«Antonio Gramsci si rivolta nella tomba a sentire gli omaggi ipocriti che vengono tributati da esponenti del PD e dalle forze della cosiddetta sinistra che sono responsabili dell’attacco ai diritti dei lavoratori, della presenza dell’Italia nella Nato, delle politiche antipopolari volute dalla UE» Così Alessandro Mustillo, della segreteria nazionale del Partito Comunista, rendendo omaggio alle ceneri di Gramsci nell’ottantesimo anniversario della sua morte. «Gramsci non era uomo per tutte le stagioni, era un comunista, voleva la rivoluzione socialista. Chi oggi tenta di addomesticarlo per propri usi e consumi, trasformarlo in un semplice democratico non fa onore a Gramsci, e non fa onore alla sua onestà intellettuale. Gente che è al governo farebbe bene a tacere e a non tirare Gramsci per la giacchetta. Per fortuna – conclude la nota – centinaia di giovani stanno rendendo omaggio a Gramsci in queste ore, e a lui guardano nella lotta di ogni giorno contro gli ipocriti e i falsificatori del PD».
Fuori dall’Unione europea e dall’euro. Potere ai lavoratori.
Il Partito Comunista ringrazia i numerosi militanti, sostenitori e simpatizzanti che sabato 25 marzo hanno partecipato al comizio comunista in una piazza gremita. Mentre i leader europei festeggiavano l’anniversario della firma dei trattati di Roma, i comunisti erano in piazza a ribadire il loro no all’Unione Europea, strumento di dominio del grande capitale, artefice della compressione dei diritti dei lavoratori e delle classi popolari. Il Partito Comunista ha ribadito oggi, a sessant’anni di distanza dalla firma dei trattati europei, il proprio no alla UE e al mercato comune. Una contrarietà che parte dal 1957, quanto i comunisti furono gli unici a votare contro l’adesione dell’Italia al mercato comune, e che continua nel 1992 quando si opposero al trattato di Maastricht, fino ai giorni nostri con il patto di stabilità, il fiscal compact, il vincolo del pareggio di bilancio.
Oggi i leader dell’Unione Europea hanno confermato la loro volontà di proseguire sulla strada del mercato comune. Si prospettano nuove illusioni per i popoli europei, come la cosiddetta Europa a più velocità. Questa soluzione altro non è che uno strumento più affilato nelle mani del grande capitale, per la compressione delle condizioni dei lavoratori e dei piccoli produttori, per rispondere alla competizione internazionale sui mercati. Di fronte a questa condizione i comunisti hanno il dovere di organizzarsi e di accrescere la propria azione.
La manifestazione del 25 marzo dimostra che esiste un’opposizione comunista alla UE, che questo tema non è monopolio della destra e delle sue prospettive reazionarie. L’uscita dalla UE, dall’euro e dalla Nato, per essere realmente processo di liberazione dall’oppressione popolare, deve essere accompagnata da un rovesciamento dei rapporti sociali, dall’abolizione dello sfruttamento di classe, per la costruzione di una società socialista, per sostituire al potere delle banche e delle grandi imprese, il potere dei lavoratori.
La partecipazione di importanti e significative lotte del nostro Paese, che hanno preso la parola al comizio, indica la strada da percorrere. Dietro le ragioni di lotta dei lavoratori presenti ci sono le responsabilità delle politiche europee, i risultati del mercato comune. Gli interventi dei lavoratori di Alitalia, Almaviva, di operai e rappresentanti delle esperienze più avanzate del sindacalismo conflittuale (SGB, CUB), parlano di un’opposizione diffusa tra la classe operaia nei confronti delle politiche europee.
L’anniversario dei trattati europei ha dimostrato ulteriormente quale solco esista ormai tra i comunisti e le forze della cosiddetta sinistra radicale. La partecipazione a manifestazioni europeiste, che pur criticando le politiche della UE sostengono la necessità di una battaglia interna per il suo cambiamento, propugnano la sua riformabilità, segnano la definitiva scelta di campo di queste forze. L’adesione del GUE/NGL alla manifestazione filo europeista è l’ultima conferma della mutazione delle forze della sinistra europea, che illudendo i popoli sulla riformabilità della UE, rafforzano di fatto il potere dei monopoli capitalistici e delle loro organizzazioni internazionali. Contrariamente a quanto affermato nei loro slogan, queste forze, alla prova del governo in Grecia, non hanno fatto altro che applicare le politiche antipopolari volute dal UE, BCE, FMI. Non esistono terze vie: o si agisce nel solco delle compatibilità capitalistiche, dei regolamenti imposti dalle organizzazioni internazionali, o si rompe questa gabbia agendo nell’interesse dei lavoratori e delle classi popolari.
Fuori dalla UE, dall’euro e dalla Nato è la parola d’ordine che i comunisti pronunciano, senza chiudersi in nessuna visione nazionalistica, senza prospettare un semplice ritorno al passato. Insieme a noi lottano in questa direzione i comunisti di tutta Europa, per la liberazione comune della classi lavoratrici dei nostri Paesi dallo sfruttamento capitalistico, dal potere dei grandi monopoli. Vogliamo ringraziare i nostri partiti fratelli per l’importante partecipazione attraverso i messaggi inviati, e soprattutto il Partito Comunista di Grecia, il Partito Comunista dei Popoli di Spagna, il Partito Comunista Rivoluzionario Francese, e il Partito del Lavoro dell’Austria per la loro presenza a Roma. Ringraziamo anche la presenza di una delegazione dei compagni del Partito Comunista Marxista dell’India.
Il Partito Comunista esprime soddisfazione per l’esito della manifestazione. Nonostante la forte censura mediatica, nonostante i timori diffusi delle autorità e dall’informazione sull’esito delle manifestazioni di protesta, nonostante le misure di sicurezza che hanno rallentato e in alcuni casi impedito l’arrivo di manifestanti, la manifestazione si è svolta con successo. Denunciamo la criminalizzazione delle proteste, il terrorismo mediatico diffuso a reti unificate, le nuove misure di sicurezza che determinano una oggettiva svolta reazionaria nella gestione dell’ordine pubblico da parte del governo. Ogni misura di questo genere non sarà in grado di fermare la lotta popolare contro l’Unione Europea e i governi che applicano le politiche antipopolari nell’interesse dei capitalisti.
Salutiamo con fierezza la grande partecipazione della gioventù, grazie al grande lavoro del Fronte della Gioventù Comunista costruito in questi anni. A dire no all’Unione Europea con i comunisti sono stati in larga parte giovani. Quelle nuove generazioni che subiscono sulla propria pelle gli effetti delle politiche antipopolari, della disoccupazione, della precarietà sul lavoro, che nonostante le campagne anticomuniste dimostrano di aver compreso che il socialismo è l’unico strumento di liberazione possibile e reale. La piazza di Roma non è stata una piazza di nostalgici, ma di giovani e lavoratori.
In questa direzione, è importante rafforzare l’impegno e la lotta del partito, la solidarietà e l’azione comune dei comunisti a livello internazionale. Costruire un’opposizione comunista alla UE e alle sue politiche, rafforzarne la percezione a livello di massa, è un elemento fondamentale per rompere il potere del capitale ed evitare che il dissenso sociale sia incanalato in prospettive perdenti o nuove avventure reazionarie che abbiamo il dovere di contrastare.
Fuori l’Italia dalla UE, dall’euro e dalla Nato
Per il potere dei lavoratori, per il socialismo!
Roma, 26 marzo 2017
Ufficio Politico del Partito Comunista
25 MARZO COMIZIO COMUNISTA A ROMA CONTRO L’UNIONE EUROPEA
Il 25 marzo il Partito Comunista sarà in piazza a Roma per manifestare contro l’Unione Europea in occasione dei 60 anni dei trattati istitutivi della CEE, della Ceca e dell’Euratom, le tre antenate dell’Unione Europea. In quell’occasione i primi ministri e i capi di stato europei saranno a Roma per celebrare l’anniversario e ribadire il loro accordo alle politiche antipopolari della UE. I lavoratori e i popoli europei subiranno in quei giorni il culmine di una campagna di disinformazione e propaganda a favore della UE che va avanti da mesi, con spot televisivi, concorsi pubblici, iniziative nelle scuole e nelle università, con lo scopo di conquistare consenso popolare alle politiche europee e convincere le classi popolari che non esiste alcuna alternativa alla UE e a questo sistema. Il Partito Comunista scenderà in piazza il 25 marzo alla fine di una campagna di informazione sulla natura reale della UE che i militanti stanno conducendo in tutta Italia nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università. In questi sessant’ani l’Unione Europea ha:
– rafforzato il potere dei monopoli finanziari (banche, grandi imprese) riducendo ovunque i margini della sovranità popolare, stracciando anche le temporanee e parziali conquiste che le classi oppresse avevano ottenuto con le costituzioni successive alla mobilitazione popolare contro il fascismo;
– creato un mercato unico a immagine e somiglianza del grande capitale, grazie al pilastro comunitario della libera circolazione dei capitali, delle merci e dei servizi con i quali le grandi aziende hanno ottenuto la possibilità di scegliere la sede legale negli stati più favorevoli fiscalmente, diminuendo le tasse pagate e incrementando i profitti, de localizzando la produzione nei paesi più convenienti. Tutto questo ha favorito i processi di concentrazione e centralizzazione del capitale, il trasferimento di ricchezze dalle classi popolari ad un’aristocrazia finanziaria che con poche decine di società controlla ricchezze sempre maggiori;
– con la creazione dell’euro ha creato un sistema monetario saldamente nelle mani delle banche private per il tramite della BCE che ha acuito le contraddizioni capitalistiche e la crisi a tutto danno della classe operaia e delle classi popolari. Attraverso la leva del debito pubblico gli istituti finanziari hanno guadagnato sulle spalle dei popoli europei e le politiche dei governi sono state commissariate nella direzione di svendite del patrimonio comune, privatizzazioni, riduzione delle politiche sociali;
– peggiorato le condizioni di lavoro in tutti i Paesi aderenti, mettendo in concorrenza i lavoratori al fine di diminuirne salari e di cancellare le conquiste frutto delle lotte del movimento operaio nel secolo scorso. La UE ha sostenuto la precarizzazione del lavoro, con l’introduzione di nuove forme contrattuali a danno dei lavoratori; sostenendo la libertà di delocalizzare ha imposto un mercato unico della forza lavoro in cui la minaccia dello spostamento delle sedi produttive all’estero è utilizzata per importare il peggioramento delle condizioni di lavoro e dei salari. Ha incrementato la disoccupazione, e in modo particolare la disoccupazione giovanile, con la conseguenza di centinaia di migliaia di giovani che emigrano per cercare lavoro, convertendosi in manodopera a basso costo, doppiamente sfruttata;
– assoggettato ogni settore economico alle logiche capitalistiche e agli interessi dei monopoli, come dimostra la direttiva Bolkenstein il cui impatto comporta il peggioramento delle condizioni di settori popolari (mercati, piccoli commercianti ecc…);
– imposto la privatizzazione e conseguente trasformazione dei servizi sociali in privilegi su base economica e strumenti di creazione di profitto privato, imponendo una concorrenza del tutto favorevole ai grandi gruppi economici. Così ha sostenuto e indirizzato le politiche di privatizzazione della sanità e la dismissione del sistema sanitario nazionale, determinato le riforme delle scuole e delle università;
– attraverso la creazione di un mercato unico e di accordi sempre più vasti a livello globale, la UE è responsabile del peggioramento della condizione dell’agricoltura, della concentrazione della proprietà terriera e agricola, dell’impoverimento di migliaia di contadini e del peggioramento della qualità dei beni prodotti (si pensi alla direttiva sugli oli deodorati, o alle conseguenze del CETA e dell’eventuale stipula del TTIP per la produzione di cereali e altri beni agricoli);
– mentre si dice che la UE ha promosso la pace si dimentica che essa ha sostenuto ogni intervento imperialista condotto dai propri paesi membri e nella cornice delle alleanze militari come la Nato. Sostenendo l’azione dei propri monopoli la UE ha contribuito allo sfruttamento delle risorse in Africa e Medio Oriente, all’impoverimento delle classi popolari di quei paesi, non disdegnando ove necessario il sostegno all’intervento militare di propri paesi al fine di ottenere maggiori fette di mercato e controllo di risorse economiche e rotte commerciali strategiche. Ciò, oltre a contraddire ogni ipotetica funzione della UE come fattore di pace e stabilizzazione, comporta il dramma di milioni di persone costrette ad emigrare per salvarsi dalla guerra e dalla miserie o migliorare la propria condizione di vita, finendo per convertirsi a loro volta in manodopera a basso costo da poter sfruttare.
Per tutte queste ragioni nel 1957 il Partito Comunista fu l’unico partito italiano a votare in Parlamento contro l’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune Europeo. Oggi che la destra fa dell’antieuropeismo la sua bandiera, noi comunisti abbiamo il dovere di rimarcare la nostra posizione contro un’unione europea espressione diretta degli interessi della finanza e promotrice delle politiche antipopolari che opprimono i lavoratori e le classi popolari del continente.
I comunisti non si uniscono a quella parte della sinistra che si nutre di illusioni sulla riformabilità della UE, e peggio ancora, illude le classi popolari sulla natura del processo unitario europeo contribuendo a mascherarne la reale essenza, ossia il carattere di strumento degli interessi del grande capitale. La vicenda greca ha dato ragione a chi coerentemente non ha riposto alcuna fiducia nell’idea di poter cambiare il sistema europeo dall’interno, come la capitolazione del governo Tsipras e delle illusioni della sinistra europea ha ampliamente dimostrato.
Allo stesso tempo, come comunisti, abbiamo il dovere di indicare una via d’uscita in senso progressista e favorevole agli interessi dei lavoratori e delle classi popolari, dal sistema della UE. Solo in questo modo sarà possibile arginare l’avanzata della destra nei settori popolari, combattere la visione reazionaria che utilizza l’antieuropeismo come mero pretesto per riaffermare un sistema di sfruttamento su base nazionale, fondato sul potere dello stesso capitale nazionale che è responsabile e primo fautore dell’adesione dell’Italia al mercato comune. I comunisti combattono la visione di chi critica la UE, ma poi non ne chiede l’uscita unilaterale, di chi si scaglia contro l’immigrazione ma poi è pronto a sostenere le politiche imperialiste e la permanenza dell’Italia nella Nato, utilizzando l’immigrazione come pretesto per scatenare una guerra tra poveri il cui ultimo risultato è distrarre le classi popolari dal comune nemico, mettere i lavoratori gli uni contro gli altri sulla base della nazionalità e della provenienza etnica, salvando quel sistema di sfruttamento capitalistico e il potere dei monopoli.
Il Partito Comunista, insieme ai partiti membri dell’Iniziativa Comunista Europea si batte per l’uscita dell’Italia dalla Ue e dalla Nato, per la creazione di un governo dei lavoratori in un’Italia libera e socialista. L’Unione Europea non è riformabile, la lotta dei lavoratori e delle classi popolari dei paesi europei non può che indirizzarsi per la sua rottura, attraverso l’uscita unilaterale di ciascun paese fino alla dissoluzione delle alleanze imperialiste. Né illusioni di sinistra, né ricette reazionarie di destra. Per uscire dalla crisi, per conquistare il proprio avvenire, i lavoratori e la gioventù lottano contro la UE, per il potere popolare, per il socialismo.
Il 25 marzo tutti in piazza a Roma, per il comizio del Partito Comunista ore 16.00 Piazzale Tiburtino, quartiere San Lorenzo (raggiungibile con la metro B fermate Tiburtina o Castro Pretorio; con il treno con fermata a Roma Termini o Roma Tiburtina)
UNITA’ COMUNISTA. I PUNTI DELLA DISCUSSIONE.
«Unità con chi e per cosa?» Questa domanda che si poneva Pietro Secchia, dirigente di primo piano del movimento comunista italiano, è ancora oggi la domanda fondamentale da porsi quando si discute di unità comunista. Il tema è molto sentito e a ragione, ma spesso semplificato e banalizzato. Per discutere seriamente bisogna partire da una premessa di fondo.
Oggi nel movimento comunista internazionale, e certamente nel nostro Paese, esistono serie differenze di vedute strategiche tra le forze comuniste presenti, di cui l’attuale frammentazione è un riflesso diretto. Ogni ragionamento sull’unità dei comunisti deve partire dal riconoscimento di questa realtà, comprendendo che lo stato attuale non è semplicemente il prodotto di personalismi e incomprensioni o volontà di difendere piccoli “orticelli” ma il risultato delle scelte e delle contraddizioni accumulate in anni nonché delle divergenze strategiche presenti.
Non basterebbe semplicemente rimettere tutti insieme, esperienza già provata con Rifondazione Comunista nel 1992 (le differenze, diceva Bertinotti sono una ricchezza, ma alla fine hanno, nell’accezione migliore, solo determinato confusione) o peggio ancora legare la questione dell’unità comunista a scadenze elettorali, come fatto dalla Federazione della Sinistra nel 2009.
Per l’unità comunista è presupposto un dibattito serrato su questioni di carattere strategico e un’unità nel conflitto di classe. Il II congresso del Partito Comunista ha licenziato le tesi politiche che sono consultabili all’indirizzo: http://ilpartitocomunista.it/wp-content/uploads/DOCUMENTO-II-CONGRESSO-PC-2017.pdf in cui esprimiamo la nostra analisi e la strategia del Partito, ed in particolare cosa significhi la costruzione di un partito rivoluzionario in una fase non rivoluzionaria e in che modo intendere correttamente questa ultima espressione.
All’Unità comunista è dedicata la chiusura del nostro documento con parole chiare che delineano la nostra posizione. «La questione comunista – si legge nel documento – è la questione dell’unità dei comunisti realmente marxisti-leninisti, che rompe con le forme di opportunismo e rifiuta qualsiasi riduzione a generiche connotazioni elettoralistiche e aggregazioni con le forze della “sinistra”, che relegano i comunisti ad una funzione di subalternità storica e di classe. È la questione dell’indipendenza comunista rispetto alle forze borghesi, del profilo autonomo degli interessi del proletariato nello scontro di classe nazionale e nella sua proiezione internazionale, nello scontro interimperialistico che lo rende irriducibile ad alcuno dei campi in lotta Il Partito deve levare in alto la parola d’ordine dell’unità invitando ad un cammino comune con tutti quei compagni che si pongono su questo terreno. Aumentando le iniziative di discussione e dibattito, non temendo il confronto, ma valorizzando nella dialettica delle posizioni le prospettive concrete di avanzamento. L’unità è nulla se ad essa non corrisponde unità ideologica e di visione strategica».
L’unità è un obiettivo da perseguire e per il quale vogliamo contribuire con alcuni punti che, nell’ottica di unità e ricostruzione diventano irrinunciabili. In particolare:
1) l’autonomia politica dei comunisti e la totale indipendenza dai partiti che accettano come orizzonte il sistema capitalistico. La costruzione del partito comunista non può essere ridotta ad un’opinione più radicale interna al sistema politico borghese, di sue coalizioni o raggruppamenti di sinistra. Costruire il partito comunista significa realizzare lo strumento che scardina quel sistema. In pratica rifiutare ogni forma di alleanza elettorale con il Partito Democratico, ed uscire da qualsiasi visione antistorica di “unità delle forze democratiche costituzionali”. Un rifiuto netto, indipendentemente da chi guida il PD, e espresso tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale. Rifiutare l’alleanze con il PD a livello nazionale ma poi praticarla a livello locale si chiama opportunismo. Questo vale anche per forze cosiddette di sinistra (da D’Alema, a Pisapia, passando per Vendola) che ora possono anche distinguersi tatticamente dal PD ma che in prospettiva vogliono crescere per poi allearsi nuovamente con il PD);
2) la centralità dell’analisi leninista dell’imperialismo, come fase suprema del capitalismo. L’imperialismo non può essere ridotto ad una delle sue fenomenologie, ossia l’aggressione militare. il movimento comunista non può prendere parte strategicamente per uno o per un altro schieramento di forze imperialiste in lotta e che la lotta dei comunisti è rivolta, prima di tutto, alla liberazione dallo sfruttamento capitalistico e all’uscita dei propri paesi dall’Unione Europea, dalla Nato e da ogni alleanze imperialista;
3) la necessità di abbandonare ogni illusione sulla riformabilità della UE delle sue istituzioni e dei meccanismi economici che ne sono alla base. I comunisti devono in Italia avere come posizione l’uscita del proprio Paese dalla UE. Non basta parlare di semplice lotta per la dissoluzione delle alleanze imperialiste, non specificando come tale dissoluzione possa avvenire. Serve assumere la responsabilità di praticare questa rottura nel solo modo possibile, ossia attraverso la lotta per l’uscita unilaterale dalle alleanze imperialiste. Allo stesso tempo non appartengono ai comunisti ragionamenti sull’Europa a due velocità, su alleanze dei paesi del Sud Europa, sulla semplice uscita dall’euro senza anche uscire dalla UE. Tutte opzioni politiche solo apparentemente alternative ma che in realtà sarebbero favorevoli a settori del capitale e finirebbero per peggiorare la condizione della classe operaia e delle masse popolari;
4) la consapevolezza, che discende direttamente dai punti precedenti, che l’autonomia politica dei comunisti deve essere tale anche nei confronti delle forze di “sinistra”. Non esiste una sinistra anticapitalista al di fuori dei comunisti: parlare di antiliberismo non è sinonimo di anticapitalismo, ma indica diverse visioni interne alle logiche del capitalismo. Sostenere la riformabilità della UE come fa il Partito della Sinistra Europea e le forze che ad esso aderiscono, rende quelle posizioni incompatibili con quelle dei comunisti. Quindi unità dei comunisti e unità della sinistra non sono sinonimi, e non sono neanche processi che possano marciare insieme. Non bisogna mischiare queste due parole d’ordine con tanta leggerezza, perché dietro ad esse esistono prospettive incompatibilmente divergenti. Pensare di unire i comunisti per poi unirsi con forze di sinistra che hanno prospettive strategiche opposte alle nostre è opportunismo della peggior specie;
5) contrapposta al rifiuto delle alleanze elettorali, la più grande apertura sul piano delle alleanze sociali. Il lavoro dei comunisti deve essere orientato completamente al sostegno e alla direzione della lotta di classe, e in primo luogo nel lavoro per incrementare la coscienza di classe dei lavoratori, la loro partecipazione alla lotta. I comunisti devono essere capaci di creare un blocco sociale attorno alle rivendicazioni più avanzate della classe operaia, unendo ad essa gli strati sociali a rischio di impoverimento e proletarizzazione, che nella fase del dominio dei grandi monopoli diventano sempre maggiori;
6) sul piano del conflitto la critica all’operato del sindacalismo confederale e in particolare al ruolo della CGIL deve essere netta e spietata. La prospettiva strategica dei comunisti non può impantanarsi in un impossibile ritorno della CGIL su posizioni di classe, ma deve operare per la costruzione del sindacato di classe, legato internazionalmente alla FSM, che rappresenti effettivamente gli interessi dei lavoratori, che sappia guidare i lavoratori nelle lotte senza cedere a compromessi al ribasso che nel caso del sindacalismo confederale sono ormai sfociati in una posizione di aperto collaborazionismo filo-padronale;
7) la stretta connessione della ricostruzione comunista con i processi di riorganizzazione del movimento comunista internazionale. Noi riteniamo che in questa fase sia necessaria una maggiore unità d’azione dei comunisti a livello internazionale per rispondere all’attacco padronale, anche a costo di cedere alcuni elementi di direzione politica ad un più stringente coordinamento internazionale. L’adeguamento dialettico alle condizioni nazionali, che pure deve essere presente nell’elaborazione tattica dei partiti, non può portare a torsioni strategiche che finiscono con il giustificare tutto e il contrario di tutto, in nome di presunte vie nazionali al socialismo;
8) la necessità di fare i conti con l’esperienza del movimento comunista del nostro Paese e in particolare con la storia del Partito Comunista Italiano. Sarebbe un pessimo servizio al processo di ricostruzione comunista quello di chiudersi in una visione religiosa della storia del PCI e non analizzarne gli errori. In particolare non riteniamo possibile nessuna unità comunista senza una chiara condanna dell’eurocomunismo, dell’accettazione dell’ “ombrello della nato”, della politica del compromesso storico e della solidarietà nazionale, elementi centrali del processo di trasformazione del PCI in una forza socialdemocratica. Allo stesso tempo serve un’autocritica spietata sul periodo che segue allo scioglimento del PCI, e al processo di costruzione del PRC. Serve una critica all’eclettismo e all’opportunismo dominante in quegli anni, ed in particolare al riconoscimento dell’errore storico della partecipazione dei comunisti nei governi di centrosinistra.
9) non legare l’unità comunista a prospettive meramente elettorali. Questo non significa che i comunisti oggi, in totale autonomia e indipendenza dalle altre forze politiche, non possano e debbano utilizzare lo strumento delle elezioni, ed eventualmente le posizioni nelle istituzioni, come megafono della propria azione nel conflitto di classe. Essere autonomi e indipendenti significa anche non delegare ad altre forze (come fatto da alcune organizzazioni comuniste con i Cinque Stelle o con forze di sinistra) la rappresentanza delle proprie battaglie. In poche parole utilizzare le elezioni, gli spazi mediatici, le istituzioni per la costruzione del partito e il rafforzamento della lotta di classe.
10) dichiarare con chiarezza che il fine dei comunisti è il rovesciamento del sistema capitalistico e la costruzione del socialismo, e operare coerentemente con questa dichiarazione. I comunisti non limitano la loro azione alla difesa di conquiste temporanee, ma legano ogni lotta concreta al processo di accumulazione di forze in chiave rivoluzionaria. Non esistono alternative tra capitalismo e socialismo e non esistono fasi intermedie.
A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre siamo coscienti delle grandi difficoltà dei comunisti proprio nel momento in cui appaiono così chiare le contraddizioni del capitalismo, nel mondo e nel nostro Paese. Il capitalismo oggi non è in grado di assicurare ai popoli nessun futuro se non sfruttamento, disoccupazione, peggioramento delle condizioni salariali e di vita, guerra, contrasto insanabile con l’ambiente e il carattere finito delle risorse del pianeta. L’attualità della questione comunista è anche sforzo per l’unità dei comunisti, a patto che tali processi siano orientati nella direzione opposta rispetto a quanto fatto in questi anni. Noi vogliamo l’unità dei comunisti, a partire da una coerenza strategica e ideologica, che ha come premessa la critica degli errori passati. Ma respingiamo al mittente ogni proposta di unità o dialogo con forze di sinistra e centrosinistra, magari sotto elezioni. Una prospettiva che significherebbe relegare i comunisti alla coda di progetti perdenti, che illudono i lavoratori, e che sono perfettamente allineati al potere capitalistico ai diktat della UE e alla Nato, in cambio di qualche posto nelle istituzioni.
Su queste condizioni e a partire da un lavoro comune concreto abbiamo impostato l’unità tra il Partito e il Fronte della Gioventù Comunista e questo riteniamo sia il modello da seguire in futuro. Coscienti della insufficienza delle forze esistenti, a partire da noi, siamo pronti a mettere in discussione la nostra organizzazione a patto che ciò determini un avanzamento e non un passo indietro su quanto, anche se ancora insufficiente, faticosamente è stato costruito in questi anni. Unità con i comunisti, non con quanti vorrebbero trascinare nuovamente i comunisti nel pantano. L’unità senza principi è, al meglio, confusione.
Roma 22 febbraio 2017
UFFICIO POLITICO
PARTITO COMUNISTA
RIZZO (PC): «L’ULIVO 4.0 NON CI INTERESSA. TRA RENZI E D’ALEMA NESSUNA DIFFERENZA»
«Il Partito Comunista non è interessato ad alcuna tipo di alleanza che vada nella direzione della ricostruzione del centrosinistra». Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista sulla proposta avanzata da Bersani. «Quella stagione storica è stata un grande errore per i comunisti e non esiste alcuna condizione per la collaborazione con forze che portano la responsabilità delle politiche antipopolari di questi anni, che sostengono la permanenza dell’Italia nella UE e nella Nato. Questi personaggi che oggi vorrebbero guidare la sinistra sono gli stessi che hanno votato il pareggio di bilancio, il jobs act, la riforma della scuola e che prima ancora promossero analoghe riforme nei governi precedenti. Renzi non è altro che il prodotto finale dei Bersani, D’Alema, di chi ha contribuito a spostare la linea politica del PCI, a scioglierlo e poi a capitolare agli interessi della finanza. Oggi – conclude Rizzo – è questione costitutiva per definirsi comunisti la totale indipendenza rispetto al PD, da ogni ipotesi di nuovo centrosinistra, e dalle forze della cosiddetta sinistra che difendono lo stesso modello di sistema e gli stessi poteri. Questo vale a livello nazionale, quanto regionale e locale. Chi facesse il contrario non potrebbe definirsi comunista».
RIZZO: «SENZA BERTINOTTI I COMUNISTI STAREBBERO MEGLIO».
«Ho l’ultima immagine di Bertinotti con un crocefisso ad un tavolo di conferenze di comunione e liberazione. Oggi in una trasmissione dice che nessuno deve parlare per vent’anni di comunismo. Bene. Se solo lo avesse detto nel 1994 non lo avremmo fatto segretario e oggi le cose per l’Italia e i comunisti andrebbero molto meglio». Così Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista.
Risultati del II congresso nazionale
Si è concluso il 2° Congresso Nazionale del Partito Comunista dopo due giorni di discussione tra i delegati con l’approvazione a larghissima maggioranza del documento politico nazionale, delle modifiche allo statuto e del nuovo regolamento finanziario. Il congresso ha inoltre eletto il nuovo Comitato Centrale, la commissione di garanzia e controllo che sarà presieduta dal compagno Tulli. La prima riunione del Comitato Centrale ha eletto a voto segreto e all’unanimità, il compagno Marco Rizzo a Segretario Generale ed il compagno Canzio Visentin a Tesoriere Centrale e responsabile legale del Partito.
Saranno presto disponibili sul sito del partito i documenti, gli ordini del giorno ed il materiale approvato al congresso. Il riassunto delle iniziative dei due giorni, gli interventi saranno pubblicati sul sito di Riscossa.
ROMA. MUSTILLO (PC): «GIUNTA RAGGI NON E’ ALTERNATIVA»
«L’arresto di Marra conferma l’esistenza di un sistema di potere ben radicato a Roma. Non deve passare in secondo piano la circostanza che ad essere arrestato con Marra è un noto costruttore romano. Qui sta il punto: i cinque stelle non sono stati in grado di essere una vera rottura col sistema di potere che domina Roma da anni.» Così Alessandro Mustillo, segretario del Partito Comunista di Roma. «Assumere una persona legata alle vecchie amministrazioni, con un ruolo così importante, è una responsabilità politica precisa. La magistratura faccia il suo corso, a noi spetta un giudizio politico: chi sceglie la Muraro sceglie la continuità con Cerroni, chi attribuisce incarichi a Marra sceglie la continuità con il sistema di potere dei palazzinari e mafia capitale. Il resto sono slogan da campagna elettorale. Il PD fa schifo, la destra pure, i cinque stelle non sono l’alternativa».
GENTILONI E’ LA REINCARNAZIONE DI RENZI.
La scelta di Gentiloni come Presidente del Consiglio rappresenta la completa prosecuzione del governo Renzi e delle sue politiche, della fedeltà del governo italiano alla UE, alla Nato e agli interessi della Confindustria e della finanza. Una vera e propria reincarnazione di Renzi nel nuovo Presidente del Consiglio, la cui figura è un evidente segnale per “rassicurare” la finanza e le istituzioni internazionali. Si cambia il presidente del consiglio per mascherare l’assoluta continuità delle politiche e degli interessi che sono alla base di esse. Il referendum costituzionale ha evidenziato la volontà dei settori popolari di questo paese di un cambio di passo, di una rottura con le politiche che oggi vengono poste in totale continuità. La risposta è un cambiamento fittizio che servirà solamente a mettere al riparo i risultati delle politiche antipopolari di questi anni.
Le opposizioni presenti in Parlamento non sono realmente alternative agli interessi del grande capitale. Rappresentano solo diversi settori di esso in contrasto tra loro per determinare le rispettive quote di profitto, ma uniti nell’attacco ai diritti dei lavoratori, ai salari, nel peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari.
Nel motivare il nostro No convinto alla riforma costituzionale, avevamo ricordato fin da subito che tale battaglia non era una lotta contro Renzi, come in precedenza non lo è stata contro Monti, Berlusconi ecc. Abbiamo affermato che un semplice cambio alla guida del governo non avrebbe determinato automaticamente alcuna differenza negli indirizzi generali delle politiche dell’esecutivo. Allo stesso tempo ricordiamo che nelle forze attuali, espressioni di interessi che sono altri rispetto a quelli della classe operaia e dei ceti popolari, non esiste alcuna reale soluzione in favore del popolo, ma solo nuove forme di prosecuzione delle politiche in favore dei monopoli.
Il Partito Comunista chiama i lavoratori, i giovani, i pensionati, i disoccupati ad unirsi e rafforzare le strutture del partito, ad aiutarci ad organizzare a partire dalle lotte, le condizioni per la resistenza popolare ed il contrattacco. A non cedere alle illusioni dei partiti di governo e delle opposizioni che non mettono in discussione l’assetto capitalistico della nostra società, la permanenza dell’Italia nella Nato e nella UE che rappresentano un’alternativa tutta interna alle stesse logiche di questo sistema. Solo il rafforzamento del Partito Comunista, delle organizzazioni sindacali di classe, del Fronte della Gioventù Comunista, solo l’organizzazione delle lotte può far avanzare i rapporti di forza per il rovesciamento di questo sistema di sfruttamento.
RIZZO (PC): “SINISTRA CHE CERCA ACCORDI E’ DA RICERCA ANTROPOLOGICA”.
“Vedendo la reazione delle forze di sinistra alla crisi del governo Renzi, penso che non si impari mai dai propri errori. Ancora una volta si tornano a proporre improbabili alleanze e contenitori. A vederli sembrano più interessanti per una ricerca antropologica che per un’analisi politica.” Così Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista intervenendo all’apertura del congresso del Fronte della Gioventù Comunista. “Noi comunisti – conclude la nota – non siamo interessati a nessuna forma di alleanza con chi sostiene la UE, la permanenza dell’Italia nella Nato, che sono le premesse delle politiche antipopolari.”
Sull’esito del referendum costituzionale e le dimissioni di Renzi.
L’esito del referendum ha segnato una pesante sconfitta per il governo Renzi, per il sistema di potere che in questi anni ha interpretato in modo più conseguente e risoluto gli interessi del grande capitale e applicato le politiche antipopolari richieste dalla UE. E’ un segnale importante che il popolo italiano abbia rifiutato il ricatto messo in atto dai media, dalle istituzioni europee, dalle cancellerie internazionali, dagli industriali che hanno ammonito su possibili esiti disastrosi di questa consultazione in caso di vittoria del no. Con una elevata partecipazione popolare, anche in considerazione di una questione tanto tecnica, complessa, e certamente mal spiegata in questi mesi di campagna referendaria, la classe operaia e le masse popolari hanno respinto il tentativo di riforma della Costituzione e la politica del governo.
Dai dati delle sezioni appare evidente una netta vittoria del No, con le sole eccezioni della provincia autonoma di Bolzano da una parte, dove pesa l’indicazione delle forze locali, e dall’altra di Emilia Romagna e Toscana, dove permane un’adesione fideistica nella continuità in cui il vecchio tessuto di radicamento del PCI è stato inglobato nel sistema di potere clientelare del Partito Democratico. Ma anche in questo caso, come era stato nelle recenti amministrative è il voto di classe a pesare contro il PD e il suo sistema di potere. Dove maggiore è l’impatto della crisi, più elevata la disoccupazione, maggiore il peso delle politiche antipopolari, dei tagli sociali, come nel Sud Italia e nelle periferie delle grandi metropoli, più ampia e consistente risulta la vittoria del No. Una presa di posizione che non si limita certamente al quesito referendario, ma che manifesta tutta l’insofferenza contro un sistema di potere asservito agli interessi del capitale, verso le politiche antipopolari volute dalla UE che hanno consentito il salvataggio dei profitti della finanza e delle grandi imprese sulle spalle dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani.
Il Partito Comunista saluta il risultato del referendum come un segnale largamente positivo. Ringrazia le migliaia di militanti e simpatizzanti del Partito impegnati in queste settimane nella propaganda referendaria per il no. Tuttavia siamo ben coscienti che la strada che abbiamo davanti è tutta in salita. L’esito del referendum di per sé non cambia l’assetto politico istituzionale del Paese. Vige oggi in Italia una Costituzione che ha in sé le modifiche peggiorative del pareggio di bilancio e del titolo V introdotto con la modifica costituzionale del 2001, che questo referendum non ha cancellato. Siamo in una condizione in cui i rapporti di forza continuano ad essere assolutamente sfavorevoli per la classe operaia e le masse popolari. Anche le norme più progressive inserite nella costituzione del ’48 ed oggi ancora in vigore non hanno impedito negli anni lo schiacciamento dei diritti dei lavoratori, una diffusa ineguaglianza economica e sociale, la partecipazione dell’Italia a guerre, e così via. Tutto ciò chiama i comunisti ad un lavoro più serrato ed incisivo.
Abbiamo imparato dalla storia recente che la caduta di un governo non determina automaticamente l’inversione delle politiche antipopolari. Non prepara, in queste condizioni di arretratezza, l’arrivo di un governo legato agli interessi della classe lavoratrice. Lo abbiamo visto con Berlusconi, poi con Monti, Letta e poi con Renzi: quale sia la forma, attraverso elezioni o mediante nomina di un governo tecnico, non muta l’insieme dei rapporti di forza, non muta l’indirizzo antipopolare delle politiche dei governi, non cambia la subalternità delle scelte degli esecutivi agli interessi di Confindustria, della finanza, della permanenza nel sistema di alleanze imperialiste dalla UE alla Nato. Ogni governo ha segnato inasprimento delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori, compressioni salariali, riduzione dei diritti, privatizzazioni e tagli dei fondi alla sanità, all’istruzione al settore sociale.
Gli scenari del referendum determinano un rafforzamento immediato di forze politiche che non rappresentano alcun cambiamento reale per i lavoratori. Né il Movimento Cinque Stelle, né le forze populistiche e reazionarie che si addensano intorno alla Lega e a Fdi rappresentano un’opzione favorevole agli interessi popolari. Mai come in questo momento per i comunisti è necessario serrare le fila, incrementare il lavoro politico, il radicamento di classe, rafforzando le lotte e l’organizzazione. Il Partito Democratico guidato da Renzi, resta in ogni caso il partito di maggioranza relativa. Una posizione che non si è indebolita, ma che è risultata irrigidita da questo referendum. La borsa in calo, il valore dell’Euro, lo spred in salita sono pronti a continuare quella condizione di terrorismo sociale già vista in queste settimane, per spingere il consenso nuovamente sul vecchio asse di governo. Il voto di protesta individua al contrario forze che non rappresentano alcuna rottura reale con il sistema capitalistico. La condizione attuale dei rapporti di forza in Italia ci dice chiaramente, senza coltivare alcuna illusione, che i lavoratori, i pensionati, i disoccupati saranno chiamati ancora una volta a scegliere tra opzioni che non rappresentano i loro interessi.
Compito di noi comunisti è aprire in questo scenario spazi di manovra per un’azione di rottura con il sistema di potere del capitale e le sue alleanze internazionali, unica opzione in grado di rappresentare effettivamente gli interessi delle grandi masse popolari. E’ un processo che non si realizza in un giorno, che parte da una condizione di assoluta arretratezza, ma è l’unico percorso in grado di garantire alla rabbia popolare la giusta direzione e guida nel processo di liberazione dall’oppressione capitalistica. Serriamo le fila, prepariamoci agli scenari del futuro, rafforziamo le lotte sociali ed il ruolo del Partito, lottiamo per invertire i rapporti di forza oggi sfavorevoli, per dare all’Italia la possibilità di un’uscita da questa crisi che rifiuti la falsa alternativa tra vecchie e nuove forze reazionarie legate agli interessi del capitale.