banchetto imperialista e non sono affatto “costrette”, ossia questi paesi, tra cui l’Italia, la Spagna, la Grecia, non sono affatto “colonie” di altri imperialismi. Altro discorso va fatto per la piccola e media borghesia di questi paesi. Essa non è uno strato omogeneo. Vi sono settori molto vivaci, soprattutto quelli che hanno una forte propensione all’esportazione o che lavorano con settori dinamici, soprattutto quelli militari; ci sono settori arretrati che subiscono profondamente l’effetto della crisi e, dall’introduzione dell’euro e la pesante deflazione interna che questo ha comportato, non hanno più la possibilità di avvalersi dell’aumento generalizzato dei prezzi. I primi sono ben aggregati al carro imperialista, i secondi invece sono a metà del guado: sognano un impossibile ritorno ai tempi d’oro del passato, come suonano le sirene della destra xenofoba e sovranista e non riescono a percepire il proletariato come la classe di riferimento alleata.

In tutti i paesi la risposta è quella tipica della fase imperialistica dominata dalla crisi economica e la crescente competizione inter-imperialista, cioè approfondendo il processo di concentrazione del capitale e la ricerca di una maggiore competitività a spese della forza lavoro, con politiche di massacro sociale e intensificazione dello sfruttamento, disoccupazione e compressione dei salari e delle pensioni, intensificazione dei ritmi di lavoro e flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti lavorativi, fino al lavoro gratuito, taglio di diritti sociali, impoverimento degli agricoltori e dei settori popolari, una divisione internazionale del lavoro a beneficio del grande capitale e della finanza, taglio delle spese sociali e privatizzazione che limitano sempre più l’accesso delle masse popolari a servizi e diritti fondamentali quali sanità, istruzione, trasporti ecc. mettendoli al servizio dell’accumulazione capitalistica. Dall’altro lato la spesa pubblica viene sempre più indirizzata verso i settori a più alta concentrazione monopolistica: grandi opere inutili e devastanti e spese militari. Queste ultime generano anche enormi profitti per le aziende che lavorano in quel settore, ma i costi che gravano sulle finanze pubbliche sono mostruosi. Se l’export italiano degli armamenti, dopo la flessione del 2011-2014, ha avuto una grande ripresa, superando fino a triplicare il dato del 2011 (grazie alla supercommessa di Eurofighter al Kuwait del 2016 ), di cui allo stato come profitto va una minima parte, le spese militari previste passeranno dal 1,1% gradualmente fino al 2% previsto dalla NATO e recentemente confermato da Gentiloni a Trump; ossia, 16 miliardi a regime ogni anno in più. La guerra imperialistica e i conflitti armati locali, che si sviluppano sul terreno del capitalismo e della competizione interimperialista per le risorse, per le quote di mercato, per le vie di comunicazione, per la nuova spartizione del mondo in base ai nuovi rapporti di forza, economica, politica, militare ecc. che coinvolgono sempre più direttamente le potenze imperialistiche, portano nuovamente l’umanità sul baratro di una guerra mondiale, causando nel frattempo quelle enormi masse di persone costrette a emigrare, strappati dalle loro terre per sfuggire alla guerra, alla distruzione, saccheggio e povertà. L’Italia e la Spagna sono tra le principali terre di approdo di questo flusso, con un Mediterraneo trasformato in gigantesca fossa comune; uomini e donne, bambini, sottoposti alla speculazione affaristica del “viaggio” e della cosiddetta accoglienza, ma soprattutto allo sfruttamento utilizzati per la competizione al ribasso per la compressione di diritti e salari da parte della stessa classe che produce le guerre e le cause della immigrazione.

I governi borghesi perseguono la “gestione dei flussi migratori”, che sarà all’odg del prossimo G7 di Taormina, ossia la spartizione delle quote nella misura adeguata all’accumulazione capitalistica e dei profitti dei monopoli, e sulla generazione del conflitto orizzontale interno cioè alla classe degli sfruttati, con razzismo, marginalizzazione ecc. sul quale alimentare la macchina di guerra, sfruttamento e repressione. I nostri paesi, Italia e Spagna, e in particolare regioni martoriate da basi militari e militarizzazione del territorio, come la Sicilia e il sud Europa, ridotte a deserto produttivo e piattaforme di guerra strategica nel Mediterraneo per le potenze del G7, dell’Ue e della NATO. La risposta dei comunisti a tutto questo non può essere né il buonismo della finta sinistra innocua per il capitalismo, né la risposta sovranista della destra. Entrambe queste soluzioni sostanzialmente favoriscono il grande capitale. La massa di profughi (non migranti!) che si abbatte sui nostri paesi in conseguenza delle guerre imperialiste che sono state scatenatoe nei loro, costituisce quell’esercito salariato di riserva di cui Marx faceva cenno e di cui il capitale non può fare a meno. È l’ariete con cui si abbattono i residui diritti dei lavoratori europei. La risposta giusta però non è la guerra tra poveri che favorisce il capitale, ma l’alleanza tra gli sfruttati: bianchi e neri, giovani e vecchi, donne e uomini. UGUALE SALARIO A UGUALE LAVORO, salario minimo garantito per tutti.Non salario sociale, che riduce il proletario a un plebeo che non ha né classe né dignità, ma ridare forza al lavoro e ai lavoratori, uniti contro il capitale. Solo l’unità dei lavoratori, di tutti i lavoratori uniti contro il capitale, può superare le contraddizioni, le oppressioni che affliggono questa società.

La stessa critica va mossa a proposito della soluzione alla crisi economica e finanziaria che specularmente propongono sia la sinistra riformista, fiancheggiatrice del capitalismo, che la destra, espressione della borghesia più retriva: non un impensabile “riforma” dell’UE, non solo un’uscita dall’euro ma uscita dall’UE, dalla NATO e da tutti i conglomerati imperialistici, con la immediata nazionalizzazione delle banche, del commercio con l’estero e dei principali mezzi di produzione con affidamento ai lavoratori. Una società a misura di chi produce la ricchezza e non di chi la sperpera. Oggi le risorse tecniche e produttive potrebbero far stare meglio tutti, europei e non, ma è solo la necessità di produrre per il profitto che genera miseria. Una volta la miseria era generata dalla carestia, oggi sotto il capitalismo la miseria è generata dalla abbondanza. Agli inizi dell’Ottocento la risposta degli operai disperati per l’introduzione delle nuove macchine, che toglievano loro il lavoro, era distruggerle, era la risposta di una classe che non era ancora classe cosciente e armata della propria scienza, il marxismo. Oggi la classe operaia ha una scienza – filosofica, politica ed economica – che si chiama marxismo-leninismo: è il socialismo scientifico del XX secolo, che resta valido ed attuale nel XXI, e che dà l’unica risposta che è riuscita a battere e far paura al capitalismo negli ultimi cento anni, dall’Ottobre a oggi, la rivoluzione proletaria e l’edificazione del socialismo, basato sull’economia pianificata centralizzata e guidata e diretta dalla classe operaia.

Per questi motivi il nostro incontro oggi prosegue idealmente sabato prossimo a Taormina dove il 27 maggio avremo una importante iniziativa internazionale del nostro Partito, col KKE con l’eurodeputato Zarianopoulos e col compagno Carrelas della vostra segreteria politica come PCPE. Nello stesso luogo, nelle stesse ore in cui i capi dei Paesi del G7 si riuniranno anche noi lo faremo per dire no all’imperialismo contro l’UE, la NATO, il capitalismo, per il potere dei lavoratori e il socialismo. Appunto come recita lo slogan di convocazione di questo incontro: Ne’ terra, né mare, ne’ aria per gli imperialisti!

In ultimo volevo parlare della solidarieta’ internazionalista in questo momento cosi cruciale per il PCPE. Piu’ di trent’anni fa ero al Montjuic a Barcellona, correva il 1986. Ero giovane membro della direzione provinciale del PCI di Torino, nella corrente “filosovietica” di Armando Cossutta. Andammo a montare uno stand per Interstampa (rivista che si batteva contro l’eurocomunismo) alla Festa di Avant, il giornale del PCC, il Partito dei Comunisti di Catalunya, collegato al nascente PCPE che dal 1984 si era staccato dall’eurocomunista PCE di Carrillo e Iglesias. Il caso volle che in aereo incontrassi Piero Fassino, futuro segretario del PDS, poi Ministro e Sindaco di Torino, allora Segretario della Federazione di Torino del PCI che mal sopportava la nostra attivita’ di solidarieta’ internazionalista. Anche lui era diretto a Barcellona, ma ad un’altra festa: quella del PSUC, il Partito Socialista Unificato di Catalunya, affiliato al PCE carrillista. Biasimò la mia contemporanea presenza nella citta’ catalana e fu ‘gentilmente’ mandato a quel paese..(capito’ altre volte, non solo in quel periodo).

Conobbi decine di compagni tra cui Juan Ramos Camarero (segretario prima del PCC e poi del PCPE), Maria Pera Lizandara (segretario del PCC), Ignacio Gallego (anch’esso segretario del PCPE, rientrato poi nel PCE) Juan Tafalla (direttore di Avant), Arturo Obach e tanti altri. In quella grande festa comunista feci il mio primo intervento nel mio improbabile “spagnolo” (che ancora oggi non ha subito miglioramento alcuno) davanti ad una grande folla di Comunisti, nonché agli ambasciatori dei Paesi Socialisti. Il PCC ed il PCPE erano allora riconosciuti dall’ URSS (anche se da li’ a pochissimo il traditore Gorbacev interruppe ogni rapporto coi marxisti-leninisti in Spagna, Italia ed in ogni dove). Ho sempre amato la Spagna, la sua storia, dalla Guerra Civile ai giorni nostri. Se mi chiedessero dove andare a vivere, dopo l’Italia, sceglierei senza esitazioni la Spagna, dall’Andalusia alla Galuzia, da Barcellona a Madrid per arrivare fino ai Paesi Baschi…

Forse anche per questo ho seguito con la massima attenzione la storia dei comunisti spagnoli ed in particolar modo quella del nostro Partito Fratello, il PCPE. Non mi dilungo sui ricordi per arrivare subito all’ultimo congresso, il Decimo, che si è svolto lo scorso anno a Madrid, e che mi ha visto onoratissimo ospite. Nella mia vita politica ho fatto decine di congressi. Per necessita’ (di coerenza all’ideale comunista) sono stato costretto ad esser attore e promotore di ricostruzioni e di fratture e posso quindi considerarmi un discreto esperto di “meteorologia congressuale”… Ebbene in quel congresso, oltre ad una presenza maggioritaria di interventi nel solco chiaro della linea marxista-leninista, ho avuto la sensazione netta di trovarmi di fronte anche alle forme eclettiche dell’eurocomunismo che ben abbiamo conosciuto in questi anni di battaglia ideologica e politica contro il revisionismo e l’opportunismo impersonati da dirigenti come Carmelo Suarez e Julio Diaz.

Ritengo sempre necessaria la lotta ideologica e politica all’interno di un PARTITO COMUNISTA, proprio per non lasciare spazio a processi di revisione ed opportunismo. Lo dico sempre in Italia, ma mi permetto di dirlo anche ai compagni fratelli del PCPE e di ogni altro partito comunista: – il punto centrale della nostra lotta è e deve restare il conflitto tra capitale e lavoro; ogni altro “diversivo” non fa altro che ritardare la presa del potere politico da parte del proletariato (che oggi è stragrande maggioranza nel popolo). Pensare che possa esserci una “supremazia” dei cosiddetti diritti civili rispetto a quelli sociali significherebbe “far girare al contrario” l’orologio della storia.

Anteporre le pur importanti conquiste borghesi per i diritti individuali della RIvoluzione Francese a quelle strategiche per i diritti sociali della Rivoluzione Sovietica è e sarebbe un errore esiziale per chi vuole definirsi oggi comunista. Continuo ricordando la «superiorita’» della presenza del Partito Comunista rispetto a quella dei movimenti, di tutti i movimenti. I movimenti vanno e vengono, il Partito resta! Infine un dato storico ed ideologico che ritengo simile ad una “prova” di fedelta’ agli ideali bolscevici: la questione su Stalin. Diffidate di chi denigra o anche solo dimentica la figura del continuatore dell’opera di Lenin, di chi ha saputo costruire il Socialismo in URSS e battere il mostro nazista. Da quando e’ stato fondato il nostro Partito in Italia, la tessera comunista ha tra le effigi Marx, Engels, Lenin e appunto Stalin. Quando e se quell’immagine fosse tolta sarebbe un chiaro segno di sconfitta. Non e’ fallito il Socialismo, e’ fallita la sua revisione, da Kruscev a Gorbacev. Credo che queste mie semplici considerazioni siano alla base delle scelte obbligate della stragrande maggioranza dei militanti del PCPE, con l’appoggio dell’intera organizzazione dei Collettivi della Gioventu’ Comunista, che hanno scelto come Segretario Generale il compagno e fratello Astor Garcia. Dall’Italia, a nome dell’intero Partito Comunista e mio personale, porto qui il nostro saluto e la nostra solidarietà internazionalista.

W il PCPE!

W i CJC!

W l’internazionalismo proletario!

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