Formalmente, è stato definito “ un vero master plan di riforme e manutenzione dell’economia “ ( La Stampa- 29-5-2013 ), noi preferiamo chiamarlo il nuovo diktat dell’Unione Europea, posto a condizione per l’uscita dell’Italia dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo da parte della Commissione UE nei giorni scorsi al Governo Letta.
Archiviato il 2012 col deficit al 2,9 del PIL, Letta ha, infatti persuaso la Commissione che il fabbisogno resterà sotto il 3%. Ciò non avverrà, secondo quanto concordato, nel 2013, dove i margini sono stati già mangiati dal pagamento del debito commerciale, ma nel 2014, il cui obiettivo è la riduzione del deficit all’1,8% del PIL, da ottenere con i dichiarati 12/14 miliardi elargiti dall’UE, anche per ridurre il costo dell’immenso debito pubblico dell’Italia, passato dal novembre 2011 ad oggi dal 120% al 132% del PIL.
La condizione per l’elargizione di tale somma da parte dell’UE all’Italia è la attuazione, da parte di questa, di una nuova, vera e propria spending review da realizzarsi attraverso precise linee direttrici di politica economica vincolanti. Flessibilizzazione del mercato del lavoro, revisione delle esenzioni IVA, liberalizzazione dei servizi, in particolare trasporti ed energia, snellimento e semplificazione del quadro amministrativo, sono i titoli di una linea di marcia che è pressoché identica a quella indicata a luglio del 2011 dalla famosa lettera dell’allora Governatore della BCE, Trichet, al Governo Berlusconi, i cui esiti abbiamo avuto il piacere di constatare nell’ultimo anno e mezzo.
Come possano essere compatibili tali direzioni di marcia con le promesse fatte nella recente campagna elettorale di eliminazione di IMU sulla prima casa, di eliminazione dell’aumento dell’IVA che scatterà a luglio di quest’anno, di stanziamento di fondi per gli esodati e via promettendo, è difficile comprendere.
Infatti, in questi giorni, il Ministro dell’economia, Saccomanni ha cominciato con l’affermare, che, alla luce di questa situazione, il 1° luglio l’IVA passerà inesorabilmente dal 21 al 22 per cento, con tutte le conseguenze del caso sui consumi e, quindi, sull’economia, visto che gli esperti hanno calcolato che tale rincaro comporterà un aumento di spesa annua, per una famiglia media, di circa 350 euro.
Per questo, una recente previsione di Confcommercio, ha valutato, per il 2013, una possibile diminuzione del PIL dell’1,7% e dei consumi del 2,4%, mentre, nei giorni scorsi, il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, presentando il rapporto 2013 sul coordinamento della Finanza Pubblica, ha calcolato che la crisi in Italia tra il 2009 ed il 2013, in termini di mancata crescita nominale del PIL, abbia avuto un costo superiore ai 230 miliardi di euro.
Ecco perché, noi comunisti affermiamo che dentro la gabbia dell’Unione Europea non c’è spazio per il rilancio dei consumi popolari. Solo l’IMU sulla prima casa vale quattro miliardi di euro l’anno. Servono poi, un miliardo per la cassa-integrazione in deroga, almeno altri due per gli esodati e le spese per gli interventi militari italiani all’estero, mentre, volendo evitare l’aumento dell’IVA, sarebbero da reperire due miliardi per il 2013 ed altri quattro per il 2014. Non c’è niente da fare, dieci miliardi di euro, di qui a fine anno, da reperire con tagli di spese, non ci sono.
Inoltre, la crisi aumenta la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale. Secondo i più recenti dati dell’OCSE, l’organizzazione dei paesi industrializzati, fra il 2007 ed il 2010, il reddito disponibile dei 5 milioni di Italiani che costituiscono il 10% più ricco del Paese, si è ridotto dell’1% l’anno, mentre per i 5 milioni di italiani del 10% più povero del Paese, il reddito si è ridotto del 6% l’anno. Questo significa che, nelle famiglie ricche, in quei tre anni, il reddito si è ridotto del 3%, cioè, invece di 5000 euro al mese, 4850. Per i più poveri, invece, il taglio complessivo, nello stesso periodo, ha sfiorato il 20%, portando a 800 euro il reddito di chi, prima, ne percepiva 1000.