E’ certamente un fatto storico che per la prima volta sul territorio nazionale sia organizzato lo sciopero delle donne: lavoratrici, precarie, disoccupate, casalinghe, in tutti i settori, pubblici e privati. E la scelta della data non è casuale, proprio il 25 novembre giornata contro la violenza maschile sulle donne.
E di violenza si tratta. Questo sciopero, infatti, parte dalla questione più tragica che colpisce le donne, i femminicidi (in Italia viene uccisa una donna ogni 3 giorni) e gli stupri ma inevitabilmente investe l’intera condizione delle donne. Lo sfruttamento capitalistico contro le classi deboli, oggi più che mai, è devastante e contro le donne avviene in maniera duplice. La donna vive una doppia condizione di sfruttamento: come lavoratrice è espulsa per prima dal mondo del lavoro e non solo, come per tutti, non riesce a trovarne uno nuovo ma rinuncia persino a cercarlo,, continua poi a svolgerne un altro e in forma completamente gratuita, quello di cura dei figli, dei genitori anziani e della casa, supplendo al progressivo smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari pubblici sempre più sotto assedio. La condizione della donna è sostanzialmente regredita rispetto alle conquiste sociali e civili del secolo scorso ed essendo tornata “soggetto debole” è doppiamente sfruttata da una sottocultura che la vede vittima predestinata di stereotipi che la rendono ben peggio di un oggetto. Ciò non vale per tutte le donne ma solo per quelle appartenenti alle classi deboli che divengono sempre più vaste, essendo peggiorate le condizioni di vita di fasce che si credevano al riparo da qualsiasi attacco.
Chi non ha lavoro, non ha soldi, non ha cultura, non ha riferimenti sociali, è doppiamente sfruttato, privo di diritti, giustizia, forza sociale e tanto meno rappresentanza per riprenderseli.
Per chi ha i soldi è tutto il contrario, anche diritti civili che sono interdetti a causa di un’etica comune tuttora ben ancorata a pregiudizi religiosi che non celano la propria faccia fondamentalista, sono possibilissimi. L’ipocrisia e la demagogia è moneta corrente nella politica italiana, nessuno si fa scrupolo a vendere illusioni per poi fare l’esatto contrario. Per questo anche nella questione di genere, come comunisti e comuniste, stiamo da una parte sola, quella delle donne delle classi lavoratrici, oggi marginalizzate e sempre più in difficoltà.
In una società dove classe operaia e i lavoratori non hanno più rappresentanza politica né sindacale e tutte le conquiste sociali strappate con decenni di lotta sono andate perdute, non può nemmeno ipotizzarsi la riconquista di quelle civili se non si ricostituisce un movimento di classe forte. L’avversario invece è più potente, non rinuncerà mai a nessuna delle sue vittorie, non cederà quello che si ripreso e che aveva dovuto cedere quando i lavoratori e le lavoratrici erano forti e organizzati in partiti e movimenti che difendevano gli interessi di classe. Nessuna mediazione è possibile e credere che un comitato d’affari del capitale qual è questo governo o un’assise di nominati dai poteri che contano quali sono parlamento e sindacati, è pura illusione e chi la perpetua è in pura malafede.
Lo sciopero delle donne potrebbe persino apparire inutile in un momento dove il lavoro non esiste e tutte le realtà occupazionali sono in forte crisi ma diviene importante segnale se si trasforma consapevolezza che è l’attuale modello di società che deve essere cambiato se si vuole vivere con diritti sociali e civili garantiti, staccandosi dalla modalità della parata o da forme protesta scopiazzate dal grande schermo americano.
Questa società non potrà mai garantire reale parità fra i generi, mai affronterà in modo giusto la questione delle differenze, non sancirà i diritti civili, anzi depaupererà sempre più quelli sociali e le prime ad essere derubate saranno proprio le donne. Il 25 novembre potrà davvero contare se questa consapevolezza si trasformerà nella proposta di una società diversa, ispirata ai principi socialisti di eguaglianza e giustizia sociale.
Monica Perugini
Partito Comunista – responsabile nazionale delle donne comuniste