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COSA C’È DIETRO ALLA CORSA ALL’AUTO ELETTRICA
Torna in auge un’analisi finanziaria del 19 maggio 2022 di Profundo richiamata da alcuni giornali italiani.
In quel report si dice chiaramente che «Un’elettrificazione più rapida aumenterebbe le azioni e i profitti delle case automobilistiche»
L’analisi condotta su sei case automobilistiche, rileva che esse «aggiungerebbero 800 miliardi di euro al loro valore azionario se effettuassero una transizione più rapida in questo decennio invece di aggrapparsi al loro modello di business dei motori a combustione».
«La concorrenza di veicoli elettrici a batteria più economici e normative più severe ha colpito le vendite e ridotto le loro economie di scala».
Volkswagen potrebbe aumentare il suo valore di mercato di oltre tre volte (253%) e Stellantis quasi cinque volte (388%) rispetto a oggi se passassero all’elettrico più velocemente del previsto, secondo l’analisi. Le opportunità sono ancora maggiori per Mercedes-Benz (+471% in 10 anni) e BMW (+472%). Più indietro la Toyota (+70%) più lenta degli altri a elettrificare i modelli.
In tutto questo la “salvezza del pianeta” non c’entra niente. Ormai è il segreto di Pulcinella che le auto elettriche provocheranno un incremento colossale dell’inquinamento. Il vantaggio in termini di emissioni si realizza dopo i 75mila chilometri, quando si dovranno cambiare le costosissime e devastanti batterie. Inoltre il contributo europeo alle emissioni di CO2 è trascurabile, l’8% del mondiale, mentre ormai coi nuovi motori le cause del particolato sono da attribuirsi più all’usura dei pneumatici che del motore a scoppio. Gli USA già corrono con gli incentivi (costo dell’auto elettrica e a benzina uguali), Francia e Germania si stanno attrezzando. L’Italia faticherà più di tutti.
Considerando però che la manodopera impiegata nella costruzione di auto elettriche è radicalmente inferiore a quelle dei motori a combustione interna e che le manutenzioni saranno tutte monopolizzate dai costruttori (addio cara officina sotto casa!), l’impatto sulla forza lavoro è chiara: più capitale e meno lavoro.
Aumento della “composizione tecnica” del capitale con conseguente aumento della sua “composizione organica”, quindi riduzione della quota salario, aumento del saggio di sfruttamento. Ma –attenzione! – a causa dell’enorme sopravvalutazione della quota capitale, “caduta tendenziale del saggio di profitto”. Qualcuno 156 anni fa lo aveva già detto. Ma chi era?