Nel frattempo, il rischio di una nuova guerra devastante in Libia si fa sempre più concreto, qualora ancora una volta sarà impedito militarmente ai vincitori delle prossime imminenti elezioni di assumere le cariche istituzionali.
Per il film “L’Urlo” di Michelangelo Severgnini.
Questa è l’orribile verità che emerge dal film “L’Urlo” di Michelangelo Severgnini, realizzato con i messaggi vocali inviati da centinaia di migranti-schiavi intrappolati in Libia e con i video che gli stessi hanno girato con il loro telefonino nei centri di detenzione e in ogni altra parte della Libia. Ma non solo.
Costruire una narrazione basata sulla speranza e la solidarietà qui in Europa ha spostato il fulcro del discorso, impedendo di vedere come l’impunità di cui godono le milizie di Tripoli sul terreno non miri solamente allo sfruttamento dei lavoratori africani, ma soprattutto al saccheggio del petrolio libico.
Ne consegue un fenomeno migratorio tutt’altro che spontaneo, perché, come raccontato nel film, chi si trova in Libia oggi è in gran maggioranza un giovane africano che ha lasciato ignaro il proprio Paese adescato dalle mafie africane che poi lo hanno rivenduto ai libici. E ora vuole tornare a casa, ma non può. E nessuno lo deve sapere.
Il segreto che viene svelato da questo film e che diventa un obiettivo è dunque molto semplice: rendere i migranti-schiavi soggetto politico, lasciando che siano loro a definire e a determinare la propria condizione, attraverso il linguaggio anzitutto e attraverso le soluzioni da prendere poi.
Il prossimo 24 dicembre si dovrebbero tenere nuove elezioni in Libia, a 7 anni di distanza dalle ultime del 2014. Il potere insediato a Tripoli, riconosciuto dalla NATO e dall’UE ma privo del voto di fiducia del Parlamento libico e povero del consenso della gente, vacilla. In tutti i modi i Fratelli Musulmani, sostenuti dall’occupazione militare turca della Tripolitania, stanno cercando di annullare le elezioni o almeno di pilotarle, mentre d’altro canto minacciano di difendere Tripoli con le armi qualora il vincitore delle elezioni sia un candidato estraneo al loro potere.
Per questo motivo crediamo che il momento della denuncia sia adesso.
Nel corso della realizzazione del film l’autore e regista Michelangelo Severgnini ha ricevuto pressioni e minacce perché fossero tagliate alcune parti del film. Da oltre due anni diverse circostanze ostacolano la diffusione del film che si è visto chiudere senza appello tutte le porte di festival e televisioni. La verità che emerge da questo film è davvero così scomoda?
Chiediamo dunque che il film “L’Urlo” sia fatto circolare il prima possibile e nel migliore dei modi presso i canali disponibili e che i racconti di chi vive la Libia in questo stesso momento siano messi al centro del tavolo di discussione.
Chiediamo infine che sia riaffermato il principio di realtà fattuale sulla narrazione emotiva e fuorviante che ha guidato la costruzione del consenso negli ultimi anni, funzionale all’interesse di pochi e alle disgrazie di molti.
Alessandro Testa, compositore e membro della redazione di “Cumpanis”
Prodotto da Riccardo Biadene
700mila migranti-schiavi bloccati da anni in Libia, senza poter andare avanti, senza poter tornare indietro, se non poche migliaia di loro ogni anno. E’ questo lo scenario raccontato dalle centinaia di persone in Libia con cui Michelangelo è potuto entrare in contatto attraverso un metodo basato sulla geolocalizzazione, a partire dall’estate 2018.
“L’Urlo” è la storia di questa avventura, spesa tra il vano tentativo di rendere queste voci protagoniste in Europa e il desiderio di svelare, centimetro dopo centimetro, i misteri della Libia.
Ne esce un quadro sconvolgente: l’Europa appoggia e finanzia i governi illegittimi di Tripoli in cambio di petrolio libico trafugato sottobanco, 40% ogni anno. Un imponente saccheggio possibile grazie all’impunità di cui godono le milizie sul campo. Quelle stesse milizie che, con il miraggio dell’Europa, hanno attratto con l’inganno i cosiddetti “migranti” africani in Libia e ora, una volta convertiti in schiavi, ne dispongono a loro piacimento.
Le immagini girate dai telefonini dei ragazzi in Libia e i loro messaggi vocali si alternano con il viaggio dell’autore, verso il confine tra Tunisia e Libia, alla ricerca di una liberazione che tarda ad arrivare, nel silenzio complice del mondo.
Michelangelo Severgnini nasce a Crema (Italia) nel 1974 da padre lombardo e madre pugliese. Frequenta la facoltà di Filosofia presso la Statale di Milano e studia contrabbasso jazz. Nel corso degli anni si è espresso principalmente come musicista e filmmaker. Ha vissuto a Milano, Roma, Napoli, Istanbul e Berlino. Attualmente risiede a Palermo.
Realizza diversi documentari indipendenti a partire dai primi anni 2000: “Il ritorno degli Aarch – i villaggi della Cabilia scuotono l’Algeria”, (’60, 2003), “…e il Tigri placido scorre – istantanee dalla Baghdad occupata”, (’70, 2004), “Isti’mariyah – controvento tra Napoli e Baghdad” (’80, 2006) che ricevono diversi premi tra cui il CMCA di Marsiglia, il SoleLuna film festival di Palermo e vengono distribuiti in Italia con le riviste Carta e Peacereporter.
Nel 2007 vince il premio della critica “Ilaria Alpi” con il documentario “Stato di paura”, prodotto dall’agenzia H24 per LA7, per la quale lavora 4 anni producendo documentari nel frattempo anche per Rai3.
In seguito realizza “Il ritmo di Gezi”, (’45, 2014), “Linea de fuga – il circolo di Podemos a Berlino” (’90, 2017) e “Schiavi di riserva” (’35, 2018).
Dal settembre 2018 anima il progetto “Exodus – fuga dalla Libia”.