“I filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo; ma si tratta di trasformarlo.” (Marx, XI Tesi su Feuerbach)
La concezione materialistico-dialettica che interpreta la storia come lotta di classe, la scoperta della teoria del plusvalore come base economica dei rapporti di produzione capitalistici, l’importanza cruciale dell’organizzazione autonoma politica e ideologica del proletariato; questi sono le tre scoperte fondamentali di Marx ed Engelsche sono costantemente attaccate dagli opportunisti e dai controrivoluzionari, spesso nascosti sotto mentite spoglie.
In questo articolo ci occupiamo di respingere le teorie borghesi che sono state messe in campo per contrastare la concezione materialistico-dialettica fondata da Marx ed Engels.
Fin dai primi anni della loro elaborazione teorica, Marx ed Engels, provenendo da una formazione filosofica hegeliana, hanno cominciato la loro indagine a partire dalla sovrastruttura, ossia dalla critica della ideologia della borghesia da subito individuata come “falsa coscienza” della classe dominante, che serve a questa per nascondere la necessità e l’attuazione della propria egemonia sulle classi subalterne.
Il riconoscimento dell’arretratezza delle loro conoscenze sulla teoria economica
,
 e la sconfitta della rivoluzione piccolo-borghese del 1848 (quindi la interazione tra la lotta di classe condotta sul piano politico e ideologico) portò i due grandi maestri a formulare la loro “rivoluzione copernicana”
 e a rendersi conto che il bandolo della loro ricerca non poteva partire dalla sovrastruttura, ma doveva assolutamente passare da una critica radicale della base economica
. Solo dopo avere scoperto i veri nessi che costituiscono i rapporti di classe, essi furono in grado di ritornare a riflettere sulla sovrastruttura e rielaborare una critica della ideologia, della filosofia, della concezione dello stato, attraverso una chiave di analisi pienamente materialistico-dialettica. Solo dopo avere acquisito questa nuova visione, essi furono in grado di penetrare anche le ragioni e il funzionamento di tutte le articolazioni della sovrastruttura borghese.
Il Capitale, la critica dell’economia politica, di cui la vita consentì a Marx di ultimare solo il primo libro e a Engels di pubblicare gli altri due volumi, doveva essere solo la prima di tre grandi opere che dovevano essere completate con la critica alla filosofia e alla concezione dello stato.
Tuttavia, nei testi che Marx e soprattutto Engels dedicarono qui e lì e poi successivamente, il primo elemento che viene spazzato via è proprio il concetto di filosofia come sintesi suprema del pensiero
, mettendo invece al suo posto la pratica scientifica e politica e in particolare la lotta di classe, non solo il suo studio storico, ma l’azione, il fare lotta di classe a cui tutto il pensiero marxista è subordinato.
Perché la filosofia è definita da Marx falsa coscienza della borghesia? Perché la borghesia, già pervenuta ai limiti della capacità rivoluzionaria nel 1848, fino a tramutarsi definitivamente in una classe reazionaria nel 1871, impongono a questa classe di dover esercitare la propria “egemonia” mentendo, ossia stravolgendo completamente il suo ruolo sociale da lì in poi
. In questo nessuna differenza formale con tutte le altre classi reazionarie che l’avevano preceduta. È pienamente funzionale ai fini della borghesia una visione della filosofia come pensiero dell’uomo avulso dal suo stato sociale, dal suo posto nella lotta di classe, persino dal tempo e dallo spazio dove esso è collocato
. La storia del pensiero dell’uomo quindi è un divenire costante, un ascendere verso la “conoscenza” a cui si devono inchinare tutti, ricchi e poveri, oppressi e oppressori. Le leggi dialettiche “scoperte” da Hegel in questo contesto vengono presentate come “universali”, eterne, delle quali solo l’ignoranza può offuscare la potenza esplicativa
.
Dopo aver radicalmente criticato l’universalità dei rapporti di produzione capitalistici, visti non come un libero scambio tra eguali, il capitalista e il lavoratore, ma come una “libera” vendita della forza-lavoro del lavoratore al capitalista che ne estrae il plus-valore, è possibile criticare anche l’universalità delle leggi della borghesia, dopo aver svelato il carattere predatorio del rapporto sociale capitalista, è possibile svelare anche la natura oppressiva e tutt’altro che universale della filosofia e della concezione dello stato della borghesia.
La filosofia del passato ora è criticata e messa a nudo per quella che è: lo strumento di oppressione del proletariato e disarticolazione di tutte le sue forme organizzative autonome e rivoluzionarie. Occorre quindi costruire una nuova “filosofia”, la filosofia del proletariato, che sia funzionale alle sue lotte alla sua organizzazione politica e alla rivoluzione. La filosofia deve terminare di essere un falso strumento neutro atto a interpretare il mondo, perché ormai per il proletariato non è più il tempo dell’interpretazione, ma è il momento della rivoluzione, del ribaltamento dei rapporti di produzione e quindi necessariamente e prioritariamente politici.
In questo senso il termine “ideologia”, in riferimento alla concezione politica del proletariato, smette di essere falsa coscienza finalizzata a opprimere e mascherare il vero obiettivo di chi la detiene, ma deve diventare la sintesi, la concrezione storico-politica del proletariato, che non deve ricapitolare ogni volta la propria storia e la propria strada, ma deve essere la guida per la sua azione politica quotidiana. L’ideologia per il proletariato non è falsa coscienza di una classe oppressiva, ma coscienza del tutto matura e dichiarata del proprio compito rivoluzionario.
Il terzo termine di questa triade: teoria del plusvalore, ideologia, dittatura del proletariato, è il punto di arrivo in cui il ribaltamento della concezione borghese arriva al punto di assoluta irriducibilità , inconciliabilità tra il proletariato e i suoi alleati da un lato e la borghesia dall’altro: la concezione dello stato.
Cosa resta delle acquisizioni della classe borghese? Viene tutto spazzato via o ci sono dei pezzi dell’elaborazione teorica precedente che possono e devono essere recuperati?
Così come la critica dell’economia politica di Marx parte da acquisizioni teoriche che egli sempre ha riconosciuto, tributando giusti riconoscimenti all’opera di Ricardo, così pezzi dell’elaborazione di Hegel vengono salvati da Marx nella propria elaborazione
. In particolare le leggi della dialettica, ossia il metodo. Il debito che Marx paga a Hegel sta in questo e solo in questo. Il ribaltamento della dialettica idealistica hegeliana non può essere più radicale, fondamentale, completo.
La differenza fondamentale che differenzia Marx da Hegel è che, mentre in Hegel la dialettica – oltre a essere metodo – è lo strumento per una costruzione teorica autoconsistente, ossia una visione di tutto il reale all’interno di un “sistema” organizzato in modo coerente, in cui tutti i pezzi del puzzle vanno a posto da soli a causa della razionalità che è forza ordinatrice di per sé, in Marx la dialettica non è che un metodo e non una costruzione
. La realtà nella visione materialistica dialettica non ha una razionalità , ossia non si muove con le stesse leggi che muovono il pensiero umano. La realtà , ogni realtà , ha le sue proprie “leggi”, o per meglio dire delle caratteristiche, delle proprietà che la mettono in moto e la fanno interagire con le altre realtà , dando luogo al movimento della natura a cui assistiamo. Quelle stesse realtà a cui noi ci riferiamo, d’altro lato, sono esse stesse fenomeni complessi e frutto di interne contraddizioni che noi vediamo come “singole” realtà o oggetti fenomenici per nostra necessità di sintesi e interpretazione. Le “leggi” che noi formuliamo non sono le leggi che muovono i fenomeni, ma sono il riflesso e la sintesi che noi formuliamo per poterli comprendere. Il diaframma che separa l’uomo dalla natura, che l’idealismo supera con il ricondurre tutte le leggi alla stessa natura e che il solipsismo invece rinuncia a superare, viene risolto da Marx e da Engels nell’unico modo che la scienza ci insegna a superare: con l’azione, con la sperimentazione scientifica. Si formula un’ipotesi su un fenomeno, si sperimenta con una serie di prove che ci mettono in condizione di capire quello che abbiamo indovinato e ciò che invece non funziona nella nostra teoria, sulla base dei risultati si formula una teoria superiore, che viene quindi rimessa in discussione con nuovi esperimenti scientifici. È un continuo e incessante processo scientifico che cerca di estrarre dal processo reale informazioni che arricchiscono la nostra conoscenza. Il fine non è speculativo, meramente osservazionale, il fenomeno sotto osservazione non è una realtà statica, avulsa dalle altre realtà che le circonda. La conoscenza è una continua interazione tra il processo reale e il processo sperimentale. Solo assaggiando la pera se ne può capire il gusto.
Quindi: 1) non esistono “leggi bronzee”
, l’unica legge bronzea è che non esistono leggi bronzee; 2) la natura è fatta da processi in movimento, non da entità statiche, processi che entrano in interazione con altri processi; 3) il nostro scopo è avere uno strumento interpretativo che metta in comunicazione due cose strutturalmente diverse, la nostra conoscenza e la natura che ci circonda, con lo scopo precipuo di cambiare il nostro pensiero, ma soprattutto cambiare e piegare al nostro scopo i processi che studiamo.
Quando questa visione materialistica viene portata ai processi storici umani, il ribaltamento diviene ancora più sconvolgente. La storia non è un processo continuo di autoaffermazione del razionale sull’irrazionale, ma la storia è storia di lotte di classe. La direzione alla storia gliela imprimiamo noi, i rivoluzionari che vogliono sovvertire il vecchio ordine borghese e istaurare il nuovo ordine proletario. Non c’è una “razionalità ” nella storia se non il motore economico mirato all’acquisizione del massimo potere della classe dominante, che nel capitalismo è la produzione socializzata finalizzata al massimo profitto. Lo stato e l’ideologia sono lo strumento della classe dominate per attuare questo fine come classe.
Sono fulminanti, come al solito, le pagine di Antonio Gramsci in cui si esalta la svolta epocale che Marx diede al pensiero umano.
In sede teorica la filosofia della praxis non si confonde e non si riduce a nessun’altra filosofia: essa non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cioè rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia stessa. (A. Gramsci, Quaderni del carcere 11)
riconoscendo in particolare il ruolo di guida che da esso scaturisce all’azione politica del proletariato.
… il carattere della filosofia della praxis è specialmente quello di essere una concezione di massa, una cultura di massa e di massa che opera unitariamente, cioè che ha norme di condotta non solo universali in idea, ma «generalizzate» nella realtà sociale. E l’attività del filosofo «individuale» non può essere pertanto concepita che in funzione di tale unità sociale, cioè anch’essa come politica, come funzione di direzione politica. (A. Gramsci, QDC. 10)
Naturalmente la borghesia, capendo che insegnamento incendiario fosse quello di Marx, si affrettò subito a cercare di sminuire, distorcere, camuffare tale contributo.
Si attaccarono le basi della scoperta della teoria del plusvalore, per minare il fondamento scientifico del marxismo. Senza quelle basi crolla il socialismo scientifico, ossia il movimento operaio torna a essere animato solo da un anelito di giustizia e uguaglianza che può essere facilmente confuso e sbaragliato attraverso la forza dalle “ferree” necessità economiche dell’economia capitalistica, che non viene più smascherata per la sua irreducibile e insanabile vocazione all’appropriazione del prodotto sociale e afflitta da una crisi strutturale di sovrapproduzione. Invece il socialismo scientifico insegna che l’appropriazione del plus-valore non solo è moralmente ingiusta, ma è il tarlo che incessantemente rode le basi dell’accumulazione capitalistica e in ciò si determina concretamente e storicamente il ruolo del proletariato, cioè la classe che può realizzare il ritorno dei fini della produzione sociale ai bisogni sociali e non al profitto.
Si attaccarono e si attaccano ancor oggi le basi teoriche del materialismo scientifico, volendo a tutti i costi riportare Marx all’interno di un pensiero utopistico, finalistico, teleologico, quasi religioso, figlio non separato dell’idealismo, sottolineando artatamente i generosi passaggi in cui Marx descrive la brutalità dello sfruttamento e prefigura il superamento della società capitalista, tentando così di ridurre Marx a un “narratore”, affascinante, ma impotente. Dimenticando come mai Marx si abbandona a prefigurare futuri che la sua scienza e la sua conoscenza non poteva delineare (rifiutando di “prescrivere ricette per l’osteria del futuro”), perché questi dovevano ancora essere scoperti nel fuoco della lotta di classe, come poi fu attraverso la gloriosa rivoluzione bolscevica guidata da Lenin e la grandiosa costruzione del socialismo guidata da Stalin.
Si tenta ancor oggi in tutti i modi di accentuare le similitudini anche solo lessicali con l’idealismo, che Marx usava prendendo a prestito una terminologia del passato per stimolare il lettore suo contemporaneo e mettersi meglio in comunicazione con lui, trascurando invece il profondo significato del suo pensiero.
È facile, ma profondamente scorretto, fare paragoni estrinseci tra il ruolo che Hegel attribuisce allo Spirito (o che le religioni attribuiscono al “popolo eletto”) e quello che Marx attribuisce al proletariato; tra il movimento storico descritto da Hegel, processo incessante e unidirezionale, dominato da una dialettica triadica puramente formale, e il materialismo storico che invece esamina i nessi e i movimenti reali che hanno attraversato la storia, vista come storia di uomini in carne e ossa, come storia delle relazioni sociali che intercorrono tra questi uomini, come storia della lotta di classe. Lotte di classe che sono processi non già definiti da un Destino superiore, ma da un destino che gli uomini possono o possono non realizzare.
In conclusione, il marxismo, questa grandiosa costruzione che segna l’acquisizione più importante del pensiero umano, è stata possibile non solo dalla genialità di chi l’ha formulata, ma anche dallo sviluppo delle condizioni storiche e politiche in cui Marx ed Engels hanno vissuto.
I suoi detrattori, espliciti o nascosti, dichiarati o subdoli, tentano da sempre di sottrarre qualcosa a questo edificio nella speranza di farlo vacillare, o falsificandone e distorcendone il pensiero o narrando percorsi di lettura del tutto ingiustificati. Mettendo Engels contro Marx, Lenin e ancor di più Stalin contro Marx ed Engels, addirittura mettendo Marx contro il marxismo e contro se stesso, inventando continuità col pensiero del passato per sminuirne la potenza, sfruttando frasi del tutto decontestualizzate.
Compito dei comunisti è quello di studiare Marx, preservarne l’insegnamento originario e soprattutto mettere in opera il suo immortale insegnamento: fare la lotta di classe, abbattere il capitalismo e instaurare la nuova società , il socialismo-comunismo.
Il marxismo, la benzina più potente per il motore della rivoluzione proletaria.
di Alberto LOMBARDO, responsabile Formazione Politica