Nell’attuale sistema sociale, la condizione delle donne sta divenendo sempre più precaria e, per una fascia sempre più vasta, scivola verso la proletarizzazione. Proprio come sta avvenendo per gli ampi strati di lavoratori che sino a pochi anni orsono vivevano condizioni relativamente stabili, saldamente ancorate ai principi ed ai valori dello stato capitalista e del consumismo ad ogni costo.
La vita di queste donne, in ogni parte del pianeta, può dirsi ancora più contrassegnata dall’ oppressione e dallo sfruttamento; le loro istanze, poi, non sono e non possono, essere rappresentate dal così detto movimento femminista istituzionale, democratico e medio/piccolo borghese, tanto meno dai sindacati, a partire da quelli confederali consociativi fino a quelli di base. Ed è questa è la prima violenza che le donne proletarie, lavoratrici, disoccupate, precarie, subiscono e che, conseguentemente, le espone all’ulteriore violenza che la società retta dai principi capitalistici dello sfruttamento, riserva loro, considerandole vera e propria merce di scambio, buona per ritrarre profitto in tutti i modi, compreso quello di riperpetuare la concezione della subordinazione, della diseguaglianza e dell’inferiorità.
Le donne lavoratrici, precarie, disoccupate, braccianti immigrate delle cooperative agricole e delle pulizie, le donne “più grandi” espulse come roba vecchia dal mondo del lavoro, le giovani proletarie che mai vi faranno ingresso non possono, né devono delegare la loro rappresentanza alle forme sindacali ed associative tradizionali, troppo spesso comunemente ritenute (ma a torto) strumento di dissenso e contestazione al sistema.
Così come la lotta del movimento popolare anche quella delle donne, gli interessi e le specificità devono trovare forme di contrapposizione ed antagonismo organizzato e consapevole ad un circo mediatico organizzato anche attorno al 25 novembre.
Tutto ciò avvalora la posizione delle donne comuniste sul tema della violenza di classe, oggi resa ancor più cruenta dalla manipolazione e dalla organizzazione, oltre che del consenso e dell’accettazione sotto ricatto dei dettami capitalistici, pure dal dissenso che non porta a conquiste né a vittorie di classe. Come da tanto tempo ormai è avvenuto per l’8 marzo, oggi anche la giornata del 25 novembre sta ripiegando su tale falsariga, resa stilema consolidato, fatto di propaganda mediatica, preordinata da quegli stessi poteri e dalle sue centrali operative (sindacati, associazioni di donne, gruppi di opinione…) che hanno contribuito nei fatti, a ricacciare le donne nella zona d’ombra dello sfruttamento violento.
Diviene quindi di fondamentale importanza che la lotta delle donne possa riprendere per dar voce alle rivendicazioni di classe che fanno la differenza rispetto alla propaganda demagogica orchestrata dal sistema e dalle sue formazioni collaterali e si unisca a quella del movimento operaio e popolare non ancora ridotto al silenzio.
Come possono CGIL e sindacati confederali ma pure quelli di base che hanno abbracciato strette le politiche concertative, resuscitare, in occasione del 25 novembre, parole di sdegno contro la violenza sulle donne, quando hanno firmato ogni nefandezza imposta da governo e padronato, per espellere i proletari e primi fra tutti le donne, dal mondo del lavoro, confinandoli in una condizione sociale che li rende preda privilegiata della violenza perpetrata attraverso la deprivazione dal lavoro e dal reddito e di tutte le difficoltà che ne conseguono e che spingono alla emarginazione sociale.
Il 25 novembre, nella giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, le donne comuniste lanciano la parola d’ordine della necessità di un cambiamento delle parole d’ordine delle lotte, lavorando per collegare ed unire le lotte delle donne proletarie in atto nel nostro paese ma ancora frammentate e non ancora supportate da una coscienza di classe e di genere (di classe) che potrà fare la differenza.
Le donne comuniste, dunque, non si limiteranno a partecipare alla manifestazione nazionale del 26: vi porteranno le proprie parole d’ordine, ricordando che la violenza sofferta dalle donne, oggi più che mai, è quella operata dal sistema capitalista. Questo sistema non è si può riformare, abbellire, rendere “più umano”, la crisi in atto conferma che ciò non è possibile. Questo sistema sociale va cambiato radicalmente, lavorando per una società socialista / comunista dove lo sfruttamento dell’uomo e della donna su altri uomini e donne, non sarà più possibile. Tale lavoro parte dalle lotte presenti, per organizzarle in lotta di classe, rafforzata dalla concezione che non si tratta semplicemente di una questione di genere erroneamente comune a tutte le donne.
Non lottiamo per tutte le donne: le donne delle classi abbienti non sono sopraffatte dalla violenza quotidiana rappresentata dalla mancanza di lavoro e dalla marginalità, dalla sopraffazione derivante dal dover vivere in un ambiente sociale degradato, privo di servizi sociali, di tutela e di diritti esigibili, dove i valori del rispetto e dell’autodeterminazione hanno perso qualsiasi spazio concreto e retaggio culturale e dove la mancanza dei diritti sociali rende impossibile anche solo prefigurare l’esistenza di quelli civili. Le donne comuniste lottano con le donne delle fasce deboli e sfruttate della società, per quelle a cui gli attuali potentati economici e finanziari che guidano i governi dei paesi occidentali, dettandone le regole, hanno tolto qualsiasi prospettiva futura e a cui le mediazioni riformiste condite dalla propaganda mediatica organizzata dai soliti padroni del vapore e dalle loro reti di divulgazione di massa, stanno scippando anche la dignità.
25 novembre : la violenza contro le donne è sempre quella borghese contro le classi popolari. Alla manifestazione nazionale del 26 con le nostre parole d’ordine!
Monica Perugini ( Responsabile nazionale donne del Partito Comunista)