Qualche precisazione sul Leone di Soresina: Arnaldo Bera. (scritto di Luca Ricaldone)

Qualche precisazione sul Leone di Soresina: Arnaldo Bera. (scritto di Luca Ricaldone)

In un suo recente scritto, il compagno Fausto Sorini ricostruisce, per sommi capi, la vita e l’esperienza politica dei compagni Arnaldo Bera ed Alessandro Vaia. Egli tratta di un periodo della storia del PCI sicuramente poco noto su cui pochissimo è stato scritto e che, per motivi di età, ho vissuto solo in modo marginale e solo nell’ultimo periodo.

Egli afferma ad un certo punto, a proposito del compagno Bera, che “Pur con posizioni sempre più critiche, rimase iscritto al PCI fino al suo scioglimento, e non si iscrisse mai a Rifondazione, il cui gruppo dirigente egli considerò fin dall’inizio con profonda sfiducia”.

Attorno a due affermazioni vere, le sue posizioni sempre più critiche e la sua sfiducia (ma è uneufemismo) nei confronti del gruppo dirigente che diede vita a Rifondazione ed alla quale egli non aderì, IL COMPAGNO SORINI AFFERMA UNA COSA NON VERA: cioè il fatto che il compagno Bera sia rimasto iscritto al PCI fino al suo scioglimento.

La cosa stupisce tanto più perché il compagno Sorini non può non saperlo, proprio a partire dal fatto che egli faceva parte all’epoca del comitato editoriale di Interstampa.

E proprio sul numero 21 del 20 giugno 1989 della rivista comparve la lettera con cui il compagno Arnaldo Bera, insieme ad un pugno di compagni, dichiarava la sua decisione di abbandonare il PCI.

“Con il 18° Congresso si è completato un profondo processo di trasformazione del Pci. Oggi il suo gruppo dirigente nazionale si pone fuori dai confini della tradizione e del movimento comunista. (…) Così oggi è un altro partito, con caratteri nuovi e diversi, non è più un partito comunista! (…) La mutazione genetica è pienamente realizzata”.

Con queste parole e dopo 55 anni di militanza, alla fine di maggio del 1989, poco dopo il 18° Congresso quindi (che si tenne tra il 18 ed il 22 marzo 1989), il compagno Arnaldo Bera, il “Leone di Soresina”, abbandonò il partito a cui aveva dedicato la propria vita. Quindi ben prima del 20° Congresso (31 gennaio – 3 febbraio 1991) con cui venne definitivamente liquidato il PCI.

Pochi mesi dopo, il 10 ottobre 1989, uscì l’ultimo numero di Interstampa, sulla quale già da tempo comparivano i segnali delle divisioni interne. Queste porteranno il compagno Bera a decidere e tentare di riprenderne le pubblicazioni dando vita a Nuova Interstampa, che ebbe però vita breve.

“Purtroppo questa nostra proposta trovò dissenso e opposizione all’interno dello stesso gruppo di compagni che aveva dato vita alla rivista una decina di anni prima” scriverà sul primo numero di “Nuova Interstampa” nel luglio del 1989.

Nel documento con cui si dimise da PCI egli individuò chiaramente le condizioni del PCI e le minacce che già prendevano forma nella nostra società: “(…) così i cedimenti del gruppo dirigente del PCI hanno favorito oggettivamente la stessa azione capitalistica che, con la introduzione di nuove tecnologie nel processo produttivo, ha ulteriormente concentrato il potere nelle mani di pochi gruppi, facendo pagare le spese della ristrutturazione capitalistica ai lavoratori ed agli strati più deboli della società: disoccupati, cassintegrati, pensionati, giovani, donne, ecc..

L’obiettivo era ed è quello di liquidare le stesse conquistate riforme sociali, di privatizzazione in importanti settori pubblici, industriali e finanziari, di ridisegnare il volto della società a misura degli interessi del capitale. Mai si era conosciuto tanto pesante ed opprimente il potere dei monopoli in tutti gli ambienti della vita politica, sociale e culturale del nostro paese. (…)

E qui emergono gravi e pesanti responsabilità del gruppo dirigente del PCI e delle centrali sindacali. Gli uni e gli altri, avendo accettato il principio delle grandi imprese capitalistiche relativo alla necessità di “ridurre il costo del lavoro” e lanciato un appello alla stessa classe operaia sulla necessità di una “politica di austerità”, non potevano certo, pur essendo presente una forte combattività, portare alla lotta i lavoratori per contrastare e fermare l’offensiva capitalistica. (…)”

La vera natura di coloro che di li a un anno e mezzo avrebbero liquidato il PCI riciclandosi nel PDS poi DS e (infine?) PD gli era ben chiara. Non eravamo di fronte ad incidenti di percorso di gente forse poco esperta, “Il nuovo gruppo dirigente del PCI non ha certo ignorato la Costituzione per poca memoria storica, ma piuttosto per una precisa scelta politica, fatta in piena sintonia con le forze del centro-sinistra, tesa a realizzare una serie di “riforme istituzionali” fra cui quella che nei fatti cancella la stessa legge elettorale proporzionale. Disegno questo, che mascherato di “modernizzazione” mira da una parte ad adeguare e subordinare le istituzioni democratiche alle

strutture di questa società dominata dai grandi gruppi capitalistici. Dall’altra apre oggettivamente la strada all’offensiva politica che ormai apertamente si propone l’obiettivo di instaurare nel nostro paese, sempre in nome della “modernizzazione”, una repubblica presidenziale, quindi l’affossamento della Costituzione e della repubblica nata dalla Resistenza. I promotori di questa politica si identificano oggi nei dirigenti nazionali del PSI e del MSI”.

Già gli era chiara la parabola che avrebbe portato il PD ad allearsi con Berlusconi in Italia e a sostenere i nazisti in Ucraina.

Sempre lucido nell’analisi egli intravide subito anche i germi che avrebbero minato alla base la futura esperienza di Rifondazione: “Noi lavoriamo per una Nuova Interstampa pienamente autonoma e libera da ipoteche di correnti interne al PCI o al nuovo partito di Occhetto”. Egli non accettò né le posizioni attesiste di chi voleva vedere “quale sarà l’esito del 20° Congresso del PCI”, né quelle “di chi crede di fare uscire dalla crisi il movimento operaio e i comunisti prospettando intese per sbocchi elettoralistici”.

Forti erano le ambiguità dei dirigenti che allora si opponevano alla linea di Occhetto. E Bera tentò di dare voce a tutti quei compagni che “nutrono dei dubbi, temono che essa (la proposta da cui sorgerà di li a poco Rifondazione) sia inquinata da manovre, oltre che da pressioni di gruppi esterni, i quali sembra abbiano più a cuore spinte elettoralistiche che la costruzione di una nuova forza comunista in Italia”.

Luca Ricaldone (segretario della Federazione del Partito Comunista di Milano)

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