È mancato il compagno Gian Maria Pavan, dirigente comunista.            (Commento di Marco Rizzo).

È mancato il compagno Gian Maria Pavan, dirigente comunista. (Commento di Marco Rizzo).

La notizia è arrivata all’improvviso da Milano, prima di un’accentuarsi della sua malattia e, poco dopo, della scomparsa. Gian Maria Pavan è morto.

A nome mio personale e del Comitato Centrale del Partito Comunista voglio dare alla famiglia e a tutti i comunisti di Milano le nostre più sentite condoglianze. Gian Maria Pavan era un militante ed un dirigente comunista. Coniugava un pensiero analitico di altissimo livello ad una pratica militante rigorosa.

La sua lunga storia di comunista è testimoniata dall’affetto che in queste ore si sta manifestando dinnanzi a questa tragica notizia. Conoscevo Gian Maria da oltre trent’anni. Un periodo di tempo che è volato, ma che lo ha sempre visto battersi coerentemente per tenere aperta e viva l’ipotesi comunista in Italia.

Ci mancherai Gian Maria, ci mancherà la voce roca per l’ennesima sigaretta con cui accompagnerai un originale suggerimento per la nostra comune causa.

Ci accompagnerai in questa battaglia irriducibile per ricostruire il Partito Comunista e una società alternativa a quella capitalista. Gian Maria, la terra Ti sia lieve, le nostre idee non moriranno mai.

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RIZZO: «ILVA. L’ACCORDO DI MAIO-CALENDA E’ FATTO»

RIZZO: «ILVA. L’ACCORDO DI MAIO-CALENDA E’ FATTO»

«Il cambio di linea del M5S è strepitoso. Il decreto governativo viene mantenuto e permane anche l’immunità penale per gli inquinatori. Nessun piano ambientale, tanto meno di riconversione, restano gli impianti fuori norma e il lavoro viene comunque umiliato. Dei 13522 dipendenti di Taranto, se il lavoro è assicurato per 10.700 (con o senza Art.18? Tutti e subito o in progressione?) ne mancano all’appello 2822 che sarebbero parcheggiati in cassa integrazione, riceverebbero un incentivo o dal 2023, l’anno che verrà, verrebbero riassorbiti sulla base di un aumento della produzione (e della tossicità?) da parte della Mittel. Plaudono i sindacati concertativi corresponsabili del disastro. Esultano Calenda e Di Maio ovvero la continuità tra PD e M5S. Un vero capolavoro di ipocrisia».

Così Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista.

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FIRENZE. RIZZO (PC): «RICETTA SALVINI E’ USARE POLIZIOTTI CONTRO STUDENTI»

FIRENZE. RIZZO (PC): «RICETTA SALVINI E’ USARE POLIZIOTTI CONTRO STUDENTI»

«La nuova “ricetta” del ministro Salvini è usare i poliziotti contro gli studenti che manifestano per un’università accessibile a tutti al posto di pensare a mafia, corruzione e ai reali problemi». Così Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista in solidarietà agli studenti della gioventù comunista fermati a Firenze. «Fermi e perquisizioni per un semplice volantinaggio sono atti di natura chiaramente intimidatoria, fatti ancora più gravi se si pensa che sono stati attuati contro studenti che manifestavano davanti ad un’aula universitaria. Siamo di fronte ad un’involuzione autoritaria che deve essere fermata. Chiediamo un immediato incontro con il Prefetto di Firenze perché ci illumini sulle ragioni dell’accaduto».

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DISASTRO AUTOSTRADA A10 GENOVA, NESSUNA FATALITÀ MA PRECISE RESPONSABILITÀ. (Dichiarazione di Marco Rizzo segretario del Partito Comunista)

DISASTRO AUTOSTRADA A10 GENOVA, NESSUNA FATALITÀ MA PRECISE RESPONSABILITÀ. (Dichiarazione di Marco Rizzo segretario del Partito Comunista)

Prima di tutto vogliamo fare le condoglianze alle famiglie delle vittime del disastro, che però non è certo il frutto dell’imponderabilità della natura. Le cause generali sono dovute ai processi di privatizzazione delle infrastrutture strategiche. Nel particolare, quel tratto autostradale è tra quelli a   massimo pedaggio e a massima redditività. Per chi? Per i privati che gestiscono le autostrade. E cioè per chi aveva e ha l’obbligo di compiere le manutenzioni straordinarie ed anche le sostituzioni (i ponti quando sono vetusti si ricostruiscono).                                     Solo l’ingordigia del capitalismo (oggi globalizzato) può imporre un modello in cui i servizi fondamentali di una nazione (trasporti, sanità, istruzione ecc.) debbano esser vincolati al profitto di privati e non al benessere pubblico. Il problema è che, da almeno trent’anni, la maggioranza degli italiani (colpevole soprattutto la finta sinistra che ha sposato in pieno il liberismo) credono a questa favola. Forse tragedie come quella di Genova possono iniziare a fare riflettere. La soluzione non è quella di nuovi padroni (buoni, meno voraci ed efficienti) bensì l’espropriazione, la collettivizzazione e una gestione puntuale di questi settori, insieme a quelli della produzione industriale strategica (grande manifattura, acciaio, alluminio…). Pare che su quel maledetto ponte passassero 25 milioni di utenti all’anno. Quanti miliardi di € si sono intascati i privati infischiandosene evidentemente della sicurezza? La tragedia è simile a quella occorsa nelle Marche nel 2017. Questi “signori del mercato” privatizzano i loro profitti scaricando pericoli e insicurezza su tutto il popolo. A volte non sono neanche multinazionali ma, come in questo caso, “padroni” italiani, a riprova che il problema non è la sovranità bensì il mercato. Il problema è il capitalismo. Bisogna appunto espropriare, nazionalizzare e, con le risorse riacquisite, allestire un grande piano di manutenzione (anche del territorio) che garantisca sicurezza e centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, rompendo tutti i vincoli di compatibilità UE. Riprendiamoci il maltolto. Per fare questo serve lo Stato.Uno Stato diverso da quello borghese.Per fare questo serve il Socialismo.Chissà se il “cambiamento” passerà anche da Genova?

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Marchionne il santo del mercato – Commento di Marco Rizzo

Marchionne il santo del mercato – Commento di Marco Rizzo

Adesso che la notizia della morte (almeno quella ufficiale, su perfetta dettatura al passo coi tempi borsistici)  è acclarata, credo si possa e si debba fare un bilancio di quello che è stata la sua azione al di là dei processi di santificazione in atto. Chi ha avuto l’opportunità anche solo di seguire le sue interviste, che hanno attraversato a reti unificate i palinsesti televisivi e giornalistici in questi giorni, si è reso conto che il suo unico valore (anche onesto nella sua crudezza) era il business, il mercato, la globalizzazione capitalistica e che, ad essi, era utile sacrificare ogni libertà sociale ed anche individuale. Un vero e proprio paradigma con cui riscaldare gli animi spenti degli uomini e donne “senza qualità” che, in modi contraddittori, osannano e, al tempo stesso, subiscono il governo della modernità globalizzata. Marchionne ha sempre seguito la linea filo-governativa della Fiat sin dai tempi del nonno dell’Avvocato, secondo l’assioma di “socializzare le perdite e  privatizzare i profitti”. Dopo essersi appropriato di qualsiasi tipo di finanziamento pubblico ha trasferito la sede legale e fiscale all’estero, lasciando in Italia stabilimenti vuoti dopo aver prospettato un “progetto Italia”, usato come leva di ricatto per vincere il referendum a Pomigliano d’Arco e Mirafiori,  grazie alla complicità dei sindacati confederali e al forte sostegno di tutto il vertice del PD, nazionale e locale, da Veltroni a D’Alema (Renzi non era ancora arrivato), da Fassino a Chiamparino. Un passaggio fondamentale nell’azzeramento dei diritti e della forza dei lavoratori in Italia, fungendo da apripista al Jobs Act Renziano.

Il “modello Marchionne” ha costituito le basi per l’attacco definitivo al contratto di lavoro nazionale, condito con caratteri coercitivi e repressivi, come le minacce di licenziamento ai militanti comunisti e sindacali così come ai dipendenti in malattia, i turni massacranti, le pause praticamente azzerate (coi dipendenti di fatto obbligati a urinarsi addosso) e poi i reparti confino, i riposi forzati e la cassa integrazione.

La dottrina Fiat ha sempre violato i diritti e le libertà fondamentali nei confronti dei propri dipendenti. Sin dai tempi di Valletta (quando l’Avvocato giocava ancora a fare il play-boy) è sempre stata negata l’agibilità ai comunisti, la libertà di iscriversi al sindacato (quando era ancora conflittuale e di classe),  di scioperare, di dire come la si pensava sui modelli e metodi di produzione, sulla possibilità di avere idee in conflitto con quelle della proprietà e delle gerarchie aziendali. A tutti i livelli della Fiat “fare carriera” era  possibile solo dimostrando fedeltà da suddito verso chi  comanda. La logica del “ruffian”, un piemontesismo che spiega bene come l’unico “merito” che vigeva in Fiat, e oggi in Fca, sia quello del servilismo verso i vertici. Chi protestava e protesta è sempre stato accomunato ai malati, agli invalidi, a tutti quelli che sono stati definiti non sufficientemente produttivi. A tutti costoro la Fiat ha saputo dispensare punizioni, emarginazione, e licenziamenti. Sin dagli anni ’50 per arrivare all’ottobre 1980, esser licenziati dalla Fiat ha sempre significato la cancellazione della possibilità di ottenere qualsiasi altro posto di lavoro. Si finiva nelle liste nere di quelli da non assumere mai più in nessun altro luogo di lavoro. E chi non veniva licenziato finiva nei “reparti confino”. Luoghi della fabbrica con attività e scopi sostanzialmente inventati, la cui unica  vera missione  era quella di tenere assieme coloro che l’azienda voleva emarginare, ma che, ancora, non poteva licenziare.

Un tassello di storia rappresentato negli anni ’50 appunto dall’ Officina Stella Rossa, col nome stesso con cui gli operai comunisti la apostrofarono e che, alla fine,  fu chiusa con il licenziamento totale di tutte le maestranze.

Negli anni ’80, dopo la “lotta dei 35 giorni” e la  “marcia dei 40mila” furono adottate le Unità Produttive Accessorie -UPA-  dove furono appunto confinati i malati e gli attivisti politici e sindacali non consoni ai dettami dall’azienda, guidata all’epoca da Cesare Romiti. La stessa logica sotto la gestione di Sergio Marchionne per gli operai di Pomigliano, che si sono ritrovati nei reparti confino di Nola , con l’unica differenza di avere un nome non più italiano -World Class Logistic- è il termine ufficiale con cui si definivano quei reparti. A Pomigliano, come a Torino, l’azienda gioca duro contro gli operai ribelli, il conto finale è costituito da decine di suicidi. Marchionne ha costruito quella che si può definire una ‘linea’ concreta fino allo stremo, uno ‘stile nuovo’, come si sono affrettati a dichiarare in molti. Il tutto finalizzato al business, al profitto, alla produzione.

Incurante di ogni aspetto che non sia quello di accrescere gli utili, ridurre le spese, azzerare i costi “superflui”. Come diceva Marx: i capitalisti sono condannati, per così dire, a non mollare mai, devono andare avanti, devono raccogliere denaro per produrre profitto, devono investire denaro per produrre altro profitto e raccogliere altro denaro, e questo deve accadere anche quando il denaro è virtuale, anche quando si costruiscono gli imperi finanziari sui debiti, e alla fine si è incuranti degli uomini, dell’ambiente, dei valori e della morale, di tutto. Al di là di quanto abbia lavorato, e di quanto abbia guadagnato, Marchionne è stato ripagato infine con la sua stessa “valuta”: i vertici aziendali, con in testa la proprietà e l’alto management, hanno immediatamente provveduto ad “archiviare la pratica”, ossia a considerarlo morto prima che morisse (sarebbe avventato scommettere sulla data del decesso) in ossequio al valore dei titoli Fca, Ferrari ecc. Insomma, conta il business, conta il mercato. E Marchionne può diventarne solo un  santo. Subito, perché il mercato è un inferno che non ammette ritardi e debolezze.

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MESSAGGIO DEL PARTITO COMUNISTA (ITALIA) AL PARTITO COMUNISTA DI GRECIA-KKE

MESSAGGIO DEL PARTITO COMUNISTA (ITALIA) AL PARTITO COMUNISTA DI GRECIA-KKE

Il Partito Comunista (Italia) esprime il suo pieno sostegno e la sua solidarietà al popolo greco e al nostro partito fratello, il KKE.

Invia con tristezza le sincere condoglianze alle famiglie delle decine di morti, vittime del catastrofico incedio che ha colpito la regione dell’Attica.

Siamo profondamente convinti che questi drammatici avvenimenti non sono solamente i risultati del “caso” ma sono strettamente collegati con la mancanza di prevenzione, di tempestivo intervento e di assenza sostanziale di una effetivo piano nazionale di protezione civile.

Lo stato borghese e i suoi governi, di destra e di sinistra, non realizzano un efficace piano nazionale di protezione antiincedio, antialluvionale e antisismico perchè lo considerano come un “costo” senza immediato profitto capitalistico, e questa assenza ha come principali vittime ogni volta i larghi strati popolari e i loro beni domestici.

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L’Iniziativa Comunista Europea contro il Vertice NATO a Bruxelles

L’Iniziativa Comunista Europea contro il Vertice NATO a Bruxelles

L’11 e 12 luglio si terrà a Bruxelles, in Belgio, un vertice dei capi di Stato e di governo della NATO, con un pericoloso programma a danno dei popoli.

Vertici precedenti di questo tipo sono stati usati per introdurre nuove politiche reazionarie e ammettere nuovi membri nella NATO. Negli ultimi anni, la NATO ha avanzato decisioni per la creazione di formazioni militari multi-tentacolari intorno alla Russia, un nuovo corpo di intervento rapido imperialista, una più profonda cooperazione con l’UE nonostante le rivalità sempre più intense tra USA e UE, per l’assegnazione del 2% del PIL degli stati membri alle spese militari. L’incontro dello scorso anno è coinciso con la controversa integrazione del Montenegro nell’alleanza contro la volontà popolare dei montenegrini, mentre a margine dell’intenzione di espandere il controllo euro-atlantico dei Balcani occidentali e del Mar Nero sta adesso preparando l’integrazione della FYROM, così come dell’Ucraina e della Georgia. L’accordo tra i governi della Grecia e della FYROM viene utilizzato come lasciapassare ai fini dell’integrazione della FYROM, che promuove i pericolosi piani UE-NATO nei Balcani.

Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la NATO si è costantemente espansa in Europa e oltre, il che contrasta con le sue affermazioni sul rafforzamento la stabilità, ha ulteriormente aggravato le contraddizioni inter-imperialiste e incoraggiato i suoi Stati associati, membri a pieno titolo o meno, a promuovere e intensificare le misure anti-popolari. I governi allineati alla NATO sono stati in grado di perseguire politiche che alimentano conflitti etnici come nei Balcani, negli Stati baltici, in Georgia o in Ucraina, per servire gli interessi dei monopoli nel loro obiettivo di controllare le risorse energetiche, le loro vie di trasporto, i mercati.

I paesi della NATO si sono recentemente impegnati a erogare il 20% delle loro spese per la difesa nelle principali spese di equipaggiamento, fornendo una notevole fonte di reddito ai suoi monopoli. Il recente annuncio della Colombia come “partner globale” della NATO, implica non solo un rafforzamento degli Stati Uniti nel continente sudamericano, ma anche nuove ampie opportunità economiche per i monopoli nei mercati del Centro e Sud America.

Attualmente si evidenziano serie competizioni all’interno dell’alleanza imperialista, che si vedono in pratica nel sorgere di una guerra commerciale principalmente tra gli Stati Uniti e altri membri dell’organizzazione. In questo contesto, l’intensificazione della militarizzazione dell’UE con la sua politica di sicurezza e di difesa comune e la “Strategia internazionale” dell’UE che prevedono pericolosi piani come la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), l’Iniziativa Europea d’Intervento e la cosiddetta Mobilità Militare, nel quadro della cooperazione con la NATO, ma che vedrà a loro volta gli imperialisti dell’UE portar avanti i propri interessi in modo indipendente, con il continente Africano e il Medio Oriente come obiettivi specifici del coinvolgimento militare dell’UE e dei suoi stati membri.

Alla luce di questi sviluppi, è chiaro che le alleanze imperialiste stanno diventando sempre più instabili, che non possono esser permanenti e che il sistema capitalista alla loro base sta diventando sempre più reazionario e pericoloso. Il reiterato mito borghese dell’UE come progetto di pace si è rilevato in realtà l’esatto opposto.

Rafforziamo la lotta contro la guerra imperialista, l’UE, la NATO e tutte le alleanze imperialiste!

Mettiamo fine al sistema capitalista che genera guerre, crisi, rifugiati, sfruttamento!

Viva il socialismo!

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FESTA NAZIONALE a ROMA

FESTA NAZIONALE a ROMA

“Unità!” è il nome della Festa Comunista 2018, che si svolgerà a Roma dal 5 al 15 Luglio, nell’ormai storica cornice del parco del circolo ARCI Concetto Marchesi in via del Frantoio. Tutte le sere dibattiti sulla politica locale e internazionale, presentazione di libri, la nostra cucina, bar aperitivi e poi concerti, spettacoli teatrali, ballo e tanto altro.

5 GIO
· ore 18: Presentazione “Resistenze” di Valerio Nicolosi
https://www.facebook.com/events/331796170692172/
· ore 22.00 : Live Concert DavidShortBrassFactory

https://www.facebook.com/events/610489445988284/

6 VEN
· ore 17.45: maurizio mannoni (TG3) intervista Marco Rizzo
· ore 22.00: Idp Ska Ensemble e CONTROMANO in concerto
https://www.facebook.com/events/206797116828780/

7 SAB
· ore 18.00: Sport Popolare: Ne parliamo con Gery Bavetta
· ore 22.00: Stand-Up Comedy Night – Ingresso Gratuito

8 DOM
· ore 18.00: Sulla Pelle il sudore ha lo stesso colore: Hardeep Kaur Mediatrice Culturale, Braccianti e Lavoratori Agricoli
· ore 20.00: Pierpaolo Capovilla interpreta Majakovskij – Lettura Scenica
· ore 22.00: Le Canzoni Romane “I cugini di città” Emiliano Gentili

9 LUN
· ore 18.00: Politiche del lavoro e lotte sotto la giunta 5 Stelle
con R.Saraceni ex CORPA, R.Betti SGB M.Carucci CUB
· ore 22.00:”mi troverai tra le costellazioni” spettacolo teatrale sulla resistenza picena di e con  Emiliano Valente
+ Ballo con Nino e la sua band
https://www.facebook.com/events/1586258381485413/

10 MAR
· ore 18.00: Tommaso Caldarelli intervista: Luca Paolucci FGC

Valerio Fransesini Link
· ore 22.00: The High Flying Band, Oasis cover band
https://www.facebook.com/events/151724662367245/

11 MER
· ore 18.00: Speculazione edilizia e diritto alla casa. Ne parliamo con Cristiano Armati Movimento diritto all’abitare
ore 22.00:

 Giulia Ananìa con lo spettacolo BELLA GABRIELLA. Dedicato a Gabriella Ferri.  https://www.facebook.com/events/192378794815198/

12 GIO
ore 18.00: Palestina Rossa. Ne parliamo con Khaled EL Qaisi.
Unione democratica Arabo Palestinese Paolo Spena FGC
ore 22.00: CiaoRino, Rino Gaetano cover band https://www.facebook.com/events/1257419787728159/

13 VEN
Enrico Capuano https://www.facebook.com/events/162884427904500/

14 SAB
· ore 18.00: Musica e Arte Militante ne parliamo con Leonardo Crudi artista – BANDA BASSOTTI – FGC
· ore 20.00: Comizio Finale con Marco Rizzo e Lorenzo Lang
· ore 22.00: Radici nel cemento
https://www.facebook.com/events/1556708261107436/

15 DOM
Serata danzante + Nino e la sua band

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Sul governo M5S-Lega e i compiti dei comunisti

Sul governo M5S-Lega e i compiti dei comunisti

Lo scontro istituzionale sulla formazione del governo si è concluso ormai da settimane, e il nuovo governo targato Cinque Stelle – Lega si è insediato con il beneplacito del Presidente della Repubblica. Quella che segue è l’analisi del Partito Comunista sulle vicende delle ultime settimane, sul carattere del governo M5S-Lega e i compiti dei comunisti nella fase attuale.

COSA C’È DIETRO LA CRISI ISTITUZIONALE?

Di questa crisi istituzionale, creatasi dopo il rifiuto del Presidente della Repubblica Mattarella di nominare ministro dell’economia Paolo Savona, ciò che dovrebbe far riflettere non è tanto l’azione esercitata dal Capo dello Stato nel decretare un’esclusione dal punto di vista politico, quanto la giustificazione che, per bocca dello stesso Mattarella, è arrivata a sostegno di questa decisione.

Il rigetto della prima proposta dell’allora Presidente del Consiglio in pectore Giuseppe Conte è stata motivata con l’intento di evitare le fluttuazioni sui mercati finanziari, l’impennata dello spread, e di rassicurare i grandi investitori stranieri, insomma, il grande capitale, rendendo evidente ciò che i comunisti dicono da sempre: le scelte della politica sono fortemente piegate agli interessi dei settori economicamente dominanti. Sono più attuali che mai le parole che Lenin scriveva un secolo fa: “La potenza del Capitale è tutto, la Borsa è tutto. Il parlamento, le elezioni sono un gioco da marionette, di pupazzi”. Il Presidente della Repubblica ce ne ha dato una prova lampante.

Sarebbe un errore, però, ritenere che nello scontro in atto, che si è riflesso in Italia nella crisi istituzionale, ci siano attori più o meno vicini agli interessi delle classi popolari e dei lavoratori. Quello a cui abbiamo assistito in queste settimane è una prova di forza del tutto interna alla classe borghese, nella quale si consuma uno scontro fra settori con interessi economici differenti se non addirittura contrapposti, che si ripercuotono in differenti prospettive politiche rispetto al rapporto con i mercati internazionali e con gli attuali schieramenti imperialisti. La crisi economica ha accentuato le fratture esistenti nel campo borghese, in senso verticale tra la grande impresa, i monopoli internazionali e la piccola e media produzione nazionale e in senso orizzontale tra le diverse fazioni del grande capitale. La Lega e il Movimento 5 Stelle, seppur ancora timidamente, sono espressione di queste contraddizioni.

Comprendere lo sviluppo di questi processi nel contesto più generale della crisi economica e del mutamento degli equilibri internazionali è fondamentale per evitare l’errore di porsi semplicemente alla coda degli interessi di uno dei settori oggi in competizione.

L’attuale fase politica in Italia è caratterizzata dalla crisi di consenso di quelli che per anni sono stati i tradizionali partiti di riferimento delle classi dominanti. È questa la prima chiave di lettura per comprendere la natura del nuovo Governo targato M5S-Lega e lo scontro ancora in corso in seno alla borghesia italiana.

Le elezioni politiche dello scorso 4 marzo avevano fotografato un sentimento diffuso a livello di massa di sfiducia verso la classe politica “tradizionale”, responsabile dell’attacco ai diritti e del tradimento dei lavoratori. A farne le spese è stato principalmente il Partito Democratico e con esso tutte le forze di sinistra o percepite come tali, a prescindere dalle effettive responsabilità politiche (che comunque nella gran parte dei casi erano presenti). A prevalere, invece, è stato il voto di protesta, che premia le forze percepite come “alternative” allo stato attuale delle cose. Su questa base elettorale, quella di un voto contro l’establishment e la politica, poggia l’illusione del governo “del cambiamento”, legato alla percezione di novità di queste forze politiche, abilmente alimentata dalla retorica politica degli annunci roboanti di Di Maio sulla nascita della “Terza Repubblica”.

Se per anni il Partito Democratico è stato il principale partito di governo, e per questo il principale riferimento per le grandi imprese, per il grande capitale italiano ed europeo, oggi diventano forze egemoni del panorama istituzionale due forze politiche che in questi anni hanno costruito il proprio consenso in modo interclassista nei settori popolari e tra il ceto medio, modellando, però, le principali proposte politiche sulle parole d’ordine della piccola e media borghesia schiacciata dalla crisi e trascinando i settori popolari alla coda di questi interessi. Il consenso che questi partiti sono riusciti a intercettare tra i settori popolari emerge incontrovertibilmente dalla distribuzione territoriale del voto, con una differenza enorme – ad esempio – fra le periferie, i quartieri popolari e le aree benestanti. Questo dato si è fatto ancora più evidente nel caso della Lega, nell’ultima tornata elettorale amministrativa del 10 giugno. Ma di per sé questo non indica un cambiamento radicale nell’indirizzo politico del paese.

UN PROGRAMMA DI GOVERNO ANTIPOPOLARE

Dal “contratto” stipulato tra il Movimento 5 Stelle e la Lega, base programmatica per la formazione del governo, oltre ad essere elemento di privatizzazione della politica anche nelle forme, si evince chiaramente quale è e sarà l’indirizzo di queste forze politiche nei confronti dei lavoratori, delle loro tutele e dei loro diritti. È proprio sui temi sociali che si evidenzia il carattere inevitabilmente antipopolare di questi partiti.

Sul tema del lavoro, ad esempio, non si parla mai di abolizione del Jobs Act, e non è un caso se la Confindustria si sia mossa chiedendo a gran voce che non venissero toccate le misure del governo Renzi. Le timide dichiarazioni di Di Maio, che non è andato oltre una generica affermazione per cui il “Jobs Act va rivisto”, confermano questo indirizzo. Non si mette mai davvero in discussione il sistema di lavoro precario costruito in Italia a partire dal “Pacchetto Treu” e proseguito con la Legge Biagi; in compenso si spazia dalla reintroduzione dei voucher (o di una forma giuridica analoga) alla “riduzione del cuneo fiscale” per le imprese che assumono, slogan che per decenni si è tradotto nel semplice trasferimento di risorse dallo Stato alle imprese private, mentre la precarietà non solo non veniva eliminata in modo strutturale, ma al contrario cresceva sempre più. Misure analoghe furono approvate dal governo Renzi negli anni passati con il solo risultato che una volta terminati gli incentivi all’assunzione, per l’appunto gli sgravi fiscali, i lavoratori venivano licenziati. Quella che doveva essere una misura per incentivare l’occupazione si è tradotta nell’ennesima manovra di precarizzazione. Ulteriori alleggerimenti nella tassazione per le imprese erano poi presenti nelle ultime due finanziarie approvate con Renzi come Presidente del Consiglio. Insomma, la continuità con le politiche antipopolari degli ultimi decenni è in questo caso evidente.

Ben poco sul contrasto alla precarietà, mentre si rilancia la flat tax con aliquota doppia, una misura che comporterebbe la drastica riduzione delle tasse per i ricchi, ma non per i lavoratori. Salvini ha detto candidamente che è giusto che i più facoltosi paghino meno tasse, giustificando questa posizione con la classica favoletta del ricco che investe e fa girare l’economia. L’unico effetto della flat tax sarebbe, al contrario, l’aumentare dei profitti per i pochi che continuano ad arricchirsi andando a penalizzare tutti i settori popolari colpiti dai tagli ai servizi o dall’aumento ventilato dell’IVA, tassa sul consumo che non avendo carattere di proporzionalità colpisce con più forza le fasce economicamente più deboli. Una riforma liberista, esattamente come il reddito di cittadinanza, manovra macroeconomica di sostegno alla domanda che servirà a incentivare il consumo, consentire nuovo deficit e mantenere tollerabile proprio quella situazione di precarietà e insicurezza lavorativa creata dalle riforme sul lavoro di questi anni. Una misura da cui i primi a trarre giovamento saranno i padroni (non a caso la stessa Confindustria ha dato più volte pareri positivi su una manovra di questo tipo), che vedranno una crescita dei loro profitti grazie ai maggiori consumi e potranno continuare a imporre una competizione al ribasso su salari e diritti.

Non si parla del diritto alla casa e di come garantirlo a tutti, ma in compenso si parla di velocizzare le procedure di sgombero degli immobili occupati. Nulla sulle delocalizzazioni che stanno trasformando l’Italia in un deserto di fabbriche chiuse lasciando migliaia di lavoratori per strada, ma in compenso si propone di istituire un Ministero del Turismo per valorizzare il patrimonio culturale senza spiegare con quali deleghe e quali politiche (mentre risulta chiaro che il patrimonio produttivo viene trasferito all’estero dai grandi capitalisti). Anche sulla scuola, mascherata da critica alle “inefficienze” e ai malfunzionamenti delle riforme del precedente governo, si ritrova nel “contratto” una sostanziale continuità con le politiche di asservimento dell’istruzione agli interessi delle imprese, non si parla mai esplicitamente di abolizione della Buona Scuola o dell’alternanza scuola lavoro ed anzi, Conte ha dichiarato apertamente che non vi saranno stravolgimenti per quanto riguarda la scuola italiana.

Insomma, dal punto di vista degli attacchi al mondo del lavoro la prospettiva delle forze “populiste” è in piena continuità con le manovre poste in essere da tutti i governi precedenti. Queste posizioni riflettono l’unità della borghesia in quanto classe che ritrova una totale comunanza d’interessi nelle manovre di abbattimento del costo del lavoro nella propria lotta per la massimizzazione dei profitti. Ad accompagnare tutto questo, le derive reazionarie, se non apertamente autoritarie, che già si profilano sui temi della “sicurezza”, dell’immigrazione e persino dei diritti civili, con un ministro che afferma di voler contrastare ideologicamente il diritto all’aborto e le unioni civili.

LO SCONTRO IN SENO ALLA BORGHESIA E LE FRIZIONI FRA UE, BRICS e USA

Le principali divergenze rispetto ai governi precedenti riguardano gli ambiti in cui la crisi economica ha prodotto (o accentuato) in seno alla borghesia fratture e contraddizioni di cui Lega e Cinque Stelle sono espressione. Questi contrasti non si concretizzano unicamente tra piccola e media impresa con i monopoli internazionali: esiste una divisione interna ai principali settori del grande capitale stesso, tanto in Italia quanto a livello europeo, che si riflette tra le altre cose nella scelta delle alleanze internazionali.

A fronte di gruppi dominanti che restano saldamente ancorati alla prospettiva del mercato comune europeo e della fedeltà all’Alleanza Atlantica, esistono settori che oggi vedono come vantaggiosa la prospettiva della cooperazione dell’Italia con la Russia, la Cina, e più in generale con l’area dei c.d. paesi “Brics”. Del resto, la “linea dura” promossa dal presidente USA Donald Trump contro la Russia e l’Iran colpisce in primo luogo gli interessi di una parte del capitale europeo, che a causa delle sanzioni contro questi paesi rischia di vedersi costretto a rinunciare a incassi miliardari. È proprio a causa di questi interessi, non del tutto coincidenti con quelli dei grandi monopoli USA, che nel capitale italiano ed europeo lo scontro verte sempre più sui temi del rapporto del mercato europeo, con Russia, Cina, Iran ecc. La recente apertura della Francia di Macron nei confronti della Russia è un sintomo evidente di questo processo come le parole pronunciate dal Presidente Conte durante il discorso per la fiducia in cui si ribadiva la “permanenza dell’Italia nella NATO con gli Stati Uniti come alleato privilegiato” ma si auspicava un riavvicinamento dell’Italia alla Russia e la volontà di una “revisione nel sistema delle sanzioni”. A queste parole non è poi tardata ad arrivare la risposta della cancelliera tedesca Angela Merkel e del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg che hanno invece riaffermato che il regime delle sanzioni deve essere mantenuto.

In Italia, infatti, la bussola di alcuni settori della grande impresa oscilla sempre di più verso mercati diversi da quello USA, e non è un caso: l’Italia, ad esempio, è il primo partner commerciale dell’Iran in Europa con un volume di interscambio di 1,2 miliardi di euro all’anno e questo è un dato con cui ogni governo nei prossimi anni dovrà fare i conti. La posizioni di disallineamento dalle alleanze tradizionali è ancora minoritaria fra i settori dominanti del capitale italiano, ma avanza a gran velocità fra la media e piccola borghesia schiacciata dalla crisi, che in assenza di un movimento operaio capace di esprimere una posizione autonoma trascina con sé anche ampie fasce di proletariato.

Lo scontro nel grande capitale internazionale, però, è ben lontano dall’essersi assestato in uno confronto bipolare e anzi presenta elementi di frizione e instabilità interni alle alleanze imperialiste stesse, tra settori differenti in una stessa nazione e tra i monopoli sul piano internazionale. Anche all’interno del campo dello schieramento atlantico, infatti, esistono fratture sull’indirizzo economico e politico da perseguire. Se da un lato gli USA hanno bisogno di un’Europa unita nello scontro commerciale con gli altri principali attori economici non necessariamente sono avvantaggiati dalle politiche di austerità imposte da Bruxelles e dai rapporti di forza esistenti nel quadro dell’Unione Europea. Lo scontro tra i monopoli statunitensi e quelli tedeschi è sempre più forte e si è già manifestato in passato nell’arenarsi delle trattative del TTIP, mai andato in porto proprio per la contrarietà della Germania, a cui ha fatto seguito l’introduzione negli USA dei dazi doganali per l’acciaio e l’alluminio. Le politiche protezioniste USA hanno colpito tutti gli esportatori europei alle cui rimostranze Trump rispose con un tweet dai toni accesi: “L’Unione europea, Paesi meravigliosi che trattano gli Usa molto male sul commercio, si stanno lamentando delle tariffe su acciaio e alluminio. Se lasciano cadere le loro orribili barriere e tariffe su prodotti Usa in entrata, anche noi lasceremo cadere le nostre”.

La possibilità di una guerra commerciale tra USA e Unione Europea (con un ruolo di primo piano che sarebbe giocato da Germania e Francia), paventata pochi giorni fa anche dall’europarlamentare Guy Verhofstadt durante una seduta del Parlamento Europeo, produce una maggiore intransigenza delle classi dominanti europee rispetto a possibili disallineamenti, e contrariamente un interesse della borghesia USA verso la prospettiva di una UE che non sia completamente a trazione tedesca, contribuendo all’instabilità dei campi imperialisti a livello internazionale con riflessi nella dialettica politica interna ai diversi Stati. È sullo sfondo di questo scontro di portata internazionale, della competizione fra i grandi monopoli capitalisti dei diversi schieramenti, che si sviluppano le discussioni relative all’indirizzo che prenderanno i governi dei diversi paesi europei.

In questo quadro si può spiegare l’azione operata da Mattarella nel rifiuto di Savona come ministro dell’economia che, pur non essendo meccanicamente interpretabile – come tanti hanno fatto – come una ingerenza di uno Stato terzo nella politica italiana, è certamente espressione di una tensione internazionale realmente esistente ed ha rappresentato un elemento di compensazione tra gli interessi contrapposti della borghesia. Quello in campo infatti non è uno scontro tra realtà statuali (al cui interno sono rappresentati interessi di classe tra loro inconciliabili) quanto semmai il confronto degli interessi di differenti settori del capitale che utilizzano gli Stati per il perseguimento dei propri profitti, e non si tratta di certo di una novità.

In questo contesto gli appelli di carattere nazionalistico e “patriottico” diventano, nelle mani dei settori che ambiscono a svincolarsi dai legami univoci imposti dal sistema di alleanze atlantico, un’arma potente per la costruzione del consenso. Non è un caso che nel “contratto di governo” ricorra frequentemente lo slogan dell’interesse nazionale, né sono stati casuali i tentativi di strumentalizzare politicamente la giornata del 2 giugno, con gli appelli a manifestare e ad esporre il tricolore italiano. Gli slogan nazionalisti strizzano l’occhio agli interessi di una piccola e media impresa intenta ad invertire il proprio processo di proletarizzazione e che si sente schiacciata all’interno di un mercato comune che oltre ad asfissiarla con la concorrenza spietata dei grandi monopoli le impedisce di ampliare gli orizzonti commerciali per le proprie merci.  Ma soprattutto, il nazionalismo diventa un arma per costruire il consenso fra i lavoratori, proiettando il sentimento di rivalsa verso “l’esterno”, celando la responsabilità della borghesia italiana nelle politiche di attacco ai diritti delle classi popolari.

Sarebbe un errore pensare che sia in atto uno scontro fra il neoliberismo e la sudditanza alla UE, da un lato, e la “sovranità” e l’interesse dei popoli dall’altro, così come intravedere nelle politiche di carattere protezionistico un recupero di “sovranità” a vantaggio delle classi popolari. È vero, al contrario, che politiche di questo tipo corrispondono agli interessi di una fetta del capitale italiano e alla volontà di questi settori di tutelarsi – questo sì – dalla concorrenza del capitale estero, ma solo per poter applicare più a fondo e con maggiori profitti una nuova stagione di politiche di rapina ai danni dei lavoratori.

IL RUOLO DEL GOVERNO M5S-LEGA RISPETTO ALLO SCONTRO IN SENO ALLA BORGHESIA

La politica, però, non può spingersi oltre quello che è l’effettivo livello di rottura dei vari settori del capitale. Il fatto che sul panorama politico si affaccino posizioni che sono espressione delle contraddizioni presenti nel campo borghese non significa automaticamente che queste contraddizioni siano pronte per scoppiare. Le posizioni definite “sovraniste”, seppur abbracciate da larghissime fasce della piccola e media produzione, possono esprimersi concretamente solo laddove incontrino il favore di importanti settori del grande capitale o laddove le contraddizioni internazionali si siano spinte a tal punto da far venir giù l’impianto istituzionale esistente, condizioni che il campo europeo e italiano ancora non presentano.

È all’interno di questo contesto che avviene un ammorbidimento delle posizioni più “radicali” di Movimento 5 Stelle e Lega, con innumerevoli dichiarazioni di conciliazione, spesso contraddittorie con le posizioni che quei partiti hanno sostenuto fino a poco tempo fa. L’espressione di una linea sempre più conciliatoria è progredita in crescendo, di pari passo con l’avvicinarsi della prospettiva concreta del governo. Sono stati evidenti i tentativi di rassicurare i poteri forti circa la capacità del nuovo governo di garantire gli interessi in ballo. Già in campagna elettorale, fu emblematico il modo in cui entrambe le forze hanno modificato, se non addirittura rinnegato, le loro precedenti posizioni “sovraniste” sull’Unione Europea, in favore di una linea più morbida che si guarda bene dal parlare di rottura con la UE e l’euro.

Nel già citato contratto di governo, ad esempio, sulla politica estera compaiono affermazioni morbide che, in proporzione, sono più di continuità che di svolta: “Si conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)”. Sarà interessante, ad esempio, capire come se la caverà il ministro Di Maio, firmatario in fase elettorale dell’ICAN Parliamentary Pledge (che sottoscrive e aderisce al trattato ONU di non proliferazione delle armi nucleari) con la sostituzione di decine di bombe nucleari in Italia con le nuovissime e ancor più distruttive B61-12.

Nel punto sull’Unione Europea, è scomparsa ormai da tempo la critica “sovranista” sostituita da enunciati sulla necessità di migliorare e riformare la UE, addirittura elogiando i trattati europei esistenti con affermazioni come “l’Italia chiederà la piena attuazione degli obiettivi stabiliti nel 1992 con il Trattato di Maastricht, confermati nel 2007 con il Trattato di Lisbona”. Per molti dei punti elencati nel programma, gli obiettivi politici vengono declinati nei termini dell’attività nelle sedi UE per promuovere gli interessi delle imprese italiane. Sull’agricoltura, ad esempio, si afferma che “È necessaria una nuova presenza del Governo italiano a Bruxelles per riformare la politica agricola comune (PAC)”.

Questo processo di riallineamento però non è bastato, e il governo M5S-Lega sembra aver suscitato comunque preoccupazioni. I settori dominati del capitale italiano e europeo che, volenti o nolenti, si vedono costretti ad avere come riferimento per la tutela dei loro interessi due partiti “diversi” (almeno in parte) da quelli che hanno governato negli ultimi anni. È a partire da questa preoccupazione che si spiega la pressione esercitata da gran parte dei mezzi di comunicazione, le dichiarazioni delle autorità europee sul carattere “populista” del nuovo governo, fino ad arrivare allo scontro con il Presidente della Repubblica in merito al veto posto su Paolo Savona come Ministro dell’Economia.

D’altra parte, il rifiuto nella nomina del ministro dell’economia da parte di Mattarella ha rischiato di tramutarsi in un vero e proprio passo falso e di trasformare una ipotetica nuova tornata elettorale in plebiscito per Lega e 5 Stelle.

In queste vicende si intravedono i sintomi evidenti di una fase di assestamento, in cui forze politiche che hanno fondato il loro consenso sul voto “di protesta”, e che hanno fatte proprie molte delle parole d’ordine proprie della media e piccola borghesia schiacciata dalla crisi, devono ancora entrare in totale sintonia con le volontà e le esigenze dei settori dominanti del grande capitale, i cui precedenti partiti di riferimento sono passati in secondo piano nella scena politica. Un assestamento che deve necessariamente arrivare in questa fase se non si mettono in discussione i paradigmi su cui si basa questo sistema, come accaduto in Grecia dove supino il governo Tsipras ha adottato tutte le misure antipopolari richieste, o tutt’al più, in un contesto europeo in mutamento, una frattura politica nell’eurozona porterebbe ad una ricomposizioni degli equilibri e delle alleanze internazionali lasciando inalterati i destini dei popoli.  

 

I COMPITI DEI COMUNISTI IN ITALIA NELLA FASE ATTUALE

In questo quadro, è di fondamentale importanza la riflessione sul ruolo dei comunisti nella fase attuale. Diverse voci, anche a sinistra, sono finite a spezzare una lancia in favore del governo M5S-Lega, a partire proprio dall’idea che si tratti di un (potenziale?) governo di “rottura” e di un’opportunità di recupero di “sovranità” dell’Italia. Questa visione è profondamente errata, perché viziata dall’idea di fondo che esistano settori del grande capitale “migliori” (o “meno peggio”, che è lo stesso) di altri, che esista una borghesia “sovranista” più favorevole ai popoli, contrapposta a quella fautrice di un legame esclusivo e privilegiato con il mercato nordamericano ed europeo. Ma assumere questa posizione significa accettare che i lavoratori e le classi popolari siano trascinati alla coda degli interessi di questa o quella fazione del grande capitale, di questo o quello schieramento imperialista.

Allo stesso modo, sarebbe assolutamente fallimentare riproporre “fronti antifascisti”, come abbiamo sperimentato negli anni dell’anti-berlusconismo, legati alle forze di sinistra e centro-sinistra che in questi anni hanno governato portando avanti politiche di macelleria sociale. Il Partito Democratico è stato il principale riferimento politico del grande capitale italiano e internazionale negli ultimi anni, è un nemico di classe e la nostra lotta dovrà essere sempre diretta tanto nei confronti del nuovo governo quanto nei confronti di quelle forze politiche che fino a ieri hanno governato e che adesso cercano di rifarsi una verginità politica stando all’opposizione. Il modo migliore per contrastare l’avanzata delle forze reazionarie, specialmente nella fase attuale, è il radicamento dei comunisti nei luoghi di lavoro, nei quartieri popolari e di periferia, per costruire una reale alternativa di lotta. Fare opposizione al fianco di quel centro-sinistra che è stato fino a ieri responsabile delle peggiori politiche antipopolari è il più grande favore che oggi si possa fare alle forze reazionarie e di destra più o meno estrema.

Il compito dei comunisti, quindi, è quello di promuovere in ogni momento una politica autonoma della classe operaia e dei lavoratori, una visione politica indipendente da quella del nemico. Uno sviluppo della fase attuale in senso autoritario e reazionario non è una prospettiva irrealistica, nelle attuali condizioni che vedono i comunisti impreparati dinanzi agli eventi che, come la storia insegna, possono svilupparsi con brusche accelerazioni. Dalla nostra capacità di ricostruire l’unità della classe lavoratrice, di dare coscienza e organizzazione alla lotta delle classi popolari, di rompere la saldatura oggi esistente fra gli interessi di settori della borghesia e ampi strati popolari trascinati alla loro coda, dipenderà il futuro del nostro paese nei prossimi decenni. Renderci complici di questa saldatura sarebbe l’errore più grande che potremmo fare. Lavoriamo, quindi, ogni giorno al rafforzamento politico, ideologico e organizzativo del Partito Comunista per dotare i lavoratori di una forte organizzazione di classe che rappresenti, per dirla con Gramsci, quel campo autonomo e impenetrabile alle idee del nemico, che lotti in maniera indipendente per gli interessi dei lavoratori.

Sappiamo bene che oggi il sentimento diffuso nelle ampie fasce di elettorato che hanno votato il M5S e la Lega è quello di una generica fiducia che si esprimerà anche in un appoggio a questo governo. Il Partito Comunista non alimenterà illusioni. Non staremo a guardare, né perderemo tempo, porteremo nelle piazze e sui luoghi di lavoro la nostra analisi, smascherando tutti gli interessi che si celano dietro questo scontro politico. Metteremo fin da subito in campo le nostre forze contro il governo 5 Stelle – Lega, rivendicando l’autonomia della lotta della classe operaia e delle fasce popolari contro l’UE, la NATO. Lavorando instancabilmente nella costruzione di un’alternativa di classe che possa esprimere i reali interessi delle classi subalterne, che ponga il potere nelle mani dei lavoratori. Questa alternativa si chiama socialismo.

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In piazza il 12 maggio per la Palestina libera!

In piazza il 12 maggio per la Palestina libera!

Palestina PC

Il Partito Comunista ed il Fronte della Gioventù Comunisti aderiscono congiuntamente alla manifestazione nazionale per la Palestina di sabato 12 maggio organizzata dal Coordinamento delle Comunità Palestinesi in Italia e dall’Unione Democratica Arabo Palestinese (UDAP). Il corteo partirà da Piazza dell’Esquilino alle ore 15:00. È fondamentale anche in Italia rilanciare il movimento di solidarietà con il popolo palestinese per la lotta più generale contro l’imperialismo.
Dopo 70 anni di occupazione, di continue violenze, di provocazioni inaccettabili e di terrorismo sionista la nostra lotta è sempre più necessaria. Saremo presenti e metteremo tutto il nostro impegno nell’organizzare la mobilitazione per il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.
Aderiamo convintamente alla piattaforma della manifestazione che pone dei punti di rivendicazione giusti e irrinunciabili. La condotta dello Stato di Israele minaccia irrimediabilmente la già difficili condizioni dei popoli in medio-oriente, già colpiti dalla guerra, dalle ingerenze e dalle aggressioni da parte delle potenze imperialiste. Le condizioni attuali impongono un’accelerazione nella costruzione di una coerente lotta contro l’imperialismo e contro le politiche sioniste. Per questo saremo in piazza, convinti che da questa data bisognerà lavorare insieme per dare continuità alle lotta per le rivendicazioni che animeranno questa manifestazione.

Viva la Palestina libera!
Viva l’Internazionalismo Proletario!

——

Di seguito il testo dell’appello per la manifestazione, al quale è possibile aderire scrivendo a [email protected]:

Manifestazione Nazionale a Roma
GERUSALEMME CAPITALE ETERNA DELLA PALESTINA

Coordinamento delle Comunità Palestinesi
Unione Democratica Arabo Palestinese (UDAP)

Invitano a
PARTECIPARE ALLA MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA – PIAZZA DELL’ESQUILINO, SABATO 12 MAGGIO 2018,
ORE 15.00

Chiediamo a tutte le forze democratiche, partiti, sindacati, associazioni, donne e uomini amanti della libertà, solidali con la lotta del popolo palestinese, di manifestare la propria indignazione verso le politiche criminali e di pulizia etnica del governo di occupazione israeliana contro il popolo palestinese.

Bastano 70 anni di occupazione, aggressione e guerra, di genocidi e massacri, di violenze, violazioni e negazione del diritto internazionale.

Nel 70° anniversario della Nakba manifestiamo per:
– Il diritto all’autodeterminazione, e la fine dell’occupazione sionista della Palestina.
– Per dire no al trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
– Per la fine dell’assedio di Gaza.
– Per lo smantellamento delle colonie israeliane nei territori palestinese.
– Per il diritto e l’attuazione del ritorno dei profughi palestinesi come previsto dalla risoluzione 194 dell’Onu.
– Per la libertà di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.
– Per il rispetto della legalità internazionale e tutte le risoluzione che riguardano la Palestina.
– Per uno Stato libero, democratico e laico in Palestina con Gerusalemme capitale.
– Contro l’aggressione e la guerra imperialista e per la pace in Medioriente.
– Chiediamo a tutte le forze democratiche e progressiste di far sentire la loro voce, contro ogni forma di accordi militari con Israele.
– Chiediamo al Governo italiano di adoperarsi per il riconoscimento europeo dei legittimi diritti del popolo palestinese, per mettere fine alle politiche di aggressione di Israele, utilizzando anche la pressione economica e commerciale su Israele e perché si rispettino le risoluzioni ONU e quindi non vengano trasferite le ambasciate a Gerusalemme.

PER ADESIONI:
[email protected]

COORDINAMENTO DELLE COMUNITA’ PALESTINESI IN ITALIA
UNIONE DEMOCRATICA ARABO PALESTINESE (UDAP)

Manifestazione12Maggio

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Viva il Primo Maggio, avanti con la lotta!

Viva il Primo Maggio, avanti con la lotta!

Comunicato dell’Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa (ICWPE) per il 1° Maggio 2018

1° Maggio – 132 anni: continuiamo la lotta contro lo sfruttamento capitalista, la guerra, la disoccupazione, la povertà

Onoriamo le lotte di classe e gli eroi della nostra classe diventando i loro degni e capaci prosecutori. Il Primo Maggio dei lavoratori è il giorno in cui possiamo valutare le nostre forze, la nostra organizzazione, la nostra combattività e la nostra preparazione ideologico-politica per le grandi sfide della lotta di classe del nostro tempo.

Il 1° Maggio non è solo un giorno di commemorazione per l’intera classe lavoratrice; è in particolare una giornata di responsabilità su come ogni lavoratore può partecipare alla lotta di classe, nell’organizzazione in ogni impresa, in ogni settore e posto di lavoro.

In questo periodo, la competizione tra i principali centri imperialisti, le loro classi borghesi e unioni si acuisce. Intere regioni sono coinvolte nelle fiamme create dagli interventi imperialisti, dalla Siria, che è stata bombardata nuovamente dagli USA, dalla Francia e Gran Bretagna con il sostegno dell’UE e della NATO, ma anche dal più ampio Medio Oriente, all’Europa Orientale, all’Ucraina, ai Balcani, al Mar Nero e al Nord Africa. La NATO, l’UE e i loro governi seminano morte e distruzione; trascinano i popoli a combattersi gli uni contro gli altri per gli interessi dei monopoli.

I gruppi imprenditoriali, gli Stati e i loro governi sono impegnati in un’intensa competizione reciproca sul controllo delle risorse naturali e dei mercati. Tuttavia, seguono una linea comune contro la classe operaia, cercando la massima riduzione possibile del prezzo della forza lavoro promuovendo riforme anti-operaie, aumentando il lavoro flessibile non retribuito, l’intensità del terrorismo padronale, colpendo la più grande conquista dei lavoratori: il diritto di sciopero.

132 anni dopo la rivendicazione di una giornata lavorativa di otto ore, esistono tutte le possibilità di lavorare per meno ore; svagarci di più, con aumenti sostanziali delle retribuzioni e delle pensioni, con pieno diritto al lavoro e previdenza sociale; avere tempo libero per dedicarsi alla cultura, all’educazione, alla partecipazione all’organizzazione sociale, all’aumento degli standard di vita e intellettuali delle persone. Con assistenza sanitaria gratuita e di alto livello per tutti, alloggi per tutti, lavorare con diritti per tutti. La classe operaia produce tutta la ricchezza, che appartiene ad essa e per la quale combatte.

Alziamo la bandiera degli interessi della classe lavoratrice. Combattiamo contro la guerra imperialista per sradicare la sua causa profonda. Insieme ai lavoratori di tutti i paesi per un mondo senza sfruttamento, guerre, rifugiati.

La classe operaia ha le sue armi: unità di classe, solidarietà di classe, da utilizzare nelle nuove dure lotte nel scontro con i suoi sfruttatori e il loro personale politico, fino al rovesciamento del loro potere. Nel suo lungo corso storico, la classe operaia ha raggiunto la conquista del potere, attraverso sacrifici e sangue. Ha dimostrato che la classe operaia può vincere quando è organizzata, quando ha un suo piano, quando è determinata a combattere lo sfruttamento capitalista, i gruppi padronali e i loro partiti. Per far corrispondere la classe operaia a tali doveri è una necessità e un prerequisito che i partiti comunisti diventino potenti.

Inviamo i nostri caldi saluti militanti alle manifestazioni dei lavoratori per il Primo Maggio in tutta Europa e in tutto il mondo. Ci impegniamo a essere in prima linea nell’organizzazione militante della lotta di classe per il diritto di ogni popolo a scegliere il proprio percorso di sviluppo, incluso il diritto al disimpegno dall’UE e dalle dipendenze della NATO, rafforzando la lotta per il socialismo, liberare la società dallo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.

Il sacrificio dei lavoratori del mondo, i lavoratori di Chicago, le lavoratrici di New York, il proletariato russo non è stato invano; al contrario, sono un faro sulla strada che dobbiamo seguire oggi fino alla vittoria finale.

Via la Giornata dei Lavoratori!

Proletari di tutti i paesi, unitevi!

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