Non era la fine della Storia, ma può essere la fine della Democrazia in Europa.
(pubblicato su Granma)
di Andres Martinez Lorca
cattedratico di Filosofía Medioevale alla “Universidad Nacional de Educación a Distancia”
di Madrid
Alla fine del secolo scorso, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, l’imperialismo degli Stati Uniti ha pensato di veder realizzati i suoi sogni, quando divenne, senza rivali, l‘unica superpotenza.
Nacque, come sintesi e spiegazione di questa laica “consumazione del tempo”, l’ideologia della “fine della storia”.
Il principale diffusore di questa teoria è stato il professor statunitense, di origine giapponese, Francis Fukuyama. Secondo la sua profezia, sarebbero scomparse le contraddizioni del sistema e sarebbe cominciata la nuova era del pensiero unico. Era inevitabile, secondo lo storico, il trionfo dell’economia neoliberista a livello globale. Ci sarebbe stato posto, in questo “mondo delle idee” (chiamiamolo così), solo per l’economia capitalista nella sua forma più raffinata.
Il mondo, che è venuto dopo il libro-guida di questo miope profeta, sembra il finale di un cortometraggio disegnato da Walt Disney: cambiamenti rivoluzionari in America Latina, crisi economica senza
precedenti nel cuore del sistema capitalistico (cioè Stati
Uniti ed Europa), guerre in Iraq e Afghanistan, disastri nel settore nucleare, distruzione inarrestabile dell’ambiente.
Sembra che la storia non abbia voluto far sua la lezione di questo mastro Ciliegia e vada più veloce e frenetica rispetto ai decenni precedenti.
Ora sappiamo che il signor Fukuyama non era tanto neutrale e apparentemente scientifico come era stato presentato. Aveva fatto parte del nucleo estremista e militarista degli ideologi neo-conservatori (Cheney, Wolfowitz, Rumsfeld) che seminavano venti di guerra.
Arrivò, anche, a chiedere per iscritto, insieme a personaggi sinistri come Richard Perle, John Bolton e Robert Kagan, una seconda guerra contro l’Iraq, un attacco che il presidente George W. Bush si incaricherà di portare a termine con le disastrose conseguenze che soffre ancora quel grande paese arabo e che purtroppo continuerà a soffrire per generazioni.
La crisi economica ha iniziato a cancellare la Democrazia dall’Europa.
La recente crisi economica,sorta inizialmente negli Stati Uniti d’America, e che poi ha contagiato anche l’Europa, sta causando il crollo dello stato sociale (welfare state), conquistato, in Europa, dalle lotte dei lavoratori con grandi sacrifici dopo la seconda guerra mondiale. Per prima è caduta l’Islanda; poi l’Irlanda che era stata considerata, negli ultimi anni, un modello di
sviluppo neo-capitalista; successivamente, è stata la Grecia a vedere il crollo della sua economia; il Portogallo, poi, ha sofferto le stesse difficoltà finanziarie. Infine, due grandi paesi del sud, Spagna e Italia, sono stati furiosamente attaccati dagli speculatori.
Non c’è bisogno di un esperto in previsioni economico-finanziarie per vedere, in queste crisi successive, una manovra in grande scala contro l’economia europea e contro l’Euro in particolare, il cui effetto domino non pare essersi concluso.
Quali ricette sono state applicate per superare la crisi?
Tranne nel caso dell’Islanda, dove hanno preso il toro per le corna, rifiutando di salvare le banche che avevano causato il crollo finanziario e incriminando i principali leader politici, in tutti gli altri paesi le misure adottate sono state: massicci aiuti alle banche con fondi pubblici, congelamento delle pensioni, privatizzazione delle imprese statali, riduzione dello stipendio per i dipendenti pubblici, aumento dell’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), grave calo degli investimenti pubblici, deregolamentazione dei rapporti di lavoro,licenziamento dei dipendenti pubblici e riduzione dei servizi sociali.
Le conseguenze, disastrose per i lavoratori e le classi lavoratrici, non si sono fatte attendere: aumento della disoccupazione, riduzione dei consumi,
stagnazione economica e allarmante mancanza di protezione per centinaia di migliaia di famiglie sull’orlo della povertà ed emarginazione.
Possono servire come esempio alcuni drammatici dati della Spagna: cinque milioni di disoccupati; un milione e mezzo di disoccupati che non ricevono alcun sussidio di disoccupazione; mezzo milione di famiglie senza casa; il numero di persone che soffrono di povertà relativa è salito a quasi dieci milioni, pari al 20,8% della popolazione spagnola.
In Grecia, che ha dato un esempio di resistenza popolare nel corso di quest’anno, come altre volte in passato, la seconda ondata di misure anti-sociali, dettata all’unisono da parte dell’Unione europea (UE) e le principali banche tedesche e francesi, ha indotto il primo ministro e leader greco del Partito Socialista (PASOK), George Papandreu, all’annuncio di un referendum. Le critiche, dei politici e dei media europei, verso questa decisione, sono state unanimi.
Come poteva Papandreu pensare tali sciocchezze?
Al riguardo dei tremendi tagli sociali deve decidere la casta politica, l’oligarchia dei media, i “mercati e non il popolo. Come si vede, un chiaro esempio di ciò che i poteri forti intendono per “democrazia”. E Papandreu, che sembrava voler lasciare il governo dalla porta principale, ha finito per uscire dalla porta posteriore.
Non ci sarà alcun referendum, ma un accordo tra le cupole del PASOK e il partito Nuova Democrazia per creare un governo di unità nazionale guidato da un
tecnocrate, il cui unico compito sarà quello di imporre al popolo greco misure economiche dettate dalle grandi banche e i broker della UE.
Il nuovo primo ministro, voluto da un accordo tra George Papandreu e Antonis Samaras di Nuova Democrazia, è il perfetto tecnocrate al servizio delle grandi banche e delle multinazionali. Lucas Papademos ha, infatti, un eccellente, in questo senso, curriculum: formato negli Stati Uniti, membro della Commissione Trilaterale, assiduo frequentatore del Bilderberg Club, non è mai stato eletto, ma ha ricoperto, tra gli altri, gli incarichi di vice presidente della Banca centrale europea e governatore della Banca di Grecia. Prima di accettare la nomina ha richiesto a entrambi i partiti (PASOK e Nuova Democrazia) “di impegnarsi per iscritto al piano di salvataggio finanziario”.
Il nuovo primo ministro del paese che ha creato la “democrazia” ha fatto una dichiarazione di principi, prima di assumere l’incarico: “Non sono un politico”. A riprova di questo, ha avuto il coraggio di includere nel suo governo (formata dai leader del PASOK e Nuova Democrazia) un ministro del partito di estrema destra Laos.
Rimangono fuori dal patto e dalla spartizione della torta dei ministri i deputati di sinistra del Partito Comunista di Grecia (KKE) e della Coalizione Syriza.
Ah, sì, poi ci saranno le elezioni, a cose fatte, per distrarre il personale.
Una soluzione, simile a quella greca, si è trovata in Italia nei giorni scorsi. Spinto dai cosiddetti “mercati” e tradito da alcuni membri del suo stesso partito, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato costretto a dimettersi per far posto a un governo tecnocratico presieduto dall’economista Mario Monti, profilo professionale molto simile al greco Papademos e anche lui membro della Commissione Trilaterale e del Bilderberg Club. È stato anche commissario della UE ed è consulente internazionale per la banca americana Goldman Sachs, e appartiene ugualmente al comitato consultivo della Coca-Cola. Un altro che non è mai stato eletto dai cittadini
Prima dell’uscita di scena definitiva di Berlusconi, il Parlamento italiano ha approvato le amare misure anti-
sociali imposte dalle potenze economiche. Il presidente Obama ha perso il lustro della sua retorica e la fiducia nel cambiamento che aveva generato l’inizio del suo mandato, ma non possiamo non riconoscere il realismo cinico con cui ha espresso il suo sostegno alla chirurgia
impopolare che con mano ferma userà il prof. e banchiere Mario Monti: “L’Italia applicherà un aggressivo programma di riforme per riconquistare la fiducia dei mercati”.
Nelle tavole rotonde tenute in varie reti televisive italiane, durante gli ultimi giorni, i leader politici che vi hanno partecipato hanno espresso il loro sostegno a una uscita urgente dalla crisi mediante l’approvazione
parlamentare del piano di aggiustamento richiesto dalla UE.
Grecia e in Italia stanno servendo da laboratorio per un sinistro esperimento: sostituire la voce del popolo con la dittatura dei banchieri. La mano invisibile del “mercati” sta soppiantando apertamente la politica. I governanti hanno smesso di mostrare un certo distacco dal potere economico per convertirsi in semplici esecutori dei suoi ordini. Se non si interverrà a tempo (e tutto pare indicare che nella nostra società addormentata dal consumismo manchi coerenza intellettuale e coraggio morale nonché fisico) l’Europa può precipitare nel vuoto, eliminando la politica dalla propria vita sociale, lasciando che la ricchezza nazionale si converta in un bottino per un manipolo di oligarchi senza volto.
(tradotto dallo spagnolo da Franco Costanzi – C.S.P.)