Euro sì o euro no? UE no! NATO no!  Riflessioni di Alberto Lombardo

Euro sì o euro no? UE no! NATO no! Riflessioni di Alberto Lombardo

Euro sì o euro no? UE no! NATO no!  Riflessioni di Alberto Lombardo

 

Cosa è successo davvero tra Monti e la Merkel la notte della “semifinale” con la Germania? A Bruxelles quella notte le cose sono andate in modo un po’ diverso da come ce le hanno raccontate. Vedremo i dettagli il 9 luglio e li si capirà davvero chi ha fatto gol. L’accordo raggiunto, a quanto pare, prevede che da ora in poi vi sarà un intervento diretto del Fondo Salva Stati per andare a calmierare gli spread dei Paesi in difficoltà. Ma ciò non cambia la situazione: il Fondo Salva Stati è finanziato dagli Stati stessi. Nel momento in cui gli Stati sono tutti, tranne la Germania, a dover chiedere aiuto, cosa succederà? Il Fondo Salva Stati è destinato quindi a esaurirsi e dunque a dover essere rifinanziato. Da chi? Dalla Germania? La dichiarazione delle Merkel non lascia sperare bene i poveri illusi eurofan: «I paesi i cui bond verranno acquistati dai fondi Esm/Efsf dovranno rispettare condizioni che saranno verificate dalla troika Ue-Bce-Fmi». Cosa sperano? Che si emettano dei bond a tassi più bassi, ma a quali condizioni? Mentre le banche possono farsi prestare all’1% dalla BCE tutto quello che vogliono, portando in garanzia vera e propria immondizia che hanno nei propri portafogli, gli Stati no, devono rispettare delle condizioni da strozzinaggio. Altrimenti la Germania come fa a far fare profitto all’enorme bolla speculativa che ha in parte ingurgitato proveniente dagli USA e in parte creato essa stessa con le proprie banche?
Ma la nostra domanda è: l’instabilità del sistema monetario è l’effetto delle risposte (supposte inadeguate) che i governi europei hanno dato finora nei confronti della crisi, oppure quello che succede è esattamente quello che deve succedere perché fa comodo a qualcuno, e a chi?

Quando si è sulla scena del delitto bisogna subito cercare un movente, elementare!

Facciamo quindi il punto della situazione. I trattati europei impediscono alle banche nazionali di acquistare i titoli del debito pubblico del proprio Stato direttamente (in gergo, sul mercato primario), questo – si dice – per prevenire il fatto che uno Stato spendaccione immetta una quantità abnorme di moneta, che poi è una moneta comune. Lo Stato deve approvvigionarsi del proprio fabbisogno sul “mercato” e quindi ai “prezzi” di mercato. Questa regola l’Italia se la impose nel 1981 con il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, dando inizio alla galoppata dell’incremento del debito pubblico, creatosi più per gli interessi maturati, che per lo stock di capitali attinti. Con i vincoli di pareggio di bilancio, che pone un tetto artificiale all’indebitamento pubblico, questa condizione diviene asfissiante. Chi stabilisce che l’Italia debba pagare il proprio debito al 6% e la Germania all’1%? Se sono debiti “sovrani” non ci dovrebbe essere alcun rischio di fallimento, perché lo Stato potrà sempre e comunque fare fronte. E invece tre società di rating americane fanno il bello e il cattivo tempo in tutto il mondo (è notizia di ieri che si sono concluse le indagini di un coraggioso magistrato italiano contro una di queste società). Il 6% significa che, se continua così, ammettendo per fare cifra tonda che il debito sia pari al PIL, l’Italia dovrebbe crescere del 6% l’anno per non regredire. Follia! Dove va questo 6%? Alle banche e agli speculatori internazionali. Chi paga? I lavoratori italiani in termini di bassi salari, distruzione del welfare, saccheggio delle risorse pubbliche. Se aggiungiamo a questo il fatto che in  Germania l’IVA è due punti (fra poco quattro) più bassa che in Italia, abbiamo un Paese che deve correre con un peso al collo di oltre il 10%. Quindi mentre prima dell’euro (o meglio prima dei cambi fissi) si potevano attuare manovre di svalutazione competitiva e lo spread neanche esisteva, oggi assistiamo alla distruzione della competitività e al drenaggio delle risorse dei Paesi del sud Europa.

Quindi il movente c’è, eccome! Siamo noi discoli PIGS a essere delle cicale, o qualcuno ci ha messo un bel cappio al collo?

Spesso a questo punto si innesca un dibattito su chi siano i “cattivi”. Gli USA, i Tedeschi, la borghesia italiana? O tutti e tre e in che ordine?

Diciamo che ognuno ci mette del suo. Naturalmente l’imperialismo USA è quello che comanda, non foss’altro perché ha le portaerei e le bombe atomiche, e questo chiude ogni argomento. Ma non bisogna sottovalutare il ruolo delle contraddizioni interimperialistiche regionali, dove un ruolo egemone svolge la Germania e in subordine la Francia con la corona di satelliti mitteleuropei. Restano i PIGS che pagano per tutti, ma che a loro volta cercano di rifarsi sulla periferia del mondo, aggregandosi alle missioni imperialistiche e cercando di ricavarsi interstizi di sfruttamento.

Quindi: vasi di ferro, vasi di bronzo e vasi di coccio.

Si spiega così perché ci sono settori delle borghesie sub-sub-imperialistiche che potrebbero essere allettate da una fuoriuscita (naturalmente da “destra”) dall’euro. Diciamo con la massima chiarezza che ogni possibile alleanza con questi settori è improponibile, non solo perché l’era delle “borghesie nazionali” in Europa occidentale è finita da oltre un secolo e siamo nella fase storica delle rivoluzioni proletarie e non democratico-borghesi; ma anche perché le politiche che questi settori vorrebbero adottare in caso di uscita dall’euro sono diametralmente opposte a quelle che dovrebbe fare un governo popolare. Per esempio: come trattare il debito verso i piccoli risparmiatori e quello verso i grandi speculatori? Come garantire la perdita di potere d’acquisto dei salari? Quindi smarcarsi dalle “boutade” berlusconiane e leghiste non solo è d’obbligo, ma è anche facilissimo.

Naturalmente queste sono le contraddizioni della borghesia, i lavoratori di tutti i Paesi pagano sempre più pesantemente, anche quelli che finora avevano goduto di un tiepido welfare. Anche nella ricca Germania i posti di lavoro “veri” sono sempre meno e vengono bilanciati da posti precari e sottopagati che mascherano la crisi. In Italia è sotto gli occhi di tutti quello che succede. È stata annunciata una “manovrina” di 10 miliardi. Ricordo che la distruzione della scuola pubblica con l’espulsione di decine e decine di migliaia di insegnanti precari ha fruttato “solo” 8 miliardi. Mettendo sul mercato i gioielli di famiglia di beni pubblici finora hanno pensato di racimolare circa 400 milioni. L’accorpamento nella super INPS fa parlare di risparmi a regime di un centinaio di milioni … bruscolini! In verità il prossimo settore a venire attaccato, dopo scuola e università, sarà la sanità.

La borghesia italiana non ha la benché minima idea di come possa fare per riprendere in mano la situazione. Le chiacchiere sul recupero di competitività e di crescita sono prive di qualunque consistenza, fino a quando staremo nella gabbia europea e quindi siamo destinati a soccombere lentamente. Come dei naufraghi annaspanti, loro che sono più forti politicamente ci sottomettono, in attesa che dopo aver accoppato noi, tocchi a loro. Il dibattito che c’è anche a sinistra su “un’Europa più equa”, “un’Europa dei popoli e non delle banche”, una “rinegoziazione” del debito è del tutto fuori dalla realtà dei fatti e alimenta solo la confusione.

I comunisti devono alzare la voce e non lasciarsi intimorire dalle minacce della borghesia.

Cosa può fare un governo popolare? Pur non istaurando il socialismo dall’oggi al domani, un governo che risponda agli interessi dei lavoratori ha ampi margini per arrestare la crisi e invertire il declino del Paese. Le misure immediate sono:

 

1. Convertire il debito pubblico in crediti di Stato non remunerativi ed esigibili a vista in moneta nazionale (sarebbe bello convertirli in euro dalla sera alla mattina prima che ci caccino e immettere di botto due mila miliardi nel sistema finanziario). Ciò renderebbe solo il debito pubblico non oneroso e garantirebbe il capitale dei piccoli risparmiatori. (Per gli esperti, portare da aggregato M3 a aggregato M2). Si badi bene che ciò non provocherebbe aumento dei prezzi, come ha illustrato Draghi nella sua recente lezione alla Sapienza di Roma! L’inflazione si crea quando aumentano i soldi della povera gente che se li va a spendere al supermercato (aggregato M0 o M1), non quando si danno i soldi all’1% alle banche, che poi li investono al 6% comprando il debito pubblico. In realtà, se mi restituiscono in buoni infruttiferi, ma liquidabili, il mio BOT, che succede? L’unico problema che avrò è come trovare un investimento altrettanto sicuro e remunerativo, ma non è che quei soldi me li vado a mangiare o a bere tutti e subito, perché se non l’ho fatto finora vuol dire che non avevo la propensione a spenderli, ma a tenerli tesaurizzati. L’inflazione, se ci si pensa, dovrebbe diminuire, perché non saremmo costretti ad aumentare del 6%, o anche solo del 3%, la massa di moneta con l’emissione di nuovo debito per pagare gli interessi!

2. Assumere il controllo delle banche e del commercio internazionale, in modo da regolare d’autorità la conversione dei debiti e dei contratti nella nuova moneta e riprendere il monopolio di Stato di emissione di moneta. A chi teme la guerra commerciale con la Germania e gli steccati doganali, rispondo con un semplice esempio: se noi non comprassimo più un’auto tedesca per tre mesi, non succederebbe nulla, anzi, cominceremmo a venderne più di italiane; le fabbriche tedesche invece potrebbero chiudere tutte. In realtà, più che la guerra commerciale, c’è da temere una guerra un po’ più calda…

3. Fissare un cambio favorevole ma non troppo basso e comunque fissato d’autorità. L’Italia può esportare più di quanto importi (meccanica, agricoltura, turismo) e quindi possiamo noi stabilire le regole degli scambi, come fa la Cina.

4. Puntare immediatamente all’autosufficienza alimentare ed energetica, raggiungibile in pochissimo tempo.

5. Con le risorse liberate e con tutte quelle che verrebbero messe in movimento dalla ripresa delle esportazioni, puntare alla piena occupazione e a un nuovo welfare. Se lo potevamo avere negli anni sessanta con la tecnologia e la produttività degli anni sessanta, perché non lo possiamo avere oggi?

6. Sovranità nazionale e militare. Fuori dalla NATO e difesa a oltranza del territorio nazionale.

 

Questo non è il programma di un governo socialista, che andrebbe ben al di là di queste iniziative di mera salvaguardia degli interessi nazionali. Sappiamo però che già per realizzare queste misure occorre un potere popolare capace di resistere a fortissime pressioni interne ed esterne. Tuttavia è un programma minimo e credibile su cui aggregare larghi strati popolari e respingere il ricatto dei monopoli internazionali.

 

 

 

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