Taxi e liberalizzazioni: una testimonianza (di Silvia Antonelli, taxista-Trieste).
Non si tratta di difendere solo il nostro lavoro di tassisti, ma il lavoro tutto, che subisce oggi un
pesante attacco frontale. Il nostro caso è al centro di una vera e propria campagna di falsificazione
che alimenta l’odio di classe e mina la dignità dei lavoratori.
Io non sono una privilegiata e non faccio parte di una potente corporazione capace di tenere in
scacco l’economia italiana e di impedirne la crescita. Sono una laureata di ventinove anni e guido il
taxi. Mio nonno era tassista come lo è mio padre. Sono una lavoratrice che si alza alle cinque e
mezza la mattina e che passa nel traffico minimo otto ore al giorno, moltiplicate per tutti e sette i
giorni della settimana. Il mio orario tuttavia è limitato: dal pomeriggio lavora mio padre. Nel nostro
caso, lavorando in due sullo stesso mezzo (con una sola licenza, s’intende), l’automobile gira nel
traffico per oltre diciotto ore al giorno. Io, come i miei colleghi e colleghe, lavoro le domeniche, i
giorni festivi, a Natale e Capodanno. La maggior parte di coloro che hanno figli e famiglia a carico
raggiungono le dodici ore consecutive di lavoro per potersi permettere la domenica pomeriggio
libera. Si lavora senza tutele né garanzie, non abbiamo malattia né ferie pagate. Per non parlare del
tipo di lavoro: immersi nel traffico caotico e compulsivo delle città lo stress fisico e psicologico è
notevole. L’attenzione e la concentrazione devono rimanere sempre a livelli altissimi sia perché
abbiamo la responsabilità di trasportare persone, sia perché ogni piccolo errore può significare un
danno alla macchina, ovvero giorni di lavoro persi. E, se non bastasse, c’è sempre il rischio di
venire aggrediti o rapinati.
Questi ritmi elevati non ci portano lusso, ricchezza o privilegi: in una realtà come quella di Trieste,
dove nei parcheggi taxi sostiamo in doppia e tripla fila, sono necessari per raggiungere con dignità
la fine del mese.
Dicono che le liberalizzazioni porteranno ad una maggiore efficienza del servizio pubblico, più
macchine e tariffe più basse. Falso! Quasi in tutti campi dove il mercato è stato liberalizzato i prezzi
hanno registrato un sensibile aumento in breve tempo. Inoltre i singoli comuni hanno facoltà di
rilasciare licenze qualora evidenziassero un malfunzionamento della rete taxi: negli anni ‘80 il
Comune di Trieste rilasciò circa 20 licenze allo scopo di potenziare il servizio.
Ma non è questo lo scopo delle liberalizzazioni, bensì quello di ridefinire la geografia del lavoro:
dietro l’alibi del soddisfacimento del consumatore campeggiano gli interessi dei poteri forti.
Liberalizzare i taxi significa far entrare anche in questo settore grandi compagnie di privati, magari
legate al mercato dell’automobile, dar loro la possibilità di acquistare un numero significativo di
veicoli e farci lavorare manodopera sottopagata e con molta probabilità immigrata. Il vero bersaglio
di questo governo – quando individua nei taxi, nei benzinai, negli edicolanti la causa dei mali del
paese – è il lavoro (non a caso in poche settimane si è passati dallo smantellamento delle pensioni
fino alla messa in discussione dell’articolo 18) .
Spogliare i lavoratori di diritti e dignità, e ridurre il lavoro a sfruttamento, è condizione necessaria
alla sopravvivenza del sistema capitalista. Per questo motivo il contrasto all’ideologia delle
liberalizzazioni supera gli interessi di una singola categoria e deve diventare il punto di forza di una
sinistra comunista che difende il lavoro contro gli interessi del privato, dei banchieri, delle grandi
multinazionali e del capitale.
Che il (mio) lavoro debba essere difeso da persone quali Alemanno e Gasparri (anche se poi il loro
partito vota e sostiene Monti tanto quanto la finta sinistra) alimenta la mia frustrazione; il tema delle
liberalizzazioni richiede una riflessione sul tema del lavoro, e il tema del lavoro oggi ha bisogno di
rispolverare prospettive e linee di pensiero annichilite dal centro-sinistra.
È in primo luogo da comunista, e poi da tassista, che mi sento di contrastare la logica delle liberalizzazioni.
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