TRUMP A DAVOS – Il punto del Segretario Generale Alberto Lombardo

TRUMP A DAVOS – Il punto del Segretario Generale Alberto Lombardo

Dopo la sfuriata alla cerimonia per l’insediamento, che ovviamente è una passerella a favore del vasto pubblico, era attesa la prima uscita ufficiale di Trump in un consesso privilegiato, per discernere, data la natura del personaggio, gli intendimenti reali dalle “sparate” tipiche del suo modo di trattare gli affari privati, a cui bisogna sempre fare una grossa tara.
Intervenendo in video-conferenza al World Economic Forum di Davos, Trump ha annunciato la riduzione al 15% per cento dell’aliquota fiscale per le aziende che produrranno beni e servizi negli Stati Uniti, mentre gli altri saranno colpiti da «trilioni di dollari in dazi». La minaccia è prevalentemente rivolta all’Unione Europea e al Canada, che infatti sono quelli che hanno reagito più vivacemente. Nulla arriva dal Giappone, l’altra economia fortemente esportatrice, ma probabilmente ciò si deve alla importanza di quel paese nello scacchiere del Pacifico, imprescindibile per il confronto con la Cina. Inoltre Trump ribadisce l’ultimatum ai paesi europei della Nato di aumentare le spese del settore militare fino al 5% del Pil, che – com’è ben noto – attinge prevalentemente dall’industria bellica americana. D’altro lato, Trump accusa l’Unione Europea di pratiche vessatorie contro gli USA. «Gli europei vogliono miliardi di euro da Apple, vogliono miliardi di euro da Google, che sono imprese statunitensi». La “carota” offerta per non imporre questi dazi sarebbe anche quella di comprare più prodotti petroliferi dagli USA. Ciò unirebbe il settore informatico con quello manifatturiero e l’industria estrattiva in un unico fronte che verrebbe a cannibalizzare l’Europa. Ciò potrebbe essere il tentativo di trovare il punto di caduta della contraddizione tra protezionisti, rappresentati dalla figura del Vicepresidente Vance, e liberisti, incarnati da Musk. [1]

In tutto ciò, i proclami per l’uscita dall’OMS, il ritiro dagli accordi sul clima di Parigi e l’invito a «trivella, ragazzo, trivella» e «compratevi l’auto che volete», le polemiche sul wokismo, persino l’impossibile lotta all’immigrazione clandestina appaiono cortine di fumo irrilevanti rispetto alla guerra economica intrapresa contro i paesi dell’UE.
Il balbettio degli Europei è imbarazzante. La Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, orfana della sponda americana, non ha di meglio da dire che «l’Europa resta sulla sua rotta e siamo pronti a lavorare con tutti gli attori globali per accelerare la transizione verso l’energia pulita». Cioè, per lei non è cambiato nulla. Ha imparato quella parte nella recita della commedia precedente diretta dal blocco sconfitto e ora ancora non ha imparato quella nuova. Cosa che invece ha fatto con prontezza e destrezza la nostra Meloni.

Sul piano internazionale, Trump ha assicurato di volere ripristinare «una relazione giusta» con Pechino. Evidentemente sa benissimo che la politica dei dazi con la seconda economia del mondo non può funzionare. Le linee di approvvigionamento e i mercati di sbocco sono già stati aggiornati per tempo dalla Cina [2], così come l’esposizione al forte debito statunitense.
I commenti di chi conta nel mondo sono i seguenti. La Cina aspetta di vedere quali sono le reali intenzioni di Trump, certa di avere tutte le carte in mano per contrastare ogni manovra ostile, ma ben disposta se il confronto con gli USA potesse virare da quello muscolare militare a quello economico. In Russia, dopo una prima fase di attendismo, si sono scatenate le ilarità indignate contro le parole da spaccone di Trump. In ogni caso, se il nuovo/vecchio Presidente sperava di mettere nel sacco con qualche promessa o qualche minaccia qualcuno che ha lo spessore del governo cinese o russo, avrà avuto subito una bella disillusione.

Chi non conta, come il Parlamento Europeo, anziché occuparsi della prossima distruzione dell’economia europea, è impegnato a continuare a far ridere il mondo intero di sé, riscrivendo la storia ad usum delphini, ossia il sussidiario per la Gioventù del nuovo Littorio Europeo, in attesa di scatenare una nuova disastrosa guerra contro la Russia. Dopo l’obbrobriosa risoluzione del settembre 2019, che metteva sullo stesso piano il nazismo hitleriano e il comunismo sovietico, e sempre per iniziativa del Ppe, la mozione appena approvata recita all’articolo 14: «Il Parlamento deplora l’uso continuato di simboli di regimi totalitari negli spazi pubblici e chiede il divieto a livello di Unione dell’uso dei simboli sia nazisti che comunisti sovietici, nonché dei simboli dell’attuale aggressione della Russia contro l’Ucraina». Il PD non ha partecipato al voto finale, sottolineando dettagli irrilevanti, mentre il gruppo socialista ha votato a favore.

Questa robaccia sconclusionata e ignorante la rigettiamo con sdegno. Finora non vale un bel nulla, provenendo da un organismo privo di ogni forza legale coercitiva come il Parlamento Europeo. Qualora il Parlamento della nostra Repubblica si azzardasse a fare qualche gesto in questa direzione, reagiremo con tutti i mezzi costituzionali. Ricordiamo che, fintanto che il Presidente della Repubblica non dichiara la guerra, IL MIO NEMICO NON E’ LA RUSSIA

[1] Si veda al proposito MUSK CONTRO AMERICA FIRST? di Chris GRISWOLD, in LIMES – Musk o Trump?, 12, 2024
«L’ideologia dell’efficienza e il fondamentalismo neoliberista del fondatore di Tesla sono contrari agli interessi americani. Danneggiano i lavoratori e favoriscono la Cina. Le guerre culturali come distrazione di massa. I veri conservatori si oppongano al DOGE [il Dipartimento per l’Efficienza governativa che è stato affidato a Musk]».
[2] LA CINA SOTTO IL TIRO USA OGGI È MENO VULNERABILE ALLE MINACCE DI DAZI.
“Trump costretto alla cautela rispetto al primo mandato. Pechino ha rafforzato filiere produttive chiave e creato nuove alleanze”. Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore del 24 gennaio 2024, pag. 6.

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