In apparenza, uno spettacolo teatrale tratto da un romanzo, come tanti. Sennonché l’effigie di Stalin sul manifesto col quale viene pubblicizzato, insieme con l’autore, Arthur Koestler, e il titolo, Buio a mezzogiorno, ambedue elementi ben noti ai compagni più anziani, non passano inosservati e confermano che l’operazione culturale imbastita dal Teatro della Tosse consiste nel riciclaggio di uno dei sottoprodotti peggiori dell’anticomunismo del periodo della guerra fredda. La sezione decide dunque di impostare un articolato intervento che si dispiega a partire dalla ‘prima’ dello spettacolo, la quale si svolge l’8 marzo e vede i compagni distribuire agli spettatori, davanti all’ingresso del teatro, un volantino che non manca di suscitare una certa sorpresa negli artisti e induce la giovane regista ad uscire dal locale e a prendere contatto con i compagni per ‘giustificare’, in un breve scambio di opinioni, la scelta di trasporre a livello teatrale un testo che, come le viene spiegato pacatamente dai compagni Eros Barone e Marco Traverso, è una grossolana miscela di antistalinismo, antisovietismo ed anticomunismo. Al termine, i compagni sono invitati ad esporre le loro ragioni in occasione della presentazione che avrà luogo nel ‘foyer’ del teatro il 16 marzo successivo.
Ecco il testo del volantino:
Alcune osservazioni su Koestler e su Stalin
Non vi è iniziativa culturale innocua: la cultura, nelle società divise in classi, è infatti un’arma che viene adoperata per promuovere una visione del mondo e servire, direttamente o indirettamente, gli interessi della classe al potere. Lo spettacolo che viene proposto dal Teatro della Tosse, pubblicizzato con un manifesto che rappresenta Giuseppe Stalin, si riferisce alle epurazioni condotte dal gruppo dirigente del Partito Comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica negli anni Trenta del secolo scorso.
È allora opportuno ricordare il ruolo centrale svolto dalla CIA, la centrale spionistica americana, nella furibonda campagna anticomunista che caratterizzò il periodo della “guerra fredda”: i servizi segreti americani posero in atto pesanti interventi sulla cultura (esplicati, ad esempio, attraverso il massiccio finanziamento di riviste come “Encounter” in Inghilterra e “Tempo presente” in Italia). Fra gli intellettuali che si resero disponibili a svolgere un ruolo attivo nella lotta ideologica contro il comunismo, l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti, vi furono l’italiano Ignazio Silone, transfuga del partito comunista e collaboratore dell’OVRA, la polizia segreta del regime fascista, nonché, per l’appunto, l’ungherese, naturalizzato britannico, Arthur Koestler, il quale si distingueva per la sua particolare veemenza.
Come militanti comunisti, intendiamo perciò contestare (non il diritto di espressione, che è fuori discussione, ma) il significato politico attuale che assume, malgrado le migliori intenzioni degli artisti che vi hanno lavorato, la rappresentazione di un testo pesantemente ideologico e fortemente compromesso con gli aspetti peggiori dell’anticomunismo del periodo della “guerra fredda” in una congiuntura che vede le centrali della propaganda imperialista, USA e UE, adoperarsi a rilanciare la lotta ideologica al comunismo, di concerto con la brutale persecuzione scatenata contro i partiti comunisti nei paesi dell’Est Europa come l’Ucraina e, in forme più sottili ma non meno perniciose, nei paesi della restante Europa.
Siamo convinti che la storia renderà giustizia a Stalin e al tentativo grandioso di costruzione di una società libera dallo sfruttamento e dalla proprietà privata, che egli ha personificato come capo del proletariato internazionale. Già ora non mancano studiosi seri e intellettualmente onesti, come lo statunitense Grover Furr e l’italiano Domenico Losurdo, che, basandosi sugli archivi sovietici e documenti alla mano, hanno sottoposto ad una revisione critica la sistematica denigrazione e demonizzazione della figura e dell’operato di Stalin. In tal senso, si è cercato, soprattutto con Krusciov e con le forze che lo sostenevano all’interno e all’esterno dell’Unione Sovietica, di moltiplicare le cifre relative alle vittime delle epurazioni che il Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS attuò negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso al fine di colpire la controrivoluzione e difendere il primo Stato socialista della storia umana. Parimenti, ci si è ingegnati a negare perfino un’evidenza storica inconfutabile come il ruolo svolto da Stalin nella conduzione e nella vittoria della Seconda Guerra Mondiale che, al prezzo di ventisette milioni di morti solamente fra i combattenti e i cittadini sovietici, portò all’annientamento del nazifascismo.
In conclusione, ci proponiamo di stimolare, nel pieno rispetto della libertà di espressione per tutti (quindi anche per coloro che si dicono e sono comunisti), il dibattito pubblico sul tema del socialismo sovietico, affinché si eviti di gettare via il bambino assieme all’acqua sporca o, ancor peggio, di gettare via il bambino e tenersi l’acqua sporca (fermo restando che noi, come vuole una certa vulgata, il bambino lo mangeremmo…).
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Il 16 marzo, in occasione della presentazione dello spettacolo in questione, che vede la partecipazione della regista Laura Sicignano e di Luca Borzani, ex assessore alla Cultura del Comune di Genova e presidente della Fondazione culturale di Palazzo Ducale, i compagni della sezione distribuiscono un secondo volantino, corredato da una bibliografia alternativa su Stalin, in cui ribadiscono a approfondiscono le ragioni politiche, culturali e ideologiche del loro intervento.
Il revisionismo storico e politico
e le sue conseguenze culturali
Per i comunisti Stalin non è un ‘feticcio’, ma uno spartiacque ideologico e politico a partire dal quale è possibile riprendere un discorso di ampio respiro sull’intera esperienza del movimento comunista. Ripartire da Stalin ha quindi il carattere di una sfida, in quanto significa sia confutare il punto di vista che, grazie al revisionismo storico (= rovesciamento dei giudizi consolidati sulla storia del movimento comunista), si è andato affermando attraverso la vacua nozione di ‘totalitarismo’, sia combattere l’anticomunismo che, attraverso la lente deformante dell’‘antistalinismo’, ha rovesciato la lettura materialistica degli avvenimenti che hanno caratterizzato il ’900 a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Il crollo dell’URSS e la controrivoluzione in questo e negli altri Paesi dell’Europa orientale; la degenerazione, prima, e la liquidazione, poi, di tanti partiti comunisti, tra cui il PCI, hanno reso più difficile il compito di quei nuclei di comunisti che hanno resistito e continuano tenacemente a remare controcorrente. Occorre inoltre sottolineare che il termine “comunista” è servito spesso in questi anni a organizzazioni e a personaggi, puntualmente concordi con il pensiero dominante nell’interpretazione del comunismo novecentesco, per contrabbandare posizioni che nulla avevano e hanno a che fare con la teoria e con la prassi dei comunisti. È così accaduto, a causa della pressione congiunta del ‘pensiero unico’ e di un ripiegamento sempre maggiore rispetto a posizioni coerentemente comuniste, che, proprio nel momento in cui la crisi della società capitalistica ha creato le condizioni oggettive di una trasformazione potenzialmente rivoluzionaria, ha sempre più guadagnato terreno il revisionismo politico-ideologico (= abbandono dei princìpi teorici del socialismo scientifico + cedimento politico e ideologico all’avversario di classe).
Ripartire da Stalin è allora un atto di chiarezza e di rottura con le correnti revisioniste, neotrozkiste e movimentiste, che ancora influenzano pesantemente le posizioni politiche e le forme di organizzazione pur antagoniste che si sono andate sviluppando a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, ma che, per quanto concerne i conflitti interpretativi del movimento comunista, accettano il punto di vista della borghesia e contribuiscono a promuoverlo. Così come è un atto di chiarezza e di contestazione nel campo della cultura, ove il connubio tra revisionismo storico e revisionismo politico-ideologico rischia di produrre frutti velenosi anche dal punto di vista estetico ed educativo. E questa è, in una congiuntura termidoriana come quella attuale, una ragione in più per mettere in guardia dal revisionismo e difendere e rivalutare la figura e l’opera di Stalin.
Stalin: una bibliografia essenziale
(Contro il ‘pensiero unico’)
L. Canfora, La democrazia, Editori Laterza, Bari 2004
J. Davies, Missione a Mosca, Mondadori, Milano 1946
G. Furr, Kruscev mentì, Edizioni “La città del Sole”, Napoli 2016
K. Gossweiler, Contro il revisionismo, Zambon Editore, Bologna 2009;
D. Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008
L. Martens, Stalin. Un altro punto di vista, Zambon Editore, Bologna 2005
A.L. Strong, L’era di Stalin, Edizioni “La città del Sole”, Napoli 2004
A. Zinoviev, Les confessions d’un homme en trop, Ed. Olivier Orban, 1990
http://www.guardareavanti.info/ATTI_CONVEGNO_STALIN_60.pdf
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Dopodiché i compagni entrano nel teatro e assistono alla presentazione dello spettacolo, che vede una nutrita presenza del pubblico e degli artisti, oltre che di alcune personalità del mondo politico genovese, fra le quali si notano Sergio Cofferati, ex segretario nazionale della Cgil, e Claudio Montaldo, ex assessore alla Sanità della regione Liguria. Nella presentazione Borzani snocciola una stanca litania di luoghi comuni desunti da un anticomunismo che vorrebbe essere ‘di sinistra’ (l’oratore è infatti un ex trozkista che ha tenuto bordone al Pd genovese in tutti questi anni), ma riesce ad essere soltanto approssimativo e dozzinale. Spetta quindi al compagno Eros Barone svolgere, tra le interruzioni di una parte del pubblico e gli applausi dei compagni, un intervento politicamente e ideologicamente chiarificatore.
Eccone una sintesi.
Perché, come militanti del Partito Comunista, abbiamo ritenuto di intervenire? Lo abbiamo spiegato nel volantino che abbiamo diffuso lo scorso 8 marzo in occasione della ‘prima’ di questo spettacolo.
La premessa da cui abbiamo preso le mosse è che non vi è iniziativa culturale innocua (e meno che mai quella che è oggetto della nostra contestazione). La cultura, nelle società divise in classi, è infatti un’arma che viene adoperata per promuovere una visione del mondo e servire, direttamente o indirettamente, gli interessi della classe al potere. Come militanti comunisti, intendiamo perciò contestare (non il diritto di espressione, che è fuori discussione, ma) il significato politico attuale che assume, malgrado le migliori intenzioni degli artisti che vi hanno lavorato, la rappresentazione di un testo pesantemente ideologico e fortemente compromesso con gli aspetti peggiori dell’anticomunismo del periodo della “guerra fredda” in una congiuntura che vede le centrali della propaganda imperialista, USA e UE, protese a rilanciare la lotta ideologica al comunismo, di concerto con la brutale persecuzione scatenata contro i partiti comunisti nei paesi dell’Est Europa come l’Ucraina e, in forme più sottili ma non meno perniciose, nei paesi della restante Europa.
Nell’opuscolo del Teatro della Tosse, in cui viene presentato lo spettacolo, si legge quanto segue: “Buio a mezzogiorno è un romanzo, notissimo alla generazione del dopoguerra, ancora di attualità: è il ritratto di un’epoca leggendaria e feroce, il periodo più cupo dello stalinismo ecc. ecc.”. L’aggettivazione, ripresa anche nell’intervento di presentazione svolto da Borzani, che non ha lesinato nella sua esposizione aggettivi come “violento”, “terribile” e “brutale”, è iperbolica e ridondante. Ciò è dimostrato anche dal termine “fallimento”, ripetuto ben tre volte affinché lettori e spettatori, se mai avessero dei dubbi in proposito, se lo imprimano bene in testa. In realtà, non vi è giudizio più unilaterale e fuorviante, poiché il 1937 segnò un enorme successo per l’URSS e per il PC (b) dell’URSS, in quanto lo Stato socialista degli operai e dei contadini diventò, grazie alla pianificazione economica attuata con i piani quinquennali, la seconda potenza industriale del mondo (in venti anni la Russia passa da una condizione semifeudale e capitalistica ad una condizione moderna e socialista). E questo enorme successo della direzione staliniana fu reso possibile anche dalle cosiddette ‘purghe’, cioè dalla fermezza implacabile con cui fuorno colpiti i nemici interni ed esterni del socialismo. È stato Robespierre ad affermare: “Cittadini, non è possibile fare una rivoluzione senza rivoluzione!”, e noi comunisti non stiamo né con Danton né con Bucharin né, tanto meno, con Trozky, ma con Robespierre e con Stalin!
Dopo aver osservato che il tema del conflitto tra valori individuali e ideologie trova, in quello stesso periodo, un’espressione di ben altro livello e qualità nel dramma Le mani sporche di Jean-Paul Sartre, concludo questo intervento rilevando che, sul piano estetico ed artistico, Buio a mezzogiorno, per citare il giudizio espresso da György Lukács, uno dei massimi pensatori del Novecento, nella Distruzione della ragione, non è altro che “un romanzo di appendice psicologico-sociologico” e, siccome non si può cavare il sangue dalle rape, la riduzione teatrale di un simile testo non può essere migliore di esso. Sul piano politico, poi, lo spettacolo in parola è oggettivamente un contributo alla lotta ideologica contro il comunismo. Serve allora un altro punto di vista, come quello che abbiamo richiamato nella bibliografia essenziale contro il ‘pensiero unico’, che accompagna il volantino che abbiamo distribuito oggi. Finisco citando un ammonimento di Koestler che i suoi apologeti avrebbero fatto – e farebbero bene – a tener presente: “Quando si combatte contro i comunisti ci si vergogna sempre dei propri alleati”.
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L’iniziativa che è stata condotta dai compagni della sezione di Genova ha certamente suscitato opposizioni e reazioni, ma ha anche inciso in modo argomentato e documentato su quella crosta ideologica, indurita da decenni di sistematico lavaggio dei cervelli in senso antisovietico, che imprigiona nei luoghi comuni più tenaci le menti di non pochi esponenti e militanti della sinistra opportunista. Nel documento politico del nostro Partito, approvato dal congresso nazionale del 2014, si legge, a questo proposito, che “in Italia la dittatura della borghesia ti ‘consente’ addirittura (sino ad oggi) di esser ‘comunista’ ma non sopporta, non ammette lo ‘stalinismo’”, e si osserva che “sono molti (troppi) quelli che si sono piegati a questo diktat in Italia”. Con il coraggio politico e ideologico che ci deriva dalla convinzione che la verità è rivoluzionaria, noi a Genova abbiamo provato a contestare questo diktat.
Eros Barone
(membro del Comitato Centrale del Partito Comunista)