8 Marzo: differenza di genere, differenza di classe. Nota di Monica Perugini

8 Marzo: differenza di genere, differenza di classe. Nota di Monica Perugini

Da tempo la data dell’8 marzo è svilita e assimilata alla consuetudine consumistica, tanto di diventare una sorta di festa della mamma allargata.

Ma non è così e non solo per quello che rappresenta e rievoca.

Nell’era della lotta mediatica noi comunisti/e non solo non dimentichiamo quanto è stata indispensabile, fondamentale all’emancipazione di un’ intera classe, la lotta delle donne per la conquista dei diritti sociali prima e civili poi e per l’affermazione dei principi di autodeterminazione e parità ma ricordiamo come questa lotta sia stata vera, autentica, densa di contributi ideali e di apporti concreti, a partire dalle fila della Resistenza e quindi nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro.

Oggi la condizione delle donne, in tutto il mondo, arretra a vista d’occhio, perchè la complessiva condizione della classe operaia, dei lavoratori, dei vasti ceti in via di veloce proletarizzazione e delle grandi masse emarginate ed escluse dello sviluppo della società capitalista, sono in difesa, aggredite dalla forza incontrollata del capitale globalizzzato, capaci, per ora, solo di una lotta di retroguardia, a difesa, appunto, di una condizione che ormai è stata erosa ed esposta ad ogni aggressione, non esistendo un soggetto politico (ma nemmeno sindacale) capace di rendere protagoniste autorevolmente e senza ipocrisie, interessi, condizione, aspirazioni, ideali della classe operaia e dei lavoratori.

La condizione della donna, migliorata, avanzata, divenuta spesso traino di nuove conquiste e nuove dinamiche ideali e pratiche, quando la lotta popolare era forte e rappresentata da un’entità ancora salda e comunque ancorata a principi non compromessi, era altrettanto forte e le conquiste ottenute sono state immense.

Le otto ore, la parità di condizione dell’accesso al lavoro, lo statuto dei lavoratori, le previdenze sociali, il nuovo diritto di famiglia, divorzio, aborto, servizi sociali pubblici, tutto oggi che ciò è conservatore, antiriformista, ci ripetono alla nausea i governanti di destra e della finta sinistra, che coi loro governi, in questi due decenni, alternativamente, ne hanno fatto scempio.

Oggi quella condizione soffre maggiormente la sconfitta e paga il prezzo più alto dell’arretratezza economica e culturale che, sia pure con facce e forme diverse, si manifesta in modo devastante, in tutto il pianeta.

Se il lavoro manca, se grandi masse di ex lavoratori vengono espulse dalla produzione e dal complessivo mondo del lavoro, le prime a farne le spese sono le donne: è facile rispolverare la sottocultura (in realtà mai sopita) della donna che torna fra le mura domestiche, dopo aver fatto l’operaia, la commessa, l’impiegata o l’assistente nei servizi di cura per decenni. Saranno loro anche a tappare il buco della sanità pubblica che non c’è più, ad agire in via “sussidiaria”, come piace tanto alla destra (ma pure al PD che ha copiato il modello lombardo, esportandolo nelle Regioni che monopolizza da anni ed affidando alla rete delle sue cooperative -ex rosse- i servizi sanitari e sociali che sono stati pubblici: un affare dopo l’altro, terminato quello andato male delle cooperative edili …) in quelli sociali, di cura, rivolti alla persona, che torneranno ad essere appannaggio del lavoro (gratuito) delle donne.

Per questo ricordiamo come solo con un movimento operaio e popolare forte si possano far avanzare in modo altrettanto forte e duraturo le conquiste delle donne. E per mantenerle, tali conquiste che sono di un’intera società e ne sottolineano la cifra complessiva della civiltà, occorre che il movimento, nella sua espressione pratica e contemporaneamente ideale ed ideologica, resti sempre forte.

Così non è avvenuto e così le conquiste ottenute, i diritti, il progresso sociale e civile strappato con una dura lotta che molti tendono a dimenticare, sono state “riportate a casa” dall’avversario di classe, il capitalismo, nella versione più atroce del liberismo globalizzato.

Se nell’ex avanzato occidente la condizione della donna peggiora, a partire dal lavoro; se la violenza maschilista si abbatte come un macigno incontrollato e dagli aspetti umani biechi; se la sottocultura sessista, il fondamentalismo e il bigottismo religioso imperano e si riprendono, senza che molti e molte se ne accorgano, una egemonia culturale che la “finta sinistra” europea e italiana, in particolare, crede sia saldamente nella testa e nel cuore della maggioranza della popolazione, nel resto del mondo, per la donna la condizione di arretratezza significa schiavitù, violenza, abbrutimento, ignoranza, analfabetismo, malattia.

E globalizzazione significa che simili sacche di miseria e violenza di genere vengano esportate anche nelle (ex) civilissima Europa dove l’unico parametro di riferimento è il denaro e il potere che esso genera.

Questa parte del mondo, così brutta non lo è diventata per caso, l’avanzamento sociale, il miglioramento della qualità della vita grazie alle lotte ed alle aspirazioni di tante generazioni, non sono sfumate nel nulla, dalla sera alla mattina.

Il nemico di classe ci ha lavorato sodo e ce l’ha fatta ma di fronte ha trovato un avversario di classe sempre più arrendevole, tanto di diventare corrotto e proprio a partire dalle politiche sul lavoro, sui diritti sociali e sulla qualità della vita: svenduti e traditi con l’aggravante dell’uso di un’ipocrisia che si è fatta luogo comune.

La lotta delle donne, la lotta per le conquiste di un genere che oggi soffre immensamente e più dell’altro, torneranno con la ripresa della lotta operaia, della lotta della classe che ha come obiettivo quello di rovesciare gli attuali rapporti di forza, per imporre la propria visione del mondo che schiaccia sfruttamento e prevaricazione. Che vuole costruire il socialismo.

E per far questo serve la forza ideale, ideologica e pratica di un partito: quello comunista.

 

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