Oggi più che mai l’8 marzo deve rappresentare l’ occasione per rafforzare la lotta delle donne che stanno pagando a caro prezzo la crisi in atto, una crisi che sta devastando le classi sociali popolari, un ceto questo che si sta allargando sempre più, essendo in atto una politica di vera e propria “proletarizzazione” di vaste aree sociali che sino a poco tempo fa credevano di essere state poste per sempre al riparo dagli effetti della crisi e della povertà sociale ed economica.
In questo quadro la condizione delle donne è sempre peggiore rispetto a quella generale: se manca il lavoro, le prime ad essere espulse da fabbriche e uffici sono le donne. Se chiudono i servizi sociali, quelle che debbono soccombere a tali mancanze e prestarsi gratuitamente nei lavori di cura verso figli, genitori, anziani e familiari, sono sempre le donne che la crisi ricaccia in casa, obbligate a quel doppio lavoro che le lotte sociali di questi anni avevano permesso di superare, contribuendo a costruire una cultura dei diritti civili che ha potuto farsi strada solo grazie alle conquiste sociali.
La crisi strutturale del capitalismo mette a nudo le dinamiche dei rapporti di forza fra le classi sociali (quella dei padroni e quella degli sfruttati): mancanza ed eliminazione di fatto dei diritti sociali e civili, infatti, dipende dalla posizione di debolezza in cui è stata schiacciata la classe lavoratrice.
Quando i rapporti di forza erano differenti e la classe operaia era rappresentata da un partito e da un sindacato che, nonostante evidenti limiti, ne difendeva gli interessi, le conquiste sociali hanno portato anche quelle civili, insieme ad un avanzamento generale della cultura sociale e politica che pareva aver messo fine in modo definitivo a tutta una serie di stereotipi e luoghi comuni tipici della sottocultura sessista, antifemminista e bigotta caratteristica della nostra società. Così come la lotta di classe aveva strappato diritti e conquiste, il suo affievolirsi e il ripiegamento su posizioni filo padronali da parte di una sinistra che ha smarrito la propria “anima”, ha significato l’arretramento delle posizioni di classe e quindi anche la perdita dei diritti civili.
La prosopopea della nuova classe politica filo padronale rappresentata dal PD, che segue i medesimi interessi della destra ma non rinuncia a sbraitare su diritti e pari opportunità, è poco più di una farsa oramai evidente come tale in ogni sua mossa.
Se una donna è ricca può permettersi tutto: non solo l’ agio economico ma omossessualità, fecondazione assistita, diritti civili, servizi sociali e sanitari di qualità; se una donna è povera e senza lavoro o con un lavoro precario non potrà permettersi nulla, compresa la costrizione in un ambiente socio culturale destinato a regredire.
Per questo le donne comuniste, anche in questo otto marzo, ribadiscono come debba essere la lotta per il lavoro a fare la differenza anche sulla questione di genere: non solo perché l’autonomia delle donne passa anche per la loro indipendenza economica ma perché la loro forza nella lotta di classe ha comportato, e potrà farlo anche in futuro, il miglioramento delle condizioni di vita generali.
Occorre riprendere questa lotta, difendere il lavoro, lavorare per invertire i rapporti di forza fra le classi, oggi a svantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici: solo così sarà possibile il complessivo progresso civile della società e delle condizioni di vita delle donne che oggi stanno vedendo un pericoloso arretramento, sia dal punto di vista sociale che culturale non potendo dimenticare il preoccupante aumento dei femminnicidi, violenza ed una generale aggressione culturale nei confronti delle donne.
W l’otto marzo, w la lotta delle donne !!!!
Partito Comunista
Donne comuniste