MOSCA 1993 – IL GOLPE DI ELTSIN CHE BOMBARDA IL PARLAMENTO Quel che accadde a Mosca tra il 2 e il 4 ottobre del 1993 è senza dubbio uno degli eventi più tragici e dimenticati della storia contemporanea. In quei giorni le forze armate, su ordine di Boris Eltsin, bombardarono la Duma, ovvero il Parlamento russo, colpevole di essersi opposto alle manovre illegali e incostituzionali del governo da lui presieduto. I parlamentari – interpreti del profondo malcontento popolare nei confronti della situazione in cui versava la Russia post-sovietica – avevano infatti osato opporre resistenza ai piani di scioglimento della Duma decretati da Eltsin. Per tutta risposta, essi vennero dapprima accerchiati dai militari, e infine bombardati da parte di unità dell’esercito a lui fedeli. Scontri violentissimi tra le forze dell’ordine e le oltre 100.000 manifestanti che sostenevano in piazza le ragioni dei deputati “ribelli” fecero centinaia di vittime. Decine di parlamentari persero la vita sotto le bombe. Come Pinochet nel ‘73, una cricca di usurpatori usava la violenza militare per soffocare le legittime pretese democratiche di chi reclamava il ritorno al socialismo. Si trattà di un vero e proprio colpo di Stato, necessario per imporre una controrivoluzione aborrita dal popolo, ma necessaria alla nascente borghesia ladra russa. La dittatura militare, che analisti pigri e disinformati imputano all’URSS, in verità prese corpo dopo la caduta dell’URSS, sulla base economica del capitalismo nascente, e caratterizzò la natura del potere russo degli anni ‘90. GLI EFFETTI DELLA CONTRORIVOLUZIONE Ma come si era potuto arrivare a tal punto? Non ci hanno forse ripetuto fino alla nausea che il popolo russo, liberato dalla tirannide totalitara, viveva l’ebrezza delle libertà capitaliste? La realtà ci dice il contrario. Dall’instaurazione del capitalismo – iniziata ben prima della caduta ufficiale dell’URSS nel ‘91, grazie alle riforme di Gorbatchev – il popolo sovietico aveva visto precipitare vertiginosamente le proprie condizioni di vita. I cittadini vedevano riapparire dei mali sociali che credevano scomparsi per sempre: la miseria, la fame, l’accattonaggio, la violenza urbana, la disoccupazione, la perdita delle coperture sanitarie, della casa e dell’istruzione gratuita. Il degradarsi repentino delle condizioni di vita erano dovute principalmente al collasso economico propiziato dall’introduzione del capitalismo. La catastrofe – così i cittadini russi ancora descrivono quel periodo nero della loro storia -, si generalizzò a tutti gli aspetti della vita sociale, traumatizzando e umiliando una popolazione abituata a ben altro tenore di vita. Per farci una corretta idea dell’entità del disastro – al di là dei luoghi comuni diffusi dalla storiografia occidentale e dal giornalismo superficiale – conviene fare un parallelo con la crisi europea in corso. Il Paese più colpito oggi, come noto, è la Grecia, che in 7 anni ha perso il 25% del proprio PIL; ebbene l’URSS in 3 anni vide evaporare più del 50% della propria economia e dei redditi, grazie all’applicazione delle stesse “riforme” in atto oggi in Europa. L’industria letteralmente scomparve dalla faccia di un Paese che era all’epoca la seconda potenza industriale al mondo. Mentre 250 milioni di persone sprofondavano nella miseria, una ristrettissima cricca di mafiosi – chiamati oligarchi, o più semplicemente uomini d’affari – si impossessava sotto la protezione di Eltsin (l’uomo del FMI e degli USA a Mosca) di tutte le risorse del Paese costituendo ricchezze spropositate che depositavano nelle banche occidentali. Comportandosi come capi mafiosi, circondati da milizie private, essi trasformarono Mosca in un gigantesco terreno di regolamenti di conti tra bande organizzate in difesa degli interessi di tal o tal altro oligarca legato a tal o tal altro ministro. Dunque, alla vigilia del ‘93, le forze di sinistra russe e la stragrande maggioranza della popolazione – letteralmente stremate, avvilite dall’autoritarismo del governo, terrorizzate dalle esecuzioni mafiose, umiliate dalla dissoluzione non richiesta dell’URSS, affamate dalle politiche liberali – ne avevano abbastanza del capitalismo e intendevano mettere fine alle saccheggio impunito del Paese. Il ritorno al socialismo era un’aspirazione legittima e patriottica, rivendicata anche da chi aveva avuto legittime ragioni di malcontento durante i tempi dell’URSS, ma che fu obbligato a ricredersi dopo la dura esperienza della perestrojka. Il governo contro-rivoluzionario non poteva in queste condizioni non sciogliere il Parlamento, e lo fece, reagendo come i governi capitalisti sempre fanno quando si sentono realmente in pericolo: con la violenza di massa, le bombe, l’assassinio e l’autoritarismo militare. Vinsero, decretando così la fine del socialismo e la consolidazione del loro dominio sulla vita sociale post-sovietica. MEMORIA SELETTIVA Di fronte a tutto questo, i media sempre solleciti nel descriverci in lungo e in largo i cosiddetti crimini del comunismo (falsificandoli per lo più), “dimenticano” sistematicamente di celebrare i massacri praticati dai loro padroni, come quello di Mosca del 1993. Due pesi e due misure si applicano da sempre: i crimini capitalisti sono giustificati perché contro il comunismo tutto è lecito, mentre ogni pretesto è buono per accusare i governi comunisti di tutte le malefatte della storia. Grazie a tali metodi mistificatori, un politicante come Eltsin – ubriacone notorio, burattino nelle mani del Dipartimento di Stato USA, bombardatore di parlamenti e affamatore di popoli – è considerato dalle nostre classi dirigenti (e quindi dipinto dai nostri media servili) come padre della democrazia russa. In verità la sua opera si riassume nella svendita del Paese agli appetiti dei capitalisti russi e stranieri, nella distruzione tutto ciò che generazioni di onesti comunisti, tra difficoltà indicibili, successi ed errori, avevano costruito. I media che ad esempio non dimenticano ogni anno di riproporci in pompa magna la ricorrenza delle celebrazioni dei fatti di Tianamen, con le sue ineffabili fotografie strappalacrime, utilizzano in realtà un terrorismo emotivo manipolatore e tendenzioso volto a dipingere i comunisti (cinesi, russi, cubani, venezuelani poco importa, sempre di comunisti si tratta!) come macchiati da una sorta di peccato originale. Curiosamente però, questi stessi media “dimenticano” di celebrare anniversari come quelli di Mosca ‘93, oscurandoli completamente dall’agenda mediatica ufficiale a tal punto da cancellarli dalla memoria collettiva. L’obiettivo dichiarato è uno solo: la criminalizzazione dell’esperienza comunista mondiale, per delegittimare in toto le rivendicazioni operaie passate, presenti e future. Non si tratta qui di categorie scientifiche, storiche o politiche; si scade semplicemente nel più becero fanatismo manicheo e oscurantista. Lo spettatore/consumatore è tenuto a ricordare tramite una pesante campagna mediatica permanente ai limiti del lavaggio del cervello che le “forze del Male” esistono e stanno sempre a sinistra. In questo contesto, Mosca 1993 fa parte della lunga lista di eccidi del capitalismo rimossi e occultati. Quando i fatti sono scomodi, quando non si accordano con la visione del mondo di cui la borghesia è portatrice, semplicemente vengono messi da parte, alla faccia dell’obiettività e del pluralismo, per far posto alle opinioni precostituite, ai pregiudizi e alle menzogne acclarate, alla visione ideologica e interessata, che purtroppo costituisce l’ideologia dominante. La memoria a orologeria – fabbricata dai media e dagli storici borghesi – è una delle armi più subdole ed efficaci di questa ignobile riscrittura anti operaia della storia.


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MOSCA 1993 – IL GOLPE DI ELTSIN CHE BOMBARDA IL PARLAMENTO

Quel che accadde a Mosca tra il 2 e il 4 ottobre del 1993 è senza dubbio uno degli eventi più tragici e dimenticati della storia contemporanea. In quei giorni le forze armate, su ordine di Boris Eltsin, bombardarono la Duma, ovvero il Parlamento russo, colpevole di essersi opposto alle manovre illegali e incostituzionali del governo da lui presieduto. I parlamentari – interpreti del profondo malcontento popolare nei confronti della situazione in cui versava la Russia post-sovietica – avevano infatti osato opporre resistenza ai piani di scioglimento della Duma decretati da Eltsin. Per tutta risposta, essi vennero dapprima accerchiati dai militari, e infine bombardati da parte di unità dell’esercito a lui fedeli.

Scontri violentissimi tra le forze dell’ordine e le oltre 100.000 manifestanti che sostenevano in piazza le ragioni dei deputati “ribelli” fecero centinaia di vittime. Decine di parlamentari persero la vita sotto le bombe. Come Pinochet nel ‘73, una cricca di usurpatori usava la violenza militare per soffocare le legittime pretese democratiche di chi reclamava il ritorno al socialismo. Si trattà di un vero e proprio colpo di Stato, necessario per imporre una controrivoluzione aborrita dal popolo, ma necessaria alla nascente borghesia ladra russa. La dittatura militare, che analisti pigri e disinformati imputano all’URSS, in verità prese corpo dopo la caduta dell’URSS, sulla base economica del capitalismo nascente, e caratterizzò la natura del potere russo degli anni ‘90.

GLI EFFETTI DELLA CONTRORIVOLUZIONE
Ma come si era potuto arrivare a tal punto? Non ci hanno forse ripetuto fino alla nausea che il popolo russo, liberato dalla tirannide totalitara, viveva l’ebrezza delle libertà capitaliste? La realtà ci dice il contrario. Dall’instaurazione del capitalismo – iniziata ben prima della caduta ufficiale dell’URSS nel ‘91, grazie alle riforme di Gorbatchev – il popolo sovietico aveva visto precipitare vertiginosamente le proprie condizioni di vita. I cittadini vedevano riapparire dei mali sociali che credevano scomparsi per sempre: la miseria, la fame, l’accattonaggio, la violenza urbana, la disoccupazione, la perdita delle coperture sanitarie, della casa e dell’istruzione gratuita. Il degradarsi repentino delle condizioni di vita erano dovute principalmente al collasso economico propiziato dall’introduzione del capitalismo. La catastrofe – così i cittadini russi ancora descrivono quel periodo nero della loro storia -, si generalizzò a tutti gli aspetti della vita sociale, traumatizzando e umiliando una popolazione abituata a ben altro tenore di vita.

Per farci una corretta idea dell’entità del disastro – al di là dei luoghi comuni diffusi dalla storiografia occidentale e dal giornalismo superficiale – conviene fare un parallelo con la crisi europea in corso. Il Paese più colpito oggi, come noto, è la Grecia, che in 7 anni ha perso il 25% del proprio PIL; ebbene l’URSS in 3 anni vide evaporare più del 50% della propria economia e dei redditi, grazie all’applicazione delle stesse “riforme” in atto oggi in Europa. L’industria letteralmente scomparve dalla faccia di un Paese che era all’epoca la seconda potenza industriale al mondo. Mentre 250 milioni di persone sprofondavano nella miseria, una ristrettissima cricca di mafiosi – chiamati oligarchi, o più semplicemente uomini d’affari – si impossessava sotto la protezione di Eltsin (l’uomo del FMI e degli USA a Mosca) di tutte le risorse del Paese costituendo ricchezze spropositate che depositavano nelle banche occidentali. Comportandosi come capi mafiosi, circondati da milizie private, essi trasformarono Mosca in un gigantesco terreno di regolamenti di conti tra bande organizzate in difesa degli interessi di tal o tal altro oligarca legato a tal o tal altro ministro.

Dunque, alla vigilia del ‘93, le forze di sinistra russe e la stragrande maggioranza della popolazione – letteralmente stremate, avvilite dall’autoritarismo del governo, terrorizzate dalle esecuzioni mafiose, umiliate dalla dissoluzione non richiesta dell’URSS, affamate dalle politiche liberali – ne avevano abbastanza del capitalismo e intendevano mettere fine alle saccheggio impunito del Paese. Il ritorno al socialismo era un’aspirazione legittima e patriottica, rivendicata anche da chi aveva avuto legittime ragioni di malcontento durante i tempi dell’URSS, ma che fu obbligato a ricredersi dopo la dura esperienza della perestrojka. Il governo contro-rivoluzionario non poteva in queste condizioni non sciogliere il Parlamento, e lo fece, reagendo come i governi capitalisti sempre fanno quando si sentono realmente in pericolo: con la violenza di massa, le bombe, l’assassinio e l’autoritarismo militare. Vinsero, decretando così la fine del socialismo e la consolidazione del loro dominio sulla vita sociale post-sovietica.

MEMORIA SELETTIVA
Di fronte a tutto questo, i media sempre solleciti nel descriverci in lungo e in largo i cosiddetti crimini del comunismo (falsificandoli per lo più), “dimenticano” sistematicamente di celebrare i massacri praticati dai loro padroni, come quello di Mosca del 1993. Due pesi e due misure si applicano da sempre: i crimini capitalisti sono giustificati perché contro il comunismo tutto è lecito, mentre ogni pretesto è buono per accusare i governi comunisti di tutte le malefatte della storia. Grazie a tali metodi mistificatori, un politicante come Eltsin – ubriacone notorio, burattino nelle mani del Dipartimento di Stato USA, bombardatore di parlamenti e affamatore di popoli – è considerato dalle nostre classi dirigenti (e quindi dipinto dai nostri media servili) come padre della democrazia russa. In verità la sua opera si riassume nella svendita del Paese agli appetiti dei capitalisti russi e stranieri, nella distruzione tutto ciò che generazioni di onesti comunisti, tra difficoltà indicibili, successi ed errori, avevano costruito.

I media che ad esempio non dimenticano ogni anno di riproporci in pompa magna la ricorrenza delle celebrazioni dei fatti di Tianamen, con le sue ineffabili fotografie strappalacrime, utilizzano in realtà un terrorismo emotivo manipolatore e tendenzioso volto a dipingere i comunisti (cinesi, russi, cubani, venezuelani poco importa, sempre di comunisti si tratta!) come macchiati da una sorta di peccato originale. Curiosamente però, questi stessi media “dimenticano” di celebrare anniversari come quelli di Mosca ‘93, oscurandoli completamente dall’agenda mediatica ufficiale a tal punto da cancellarli dalla memoria collettiva. L’obiettivo dichiarato è uno solo: la criminalizzazione dell’esperienza comunista mondiale, per delegittimare in toto le rivendicazioni operaie passate, presenti e future. Non si tratta qui di categorie scientifiche, storiche o politiche; si scade semplicemente nel più becero fanatismo manicheo e oscurantista. Lo spettatore/consumatore è tenuto a ricordare tramite una pesante campagna mediatica permanente ai limiti del lavaggio del cervello che le “forze del Male” esistono e stanno sempre a sinistra.

In questo contesto, Mosca 1993 fa parte della lunga lista di eccidi del capitalismo rimossi e occultati. Quando i fatti sono scomodi, quando non si accordano con la visione del mondo di cui la borghesia è portatrice, semplicemente vengono messi da parte, alla faccia dell’obiettività e del pluralismo, per far posto alle opinioni precostituite, ai pregiudizi e alle menzogne acclarate, alla visione ideologica e interessata, che purtroppo costituisce l’ideologia dominante. La memoria a orologeria – fabbricata dai media e dagli storici borghesi – è una delle armi più subdole ed efficaci di questa ignobile riscrittura anti operaia della storia.

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