Prima l’Iraq e l’Afghanistan, ora la Libia: la guerra è arrivata alle porte di casa nostra…
Quello che sta accadendo in Libia è paradigmatico di come la crisi strutturale del capitalismo continui a far germogliare i suoi semi velenosi. Altro che motivazioni umanitarie e sostegno alla democrazia: questa è una nuova guerra del petrolio. Basti pensare alla completa indifferenza con cui la cosiddetta comunità internazionale reagisce, invece, all’invasione del Bahrein da parte dell’Arabia Saudita. È chiaro ormai che è una sola bussola a orientare i conflitti: quella del controllo delle risorse strategiche come petrolio, gas, acqua. Basterebbe evidenziare la mappa delle guerre in atto nel mondo e sovrapporla a quella delle risorse per accorgersi che sono identiche. Questa volta, però, in campo non c’è solo l’imperialismo americano che funge da grande padre controllore, ma anche l’imperialismo europeo: Francia e Gran Bretagna lavorano da un lato per impadronirsi delle risorse e dall’altra per schiacciare in un angolo l’Italia, sottraendole petrolio e gas e indirizzandole contro i flussi di migranti e di profughi, che oggi, nella loro tragedia, vengono anche utilizzati come arma di pressione. Ed è arrivato anche il momento di constatare come l’Unione Europea si stia rivelando sempre più nemica dei popoli e sempre più al servizio del grande capitale.
Eppure la questione libica è sorta all’interno di un periodo di rivolte che ha coinvolto tutto il Nord Africa e il Medio Oriente…
Solo la disinformazione può accomunare in un unico calderone quello che è successo in altri Stati del Nord Africa con quanto avvenuto in Libia. In Egitto e Tunisia ci sono state rivolte popolari dovute anche ad un innalzamento spropositato del costo del grano e del frumento: la speculazione finanziaria ha trasformato la perdita dell’1% del totale del grano prodotto sul pianeta per l’incendio della scorsa estate in Russia in aumento del prezzo del 40-60%. Il reddito pro capite annuo di quei paesi è di duemila dollari l’anno. In Libia si arriva a oltre undicimila, cinque volte tanto. Solo tra qualche tempo sapremo cos’è davvero accaduto in questa guerra civile libica: intanto comincia a venir fuori che in Cirenaica già da mesi si aggiravano consiglieri militari occidentali. I bombardamenti vanno ben oltre il mandato ONU sulla nofly-zone e i ribelli iniziano a venir riforniti di armi: sarebbero questi gli interventi per salvaguardare la vita dei civili?
Ma insomma, allora siete dalla parte di Gheddafi?
Non difendiamo certo il Gheddafi odierno, amico di Berlusconi, che da almeno quindici anni ha scelto di allearsi con il capitalismo europeo, aprendo linee di credito verso questo imperialismo. E infatti ecco i risultati ad avere certi “amici”. Ma certo non siamo come quella sinistra che sventola le proprie bandiere accanto a quelle monarchiche del vecchio re Idris. Potete star sicuri che noi non lo faremo mai.
Che ruolo sta avendo l’informazione in questa guerra?
Informazione? Io la chiamerei disinformazione totale. Certo ci siamo abituati. Gli americani hanno fatto scuola già da quando, nel 1964, l’amministrazione democratica di Johnson costruì la messa in scena di un attacco subito nel Golfo del Tonchino, in modo da avere un pretesto per scatenare la guerra nel Vietnam. Ma basti ricordare quanto avvenne nel 1989 in Romania, quando fu letteralmente inventato un massacro con migliaia di morti a Timisoara con cadaveri tirati fuori dalle camere ardenti e fatti a pezzi, allo scopo di sostenere il colpo di Stato della stessa Securitate contro Ceausescu. Ma venendo a tempi ancora più recenti: chi non ricorda le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, con un altro nero (precursore del guerrafondaio nobel per la pace Obama), il segretario di stato Colin Powell che mentiva (lo confesso solo anni dopo) dinnanzi alla plenaria dell’Onu, mostrando le provette inventate dalla Cia? Insomma dobbiamo renderci conto che viviamo in un mondo spesso asservito alla menzogna e ragionare con la nostra testa. Per esempio: le presunte fosse comuni di Gheddafi finite in prima pagina sui nostri quotidiani erano foto di un cimitero di Tripoli in riva al mare, realizzate da blogger americani nel 2010. Quelli erano i morti con cui, in modo davvero immorale, hanno cercato di far leva sui buoni sentimenti di tante persone. Ora che cadono le bombe i civili morti sicuramente ci sono, ma nessuno ce li fa vedere.
Fino a qualche anno fa la guerra veniva contestata da grandi movimenti di massa. E ora?
E ora lo scenario delle forze della cosidetta sinistra europea è desolante, dai Verdi tedeschi al Pd italiano: obiettivamente Cohn Bendit è più guerrafondaio della Merkel, D’Alema e Veltroni lo sono più di Berlusconi e Frattini. Invece noi crediamo che il rifiuto della guerra imperialista sia dirimente per le forze di sinistra e tanto più per i comunisti. Le parole d’ordine della lotta alla guerra imperialista e della lotta per il pane e il lavoro sventolano da oltre un secolo sulla bandiera dei comunisti. È su questi punti, anzitutto, che si è affermata la rivoluzione d’Ottobre, su questi punti si è forgiato il Partito Comunista Italiano. Ed è ancora questa la nostra posizione. Venendo a storie più vicine a noi, vorrei ricordare che anche Rifondazione nacque proprio con l’astensione di undici senatori del PCI sull’intervento militare italiano nella prima guerra del Golfo.
Sabato 2 aprile è prevista una manifestazione contro la guerra a Roma: ci andrete?
Certo che sì: da quando è cominciata la guerra abbiamo avviato, nei limiti delle nostre forze, una mobilitazione fatta di assemblee, distribuzione di volantini, affissioni, riunioni nelle nostre sedi e nei luoghi di lavoro, parlando a tutti, anche e soprattutto con coloro che non hanno, o non hanno ancora, le nostre idee. Dunque andremo alla manifestazione; ci andremo con le nostre parole d’ordine e anche per criticare quel pacifismo generico che non vuole leggere fino in fondo quello che sta accadendo nel mondo.
Certo occorre una valutazione sulla scarsissima capacità di mobilitazione a cui si è ridotto l’arcipelago di forze e gruppi della sinistra, che proprio sulla lotta alla guerra ha segnato una obiettiva difficoltà. Si sente davvero la mancanza di un partito in grado di guidare, catalizzare, costruire, dare voce al popolo che rifiuta la guerra e vuole tornare a lottare davvero per il lavoro, la casa, i diritti. Manca il Partito Comunista.
In effetti forse è la prima volta nella storia della Repubblica italiana che un’avventura bellica non viene contrastata da una vera mobilitazione di massa. Dov’è la sinistra?
Sarò molto chiaro su questo. È dirimente il rapporto con il Partito democratico. Chi si allea col Pd non può sventolare la bandiera della pace, dell’unità della sinistra, e tanto meno quella della ricostruzione del Partito Comunista. Chi si allea col Pd avalla tra l’altro il pantano morale per cui, visto che Berlusconi è stato alleato di Gheddafi, allora val la pena bombardare la Libia. È assurdo. Purtroppo anche i partiti a sinistra del Pd sono ormai senza bussola. L’eclettismo bertinottiano non è stato affatto superato. Anzi, per certi versi, va addirittura peggio. Voltiamo pagina: è quanto proponiamo alle migliaia di militanti in buona fede. E soprattutto ai lavoratori italiani, alle donne, ai precari e ai giovani. Il Partito Comunista sarà garanzia di lotta, di pace, democrazia: ricostruiamolo insieme.
(a cura della redazione romana di CSP)